La vittima sta per morire ma non ne è consapevole: negato il “danno da lucida agonia”
11 Luglio 2014
In un incidente stradale tra un'auto e un bus, un passeggero a bordo del mezzo pubblico riporta gravi lesioni ma l'infarto, che provoca il decesso della vittima, anche se ritenuto causalmente connesso a tali lesioni, non era in nessun modo prevedibile. La vittima non era quindi consapevole dell'approssimarsi della morte e l'assenza di questa consapevolezza impedisce il risarcimento del danno catastrofale.
Cass. civ., 13 giugno 2014, n. 13537
I fatti. In seguito a una brusca frenata di un autobus il sig. Michelangelo V. rimane gravemente ferito e muore dodici giorni dopo l'incidente. Gli eredi della vittima, vista respinta la richiesta di risarcimento per i danni patiti a causa delle morte del congiunto in primo grado, vedono accolte le loro pretese risarcitorie in Appello. La Corte condanna l'azienda di trasporti ATAM, l'autista del mezzo pubblico e la compagnia assicuratrice del conducente dell'altro veicolo coinvolto nell'incidente al risarcimento: del danno catastrofale patito dalla vittima primaria e trasmesso agli eredi; del danno da perdita del rapporto parentale; del danno patrimoniale subito dalla vedova di Michelangelo V. per la perdita delle somme che il marito le elargiva in vita. ATAM impugna la sentenza in Cassazione e la Corte accoglie in parte il ricorso.
Danno catastrofale. ATAM eccepisce che la sentenza impugnata è incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all'art. 360, comma 3 c.p.c.) per falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. Con il quinto motivo il ricorrente contesta la liquidazione del danno catastrofale (patito dalla vittima, e tramesso agli eredi jure successionis) in quanto Michelangelo V. è morto per un infarto che, anche se ritenuto conseguente e causalmente connesso alle lesioni riportate nell'incidente, non era prevedibile da nessuno, nemmeno dalla vittima.
Assenza di ”lucida agonia”. Per la Cassazione il motivo è fondato. Infatti, per l'esistenza del danno catastrofico e la conseguente condanna del danneggiante al risarcimento, la vittima gravemente ferita deve avvertire “la paura di dover morire” rimanendo capace di intendere e di volere nell'approssimarsi della fine. La stessa sentenza impugnata riferisce che Michelangelo V. ricoverato in ospedale per la contusione sternale in seguito all'incidente viene dimesso due giorni dopo e la morte avviene a distanza di dieci giorni per arresto cardiaco. A nulla rileva il fatto che la morte sia effettivamente causata dalle lesioni letali in quanto la vittima non poteva essere in grado di comprendere che la fine era imminente. Del resto anche nelle cd. sentenze di San Martino (Cass., S.U., n. 26792/2008 e ss.) si riconosce il danno non patrimoniale in esame solo allorché ricorrano “sofferenze coscientemente patite” in lucida agonia, nell'intervallo di tempo tra l'incidente e la morte. |