Sui limiti entro cui il convenuto può elidere il nesso di subordinazione di una domanda riconvenzionale
07 Giugno 2016
Quid iuris se, a seguito di incidente stradale tra autoveicoli, in una causa con domanda di condanna in favore dell'attore al risarcimento di danni alla persona e al veicolo, il convenuto conclude in comparsa di risposta per il rigetto delle domande ed, in subordine in via riconvenzionale, per la condanna al risarcimento di un modesto danno al proprio veicolo, successivamente, nell'udienza di precisazione delle conclusioni, quest'ultima domanda diventa principale?
Occorre preliminarmente rilevare che la dottrina tende ad escludere l'ammissibilità del nesso di condizionamento tra cause – che consegue alla proposizione di una domanda riconvenzionale «in via subordinata» – ove manchi una connessione sostanziale tra domande ed, in ispecie, di un rapporto di pregiudizialità, o quantomeno il «riscontro in concreto di uno specifico e ragionevole interesse dell'attore per tale forma di abbinamento di cause (e ciò a pena, diversamente, di assicurare rilevanza processuale ad un mero capriccio)» (così C. Consolo, Il cumulo condizionale di domande, II, Padova, 1985, 590). Si potrebbe, quindi, prospettare che il venir meno in extremis del nesso di subordinazione riveli la mancanza di un vero e proprio concreto interesse alla proposizione della domanda riconvenzionale “condizionata” da parte del convenuto, in evidente assenza di una connessione sostanziale. Ma le conseguenze della carenza di tale interesse non sono semplici da identificare. Da una parte, si potrebbe ritenere che la domanda proposta «in via subordinata» sia tout court inammissibile (l'interesse ad agire deve – come noto – essere valutato al momento della decisione). Dall'altra parte, si potrebbe prospettare che sia inammissibile il solo nesso di condizionamento, aprendo la strada alla pronuncia sulla causa riconvenzionale. A chi scrive entrambe le soluzioni sembrano condurre – per motivi opposti – ad esiti non condivisibili: la prima perché troppo “punitiva” per il convenuto che abbia agito in via riconvenzionale, la seconda perché troppo “permissiva” a favore del medesimo convenuto. Riterrei invece che la soluzione del quesito vada ricercata nell'applicazione delle preclusioni. A ben vedere, infatti, il venir meno del nesso di subordinazione comporta un ampliamento del thema decidendum, che deve ritenersi consentito al massimo entro la prima udienza o, eventualmente, in relazione alla prima memoria di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c.: non certo in limine al passaggio alla fase decisoria ai sensi dell'art. 189 c.p.c. In quanto preclusa, la modifica in discorso non avrà effetto e la domanda riconvenzionale si dovrà considerare pur sempre proposta “in via subordinata”, con la conseguenza che il rigetto della domanda proposta in via principale dall'attore determinerà l'assorbimento della domanda riconvenzionale subordinata. In caso contrario, ad es., il giudice dopo aver invitato le parti alla precisazione delle conclusioni – ritenendo la causa matura in vista del rigetto della domanda principale – dovrebbe restituire la stessa causa in istruttoria per l'assunzione dei mezzi di prova richiesti in relazione alla domanda riconvenzionale: tutto ciò in conseguenza ai tardivi ripensamenti del convenuto. |