Scontro tra moto e cervo: il Parco nazionale non deve risarcire il danneggiato se percorreva la strada ad alta velocità
12 Febbraio 2016
L'investimento. Un uomo, alla guida della propria moto, investendo un cervo che stava attraversando la strada, cadeva a terra riportando diversi danni. Ai fini del risarcimento del danno patrimoniale e non, il danneggiato citava in giudizio la Provincia e il Comune del luogo dell'incidente. Nel dettaglio il ricorrente invocava la responsabilità della Provincia ex art. 2043 c.c., essendo l'ente affidatario del potere di governo del territorio e della fauna selvatica, per aver adottato errate politiche di ripopolamento, in riferimento al numero dei capi presenti e al loro stazionamento in aree prossime alla rete viaria. Con il medesimo titolo di responsabilità doveva rispondere il Comune che non aveva predisposto i manufatti atti ad impedire lo sconfinamento della fauna sulla strada e per non aver apposto opportuna segnaletica stradale.
Le difese dei convenuti. Il Comune, costituitosi in giudizio, concludeva per il rigetto della domanda, sostenendo che il luogo dell'incidente era ricompreso nel perimetro del Parco Nazionale della zona, al quale quindi era affidato ogni ordine di competenza gestionale anche con riferimento alla fauna selvatica. Aggiungeva anche che il danneggiato avrebbe dovuto tenere un comportamento più prudente, risultando dalla circostanze dell'impatto che percorreva il tragitto stradale a velocità sostenuta. Similmente sosteneva la Provincia: competeva al Parco Nazionale il ristoro dei danni.
Il terzo chiamato. Il Parco Nazionale ricusava ogni richiesta, per due motivi:
Il potere di amministrazione e gestione della zona era… Il Tribunale, nel decidere la questione, ricorda che «la responsabilità per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all'ente (sia esso regione, provincia, ente parco, federazione o associazione) a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della l. n. 157/1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata» (Cass., 6 ottobre 2010, n. 20758). Nel caso di specie l'attore ha però fatto riferimento ad una serie di disposizioni attenenti all'attività venatoria, disciplina del tutto estranea al perimetro normativo in discussione; inoltre, non era stata offerta nessuna prova rispetto al trasferimento agli Enti territoriali dei poteri da esercitarsi in assoluta autonomia. Pertanto né la Provincia né il Comune convenuti potevano ritenersi responsabili, sotto il profili aquiliano, per i danni causati dalla fauna selvatica.
…in capo al Parco nazionale. Il Tribunale aggiunge che «ai fini della corretta e concreta individuazione del soggetto al quale ipoteticamente imputare la colpa del fatto» bisogna tener conto della normativa soprarichiamata e della specificità del caso concreto, che pone l'attenzione su un incidente avvenuto nel perimetro dell'Ente Parco. Da un lettura sistematica della normativa emerge che «i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna competono nel presente caso all'ente parco, con quanto ne consegue in ordine all'attribuzione della responsabilità per danni da quest'ultima causati a terzi».
Responsabilità aquiliana e onere delle prova del danneggiato. Individuata quindi la responsabilità in capo al Parco Nazionale, a cui si estende automaticamente la domanda attorea (vertendo in ipotesi di garanzia propria), «resta da scrutinare», spiega il Tribunale, «l'aspetto della condotta concretamente imputabile all'Ente Parco al fine di poterne affermare la responsabilità a lume dei principi posti dall'art. 2043 c.c., ossia individuare il comportamento colposo, anche omissivo, allo stesso in sostanza addebitabile». È pacifico che il danneggiato avrebbe dovuto provare gli elementi costitutivi del fatto illecito addebitabile all'Ente, il nesso causale, il danno ingiusto e l'imputabilità soggettiva (Cass., n. 11946/2013; Cass., n. 390/2008).
Nessuna omissione di obbligo giuridico: nessun fatto illecito. Le allegazioni del motociclista sono stata del tutto generiche e apodittiche: non ha specificato quale fosse stata «la condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile ricollegabilità del danno». D'altronde, sostenere che l'ente non aveva curato il controllo del ripopolamento abbattendo selettivamente gli animali vorrebbe dire sostenere dei provvedimenti contra legem. Così anche sostenere che l'ente avrebbe dovuto costruire recinzioni tali da impedire alla fauna di invadere spazi stradali non è del tutto corretto: la soluzione sarebbe stata poco pratica e bisogna anche considerare che «non può costituire oggetto di obbligo giuridico la recinzione di tutte le strade e la segnalazione di tutti i perimetri boschivi» (Cass., n. 9276/2014).
Nessun nesso di causalità. Nel caso in esame, bisogna anche tener conto della condotta negligente del motociclista che, nel procedere su una strada di montagna, teneva una guida a velocità eccessiva che non gli ha permesso «di avvedersi e di schivare per tempo l'animale, fatto questo che sarebbe potuto avvenire con una certa facilità se, invece, la velocità stessa fosse stata ridotta». Infine, «non può soccorrere, in senso liberatorio, la mancanza su quella strada comunale secondaria l'assenza di segnaletica per attraverso animali». Tale segnaletica, infatti, era ampiamente visibile nel punto di derivazione dalla strada statale ed inoltre «il dovere di attenzione è insito nella percorrenza stessa di una strada posta all'interno di un Parco Nazionale».
Sulla base dei precedenti argomenti, il Tribunale rigetta la domanda attrice e condanno il danneggiato al rimborso delle spese di giudizio. |