Micropermanenti: la Cassazione contro prove “diaboliche” e/o inutili

09 Febbraio 2017

La Cassazione afferma che l'accertamento strumentale non può costituire un requisito imprescindibile per la risarcibilità del danni biologici, temporanei e permanenti, da lesioni di lieve entità. Questa interpretazione dell'art. 139, comma 2, Cod. ass. (come modificato dalla l. n. 27/2012) risulta ragionevole e costituzionalmente conforme, senz'altro da preferirsi alla tesi supportata, tra l'altro in senso contrario alle indicazioni dalla medicina legale, dalla Consulta nella sentenza n. 235/2014 e nell'ordinanza n. 242/2015.
Le diverse interpretazioni di Consulta e Cassazione

Nella pronuncia Cass. civ., n. 18773/2016 la Suprema corte ha chiaramente interpretato il comma 3-ter ed il comma 3-quater dell'art. 32 del d.l. n. 1/2012 nel senso di essere entrambi latori della «necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”» e, in tale prospettiva, di esplicare entrambi, «senza differenze sostanziali tra loro», «i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, nè unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell'accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)».

Questa interpretazione - già condivisa da un nutrito numero di sentenze del merito e prospettata tanto dalla dottrina medico-legale che da quella giuridica (cfr., ex plurimis, M. ROSSETTI, G. CANNAVÒ, L. MANCINI, L. MASTROROBERTO, La prova del danno biologico, Milano, 2014, 47-55; D. SPERA, Art. 32, commi 3 ter e 3 quater, della l. 27/2012: problematiche interpretative, in Danno resp., n. 2/2013, 216 ss.; M. ROSSETTI, Il quesito medico legale dopo la riforma dell'art. 139 Cod. ass., in Danno resp., 2013, 932-936) - si contrappone nettamente alla versione fornita dalla Corte costituzionale dapprima nella pronuncia C. cost. n. 235/2014 e poi in seno all'ordinanza C. cost. n. 242/2015.

Infatti, per la Consulta la norma relativa al danno biologico permanente, introdotta dalla l. n. 27/2012 al comma 2 dell'art. 139 Cod. ass., recherebbe una vera e propria «limitazione» operante sul versante dell'«accertamento» della lesione nel senso di imporre, quale condizione «ulteriore e necessaria» per la risarcibilità di tale danno, l'«accertamento strumentale» (più nello specifico un riscontro positivo offerto dalla «diagnostica strumentale»).

In pratica secondo l'indirizzo ora condiviso pure dalla Cassazione la disciplina in questione va intesa nel senso di:

a) non ridurre l'accertamento medico-legale alla sola verifica (svilente per i consulenti) della sussistenza di riscontri di carattere strumentale;

b) non precludere ai danneggiati il ricorso ai consueti mezzi di prova;

c) in definitiva, non dare luogo a «limitazioni», «franchigie» o «soglie» risarcitorie.

Dunque, l'«obiettivo riscontro clinico», al centro dell'apporto medico-legale, continua a fondare la risarcibilità delle micropermanenti anche in tutte quelle situazioni in cui la menomazione lamentata non sia, sul piano scientifico, suscettibile di «accertamento strumentale» oppure sia irragionevole esigere tale dimostrazione. Pertanto, si sarebbe dinanzi ad una «novella» di «natura “psicologica” e contenuto “declamatorio-esortativo”» (così M. ROSSETTI, Il quesito medico legale dopo la riforma dell'art. 139 Cod. ass., cit., 934).

Al contrario, stando alla Consulta, l'assenza di un «accertamento strumentale» determinerebbe la irrisarcibilità del danno biologico permanente e, quindi, si sarebbe dinanzi ad un vero e proprio ostacolo al risarcimento di tale danno e dei pregiudizi associati a questo.

Occorre allora comprendere chi abbia ragione tra la Cassazione e la Corte costituzionale.

Per quanto si osserverà si è dinanzi ad un autentico paradosso: la Cassazione è «costituzionalmente orientata», mentre non lo è la Consulta.

La contraddittoria posizione della Consulta

Deve premettersi come la Cassazione non fosse vincolata dalla posizione assunta dalla Corte costituzionale. Cade, altresì, nel vuoto la pretesa di taluni commentatori di privare la sentenza n. 18773/2016 di rilevanza per i giudici del merito lasciando supporre che questi sarebbero tenuti ad accodarsi alla posizione espressa dalla Consulta.

Vero è che il principio reso dalla Suprema corte risiede in un obiter dictum; tuttavia, fermo restando che non siamo in common law, altrettanto indiscutibile è che pure le stringate affermazioni, di cui alla sentenza C. cost. n. 235/2014, si collochino in un autentico obiter dictum. Inoltre, la Consulta, nell'ordinanza C. cost. n. 242/2015, si è limitata ad un immotivato rinvio a tale obiter, tra l'altro incorrettamente riportando una circostanza inveritiera, ossia che nel 2014 già avesse giudicato la limitazione associata all'accertamento strumentale come rispondente a criteri di ragionevolezza (cfr. al riguardo M. BONA, Lesioni di lieve entità ed accertamenti strumentali: la Consulta ignora questioni di costituzionalità manifestamente fondate, in Resp. Civ. Prev., 2016, n. 2, 473-475).

In ogni caso le sentenze di rigetto (anche quelle interpretative), a differenza di quelle dichiarative di una illegittimità costituzionale, sono prive di incidenza nel sistema delle fonti del diritto, cioè non hanno efficacia erga omnes; di conseguenza i giudici di legittimità e di merito conservano intatto il potere-dovere di interpretare in piena autonomia le disposizioni, purchè ne diano una lettura costituzionalmente orientata, ancorchè differente da quella indicata nella decisione di rigetto (cfr. ex plurimis Cass. pen., Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 23016).

Ciò posto, allora l'unico punto che dovrebbe rilevare è se l'interpretazione fornita dalla Cassazione sia, per conformità ai canoni posti per l'interpretazione della legge, maggiormente attendibile rispetto a quella perorata della Corte costituzionale.

Vero è che la sentenza n. 18773/2016 non abbonda di spiegazioni e risulta lapidaria; tuttavia, pure i due contributi della Consulta risultano lungi dall'esplicitare ragionamenti di sorta.

Deve aggiungersi come la soluzione individuata dalla Cassazione non sia affetta dalla contraddizione, che, invece, affligge la posizione della Consulta secondo cui il comma 2 dell'art. 139 imporrebbe un vero e proprio filtro selettivo (il requisito dell'«accertamento strumentale»), che, tuttavia, non sarebbe tale da costituire una limitazione sostanziale (con conseguente sua applicazione retroattiva anche ai sinistri precedenti l'entrata in vigore della legge); se effettivamente la «novella» non desse luogo ad un ostacolo risarcitorio, non vi sarebbe ragione alcuna per discettare oltre; sennonché è palese come così non sia. Tale significativa incongruenza della Consulta - assente in Cass. civ., n. 18773/2016 - dovrebbe far riflettere gli interpreti sulla reale attendibilità della via rinvenuta dalla Corte costituzionale.

In questa sorta di pesa fra precedenti andrebbe pure considerata la mancanza di contrasti fra la l'indirizzo avvallato dalla Suprema corte e le indicazioni scientifiche, medico-legali e fattuali circa gli obiettivi limiti di impiego, di rilevanza e/o di disponibilità degli «accertamenti strumentali» (in alcuni casi preclusi dalla legge); contrasti che, invece, gravano pesantemente sulla posizione perorata dalla Consulta.

Soprattutto, come si dimostrerà infra, la pronuncia della Cassazione regge molto di più dei contributi della Corte costituzionale al confronto con i noti canoni da impiegarsi per l'interpretazione della legge.

Ratio legis a favore della Cassazione

Soltanto in sede di conversione del d.l. n. 1/2012 sopravvenne l'idea di aggiungere delle precisazioni in ordine alle modalità dell'accertamento medico-legale delle lesioni di lieve entità. In particolare, emersero due distinti gruppi di proposte emendative fra loro concorrenti, che, senza annoverare spiegazioni, prevedevano non già l'inserimento in seno all'art. 32 del d.l. 1/2012 di due disposizioni distinte (come poi avvenuto con la l. n. 27/2012), bensì di una sola norma. Nello specifico tali emendamenti offrivano due versioni d'intervento fra loro alternative e rivali: la prima contemplava la regola oggi recata dal comma 2 dell'art. 139; la seconda prevedeva quella più «flessibile», operante tanto per i danni temporanei che per quelli permanenti, in base alla quale al difetto di un accertamento strumentale si poteva sopperire con quello «visivo» (tipo di accertamento medico-legale tale da includere quello clinico). Singolarmente le due opzioni divennero poi entrambe legge senza nessuna delucidazione circa tale doppia previsione: ciò avvenne con l'approvazione del maxi-emendamento governativo del 1 marzo 2012, sottoposto al voto di fiducia del Senato, che per l'appunto, per motivi sconosciuti, inserì nella legge tutte e due le regole.

Quindi, qualsiasi ricostruzione degli scopi perseguiti dal legislatore con tale duplice intervento sarebbe arbitraria e priva di appigli concreti.

Questa assenza di spiegazioni implica pure come rimanga oscuro il livello di autonomia/interazione fra le due disposizioni introdotte dalla l. 27/2012, sicché potrebbe risultare plausibile anche la prospettiva, ora caldeggiata dalla Cassazione, di una sorta di crasi fra le due norme inserite dalla l. n. 27/2012. Parimenti si potrebbe ritenere corretta la versione per cui legislatore, vedendo come «un male l'erogazione di indennizzi non dovuti per lesioni inesistenti», avrebbe inteso «contrastare […] anche la semplice negligenza colposa nell'accertamento dei microdanni», dunque determinandosi a produrre delle norme prive di «natura giuridica e contenuto precettivo», bensì aventi «natura “psicologica” e contenuto “declamatorio-esortativo”», cioè protese «a richiamare l'attenzione dei pratici sulla necessità che il danno alla salute sia accertato […] senza facilonerie», invito a «fare bene il proprio lavoro» «rivolto a tutte le persone variamente interessate al […] risarcimento del danno alla persona (in primo luogo medici legali, ma anche avvocati e magistrati)» (così M. ROSSETTI, G. CANNAVÒ, L. MANCINI, L. MASTROROBERTO, La prova del danno biologico, cit., 50-52).

Anzi, a ben osservare quest'ultima ricostruzione potrebbe trovare avvallo nell'unica «spiegazione» rinvenibile tra i lavori preparatori, quella riportata in calce all'emendamento 32.41, per cui la regola, di cui ora al comma 2 dell'art. 139, sarebbe stata prevista con l'obiettivo - per circoscrivere la «speculazione sul cd. “colpo di frusta”» - di impedire il risarcimento del danno biologico permanente nei casi di domande fondate unicamente su «effetti lesivi “soggettivi”», cioè su sintomi «solo riferiti dal paziente e non obiettivamente constatabili». In effetti da questi cenni si potrebbe sostenere che il legislatore abbia semplicemente mirato a sottolineare la necessità di accertamenti medico-legali «obiettivi», dunque intendendo come sinonimi dell'«accertamento obiettivo» tanto quello «strumentale» che quello «clinico» e quello «visivo» (tutti e tre posti sullo stesso piano).

Questa ipotesi avvallerebbe la soluzione rinvenuta dalla Cassazione.

Viceversa è assolutamente incontrovertibile l'assenza di prove circa una ratio legis a favore dell'interpretazione sponsorizzata dalla Consulta: niente documenta un intento del legislatore di inserire «limitazioni»/«soglie»/«franchigie» risarcitorie. Del resto, se il legislatore avesse inteso elevare l'«accertamento strumentale» (in taluni casi autentica «probatio diabolica») a condicio sine qua non per il risarcimento del danno biologico permanente, lo avrebbe esplicitato (avrebbe dovuto esplicitarlo): ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, ubi voluisset dixisset.

L'intepretazione letterale conforme alla medicina legale

Il legislatore del 2012, non fornendo (neppure a livello di lavori preparatori) autonome definizioni delle fattispecie impiegate, ha rinviato direttamente a categorie di formazione medica e, soprattutto, medico-legale (o, comunque, a concetti la cui esatta definizione è affidata agli esponenti di tali scienze), sicché l'interpretazione del «nuovo» comma 2 dell'art. 139 dovrebbe fare i conti, come ritenuto pure dalla Cassazione, con il lessico della medicina in generale e della medicina legale.

In questa prospettiva, dunque, risulterebbe alquanto singolare un'interpretazione «letterale» delle espressioni utilizzate dall'«atecnico» legislatore la quale non considerasse le indicazioni della medicina legale circa il senso delle stesse.

Ciò premesso e stando a quanto sottolineato da numerosi esponenti della dottrina medico-legale, non può darsi affatto per scontato che la formula unica (o cumulativa) «accertamento clinico strumentale obiettivo» sia da intendersi nei termini sostenuti (senza una motivazione che una) dalla Consulta, per la quale in assenza di un «accertamento strumentale» (magari eppure irrealistico e/o irrilevante) a nulla varrebbe un serio «accertamento clinico obiettivo» da parte del medico legale.

In pratica, pur sempre rimanendo nel perimetro dell'interpretazione letterale, si potrebbe concludere nel senso, fatto poi proprio dalla Cass. civ., n. 18773/2016, che la formula «accertamento clinico strumentale obiettivo», giustappunto considerata alla luce delle categorie medico-legali, rappresenti nient'altro che una sintesi esplicativa, in senso rafforzativo, del requisito dell'«accertamento medico-legale» della lesione, quest'ultimo concetto implicando che il medico legale faccia ricorso a tutti i percorsi accertativi dettati dalla sua criteriologia tra i quali anche l'«accertamento strumentale».

Questa lettura, che recepisce quanto puntualizzato quasi all'unisono dalla medicina legale, è l'unica a permettere di rimanere in linea con la reale nozione medico-legale di «accertamento», nozione che, per volontà del legislatore, si pone al centro della disciplina di cui all'art. 139 Cod. ass..

In definitiva è senz'altro possibile, anzi doveroso (perlomeno legittimo), leggere la norma nel senso di:

  • mettere uno di fila all'altro gli aggettivi principali connotanti l'«accertamento medico-legale» al fine di rappresentare con più efficacia il livello di serietà che deve contraddistinguere tale scrutinio peritale (al riguardo sovviene la figura retorica del «rafforzamento»);
  • oppure contemplare l'ellissi della congiunzione disgiuntiva «o» fra gli aggettivi «clinico» e «strumentale»; in entrambi i casi l'«accertamento strumentale» risulterebbe alternativo a quello «clinico».

Sta di fatto come non corrisponda al vero che sul piano letterale il comma 2 dell'art. 139 presenti un contenuto inequivocabile tale da rendere fondata l'interpretazione asserita dalla Consulta. È anche lungi dall'essere corretta l'attribuzione a quest'ultima di avere fornito un'interpretazione inoppugnabile in quanto ammontante ad una «interpretazione letterale»: molto semplicemente, al di là delle apparenze, non ricorre una sola possibile interpretazione letterale dell'articolo in questione; ve n'è ben più di una, sennonché quella affermata dalla Suprema corte, diversamente da quella recata dalla Corte costituzionale, si trova in piena armonia con le nozioni medico-legali dei termini impiegati dal legislatore mutuandoli (il punto è nevralgico) proprio dalla medicina legale.

L'interpretazione ragionevole e conforme a Costituzione

Anche nell'ipotesi in cui, per un qualche motivo (sin qui non individuato dalla Consulta), si ritenesse la lettera del comma 2 dell'art. 139 tale da supportare, in modo cristallino, il significato in essa rinvenuto dai giudici di Piazza del Quirinale (per cui in assenza di un «accertamento strumentale» per diagnostica per immagini s'imporrebbe la irrisarcibilità del danno biologico permanente), non sarebbe corretto fermarsi dinanzi a questa prima conclusione.

Infatti, tale norma, qualora interpretata nel senso sostenuto dalla Consulta, comporterebbe, del tutto irragionevolmente, la sottoposizione dei danneggiati ad accertamenti che in moltissimi casi sono impraticabili allorquando andrebbero effettuati (per es. in sede di accesso al pronto soccorso) in quanto, implicando significativi costi a fronte di marginali (se non inesistenti) finalità cliniche e terapeutiche, non sono garantiti dal SSN per tutta una serie di patologie (tra le quali, in primis, le distorsioni del rachide cervicale), e/o spesso sono inutili per l'accertamento di determinate lesioni e/o particolari postumi, o, ancora, talvolta sono pure preclusi dalla legge (questo, per es., è il caso della donna in gravidanza così come della persona, la quale, per contingenti problemi di salute, si trovi già esposta a subire radiazioni ionizzanti).

Orbene, che la norma, interpretata nella direzione indicata dalla Corte costituzionale, finisca per addossare ai danneggiati (anche a quelli seri e moralmente ineccepibili) l'onere di produrre autentiche «prove del diavolo» e/o di sottoporsi a esami (radiazioni) inutili ai fini terapeutici è un dato, che, indicatoci dalla scienza e dalla medicina legale, non può essere ignorato in sede di scrutinio della predetta disposizione (come, invece, ha fatto la Consulta in seno all'ordinanza n. 242/2015).

La necessità di considerare le implicazioni negative della l. n. 27/2012 sul diritto alla prova è innanzitutto imposto dal canone interpretativo del «legislatore consapevole» (cfr., per es., Cass. civ., sez. III, 24 agosto 2007, n. 17958), per cui, dovendo l'interprete orientarsi verso la scelta ermeneutica più vicina ad una volontà consapevole ed informata del legislatore, non si dovrebbe attribuire a questo di avere imposto, per sua ignoranza delle categorie impiegate e dei loro risvolti, una prova documentale irrilevante e/o impossibile da conseguire ai fini della dimostrazione dei danni in questione. Del resto, neppure è possibile affermare, altrimenti dovendosi supporre una sua totale incoerenza, che il legislatore, da un lato, abbia riposto la massima fiducia nei medici legali (il loro contributo tecnico assurge nel Codice delle assicurazioni ad autentico filtro per la risarcibilità dei danni alla persona) e, dall'altro lato, abbia svilito, nella stessa disposizione, il loro ruolo.

I canoni ermeneutici della «ragionevolezza intrinseca» (intesa anche come «razionalità pratica», proporzionalità, congruità, adeguatezza, non arbitrarietà) e della buona fede impediscono poi di attribuire al Parlamento di avere consapevolmente scelto - quasi con perfidia - di compromettere la tutela risarcitoria del diritto inviolabile all'integrità psicofisica attraverso l'imposizione - tanto contro il senso comune quanto avverso le indicazioni scientifiche e medico-legali - di prove indisponibili e/o impraticabili e/o irrilevanti e/o sconsigliabili per la loro inutilità (e/o dannosità) terapeutica.

In sintesi, al risultato (irragionevole, financo eventualmente malvagio), che (forse) potrebbe scaturire dalla semantica, va anteposta la soluzione (ragionevole) dettata dall'interpretazione pratica (pure conforme ai rilievi della medicina legale), per la quale è semplicemente inconcepibile l'imposizione, da parte del legislatore, di una «probatio diabolica».

Tale «soluzione ragionevole», peraltro, si pone in piena sintonia con l'«interpretazione costituzionalmente orientata», essendo impensabile che il legislatore, intera alia ulteriormente discriminando tra danneggiati da sinistri stradali e persone lese da altri eventi, abbia voluto imporre una soglia probatoria assurda (accertamenti irragionevoli e/o irrealistici), rendendo al contempo giuridicamente irrilevanti tanto gli accertamenti medico-legali di carattere clinico (invero, il cuore del contributo fornito dai medici legali) quanto i consueti mezzi di prova ed i doveri-poteri del giudice, delineati dagli artt. 115 e 116 c.p.c., di apprezzare, in termini probabilistici, prove (testimoniali e documentali) e nozioni di fatto.

In conclusione

L'impostazione della Consulta è, a voler essere generosi, «costituzionalmente disorientata» dato che nella realtà può comportare e già implica: - risultati insensati e vessatori nei confronti di persone che eppure lamentano compromissioni del diritto inviolabile all'integrità psicofisica e che, per la tutela giurisdizionale di questo, dovrebbero senz'altro poter comprovare, attraverso accertamenti e mezzi di prova ragionevoli, i danni subiti (alla stregua di ogni altro danneggiato); - pertanto risultati discriminatoriamente contrari non solo ai precetti e principi costituzionali in materia di tutela risarcitoria del bene salute e di accesso ai rimedi giurisdizionali (cfr. amplius M. Bona, Lesioni di lieve entità ed accertamenti strumentali: la Consulta ignora questioni di costituzionalità manifestamente fondate, cit., 485-487), ma anche al diritto dell'Unione Europea (la Direttiva 2009/103/CE) che osta a disposizioni interne tali da produrre «l'effetto di escludere d'ufficio o di limitare in modo sproporzionato il diritto della vittima ad un risarcimento da parte dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli» (C.G.Ue, Sez. II, 23 gennaio 2014, C-371/12).

È, quindi, innegabile come l'interpretazione della Corte costituzionale lasci del tutto irrisolto il nodo della «incostituzionale irragionevolezza» di un filtro selettivo (l'«accertamento strumentale») spesso inutile e/o impossibile da soddisfare (in questa seconda ipotesi tale da assurgere ad autentica «probatio diabolica»).

La sentenza Cass. civ., n. 18773/2016, invece, reca una soluzione «costituzionalmente orientata», che, lungi dall'essere preclusa dai canoni ermeneutici di cui all'art. 12 delle preleggi, permette di scongiurare - in linea con le indicazioni provenienti dalla medicina legale (alla quale la norma rinvia) - risultati palesemente irragionevoli e giustappunto costituzionalmente inaccettabili. Essa, dunque, offre una via senz'altro ottimale per i giudici di merito che non intendano incorrere in incredibili dinieghi risarcitori.

Nondimeno, al fine di chiudere il cerchio, sarebbe pure auspicabile un ritorno alla Corte costituzionale (si spera dinnanzi ad un diverso collegio, giusto per evitare una «personalizzazione» dell'indirizzo della Consulta in materia). Tale rimessione, però, dovrebbe puntare innanzitutto alla verifica della conformità della «novella» all'art. 77 Cost., dato che le due disposizioni, di cui alla l. n. 27/2012, furono introdotte soltanto in sede di conversione di un decreto-legge (d.l. n. 1/2012) che, fra l'altro, recava «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» (un oggetto distante dalla tutela risarcitoria del bene salute) ed originariamente non includeva norme relative al risarcimento dei danni alla persona. Infatti, dinanzi a questo quadro, qualsiasi magistrato dovrebbe porsi la prospettiva della violazione dell'art. 77, comma 2, Cost., ciò sia in relazione al rispetto dei requisiti di necessità ed urgenza quanto alla luce della «esclusione della possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del tutto estranei all'oggetto e alle finalità del testo originario» (così C. cost., 16 febbraio 2012, n. 22; cfr. amplius M. BONA, La nuova r.c.a. dopo la legge 27/2012, Santarcangelo di Romagna, 2012, 132-140, nonché M. BONA, Lesioni di lieve entità ed accertamenti strumentali: la Consulta ignora questioni di costituzionalità manifestamente fondate, cit., 493-498).

Guida all'approfondimento

M. BONA, Lesioni di lieve entità ed accertamenti strumentali: la Consulta ignora questioni di costituzionalità manifestamente fondate, in Resp. Civ. Prev., 2016, n. 2;

M. BONA, La nuova r.c.a. dopo la legge 27/2012, Santarcangelo di Romagna, 2012, 132-140;

M. ROSSETTI, Il quesito medico legale dopo la riforma dell'art. 139 Cod. ass., in Danno resp., 2013, 932-936;

M. ROSSETTI, G. CANNAVÒ, L. MANCINI, L. MASTROROBERTO, La prova del danno biologico, Milano, 2014;

D. SPERA, Art. 32, commi 3 ter e 3 quater, della l. 27/2012: problematiche interpretative, in Danno resp., n. 2/2013, 216 ss.

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