Risarcimento diretto e “frazionamento” della domanda risarcitoria per le lesioni di non lieve entità alla persona
12 Maggio 2015
Tizio otteneva il risarcimento dei danni a cosa in regime di indennizzo diretto ex art. 149 Cod. Ass.. La società responsabile civile (diversa dalla precedente società) non intendeva gestire i danni da lesioni personali che superavano i limiti degli accordi. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, Tizio proponeva ricorso con rito sommario per le lesioni. Alla prima udienza il giudice si pronunciava sull'eccezione preliminare della convenuta, che contestava l'abuso dello strumento processuale per aver frammentato il credito, dichiarando improponibile il ricorso. E' ora in pendenza il termine di 30 giorni per proporre appello. In questo caso, è stato lesionato il diritto ad agire dell'attore che di fatto perde la possibilità di fruire dei tre gradi di giudizio? Il giudice avrebbe potuto mutare il rito, come richiesto?
In base ad un noto – quanto controverso – orientamento giurisprudenziale il frazionamento della domanda di adempimento è «contrario alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all'esame della domanda)» (così Cass., S.U., n. 23726/2007, in Foro it., 2008, I, 1514, con nota di A. Palmieri, R. Pardolesi, Frazionamento del credito e buona fede inflessibile, e di R. Caponi, Divieto di frazionamento giudiziale del credito: applicazione del principio di proporzionalità nella giustizia civile?). La Cassazione ha applicato tale indirizzo anche ai crediti risarcitori, escludendo la possibilità di far valere in separati processi la domanda risarcitoria riferita a diverse voci di danno riferibili al medesimo evento dannoso (Cass., sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28286, in Foro it. 2012, I, 2819, con nota di A. Graziosi, Neppure i crediti risarcitori possono più essere frazionati giudizialmente). È bene sottolineare che il credito risarcitorio in relazione al quale si è pronunciata la Suprema Corte riguardava proprio lesioni da sinistro stradale. In ispecie, si trattava di una richiesta risarcitoria proposta avanti al Tribunale in relazione al danno alla persona – nelle sue varie accezioni patrimoniali e non patrimoniali – successivamente al riconoscimento del danno a cose con sentenza già passata in giudicato nell'ambito di un precedente e autonomo giudizio avanti al giudice di pace. Occorre precisare, inoltre, che in quest'ultimo giudizio il danneggiato si era riservato di agire appunto per il risarcimento delle lesioni personali. In proposito la Suprema Corte ha osservato che «i principi di buona fede e di correttezza, per la loro ormai acquisita costituzionalizzazione in rapporto all'inderogabile dovere di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., costituiscono un canone oggettivo ed una clausola generale che non attiene soltanto al rapporto obbligatorio e contrattuale, ma che si pone come limite all'agire processuale nei suoi diversi profili. Il criterio della buona fede costituisce, quindi, strumento, per il giudice, atto a controllare, non solo lo statuto negoziale nelle sue varie fasi, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi, ma anche a prevenire forme di abuso della tutela giurisdizionale latamente considerata, indipendentemente dalla tipologia della domanda concretamente azionata (v. ad es. Cass. 3 dicembre 2008 n. 28719; Cass. 11 giugno 2008 n. 15476). Che è ciò che si verificherebbe con il consentire la ‘parcellizzazione' della tutela processuale dell'azione extracontrattuale per i danni materiali e personali da circolazione stradale, davanti al giudice di pace ed al tribunale in ragione delle rispettive competenze per valore, quando le conseguenze dannose derivanti dal fatto illecito si siano puntualmente e definitivamente verificate. Anche in questo caso, infatti, esiste una controparte (il danneggiante) i cui interessi meritano una equilibrata tutela, senza consentirne alterazioni ad opera del danneggiato-creditore, con il prolungamento ed i costi ulteriori di una inutile duplicazione dell'azione processuale per i danni conseguenti ad unico fatto illecito. Ed allora, una tale disarticolazione dell'unico rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto illecito, oltre ad essere lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, con l'aggravamento della posizione del danneggiante-debitore, per essere attuata con ed attraverso il processo, si risolve anche in un abuso dello strumento processuale» (così Cass., sez. III, 22.12.2011, n. 28286, cit.). Venendo alla fattispecie cui si riferisce il quesito, l'art. 149 Cod. Ass. prevede la procedura di risarcimento diretto nei confronti della propria compagnia assicuratrice per i danni conseguenti a sinistro stradale, a favore dei danneggiati non responsabili o responsabili solo in parte, in relazione ai danni al veicolo ed eventuali danni connessi al suo utilizzo, nonché in relazione alle cose trasportate, e alle eventuali lesioni di lieve entità alle persone (fino al 9% d'invalidità). Rispetto a tali danni è altresì prevista l'azione diretta nei confronti dell'impresa assicuratrice del danneggiato. In relazione ai danni alle persone di maggiore entità lesiva – cui non è applicabile la procedura d'indennizzo diretto – è, invece, prevista l'azione diretta nei confronti dell'impresa assicuratrice del danneggiante (art. 144 Cod. Ass.). Nel caso in esame, pertanto, i legittimati passivi in relazione all'azione di risarcimento sono diversi in relazione alle differenti componenti del danno: appunto l'assicurazione del danneggiato in relazione ai danni a cose e danni lievi alle persone; l'assicurazione del danneggiante riguardo ai danni gravi alla persona. Cosicché, viene a mancare in relazione a un'eventuale fattispecie complessa caratterizzata da danni a cose e danni gravi alla persona il presupposto su cui si fonda la censura di abuso dello strumento processuale nei confronti del danneggiante e cioè la sussistenza di «una controparte (il danneggiante) i cui interessi meritano una equilibrata tutela, senza consentirne alterazioni ad opera del danneggiato-creditore, con il prolungamento ed i costi ulteriori di una inutile duplicazione dell'azione processuale per i danni conseguenti ad unico fatto illecito» (così Cass., sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28286, cit.). Né la riferibilità delle (distinte) azioni risarcitorie allo stesso evento causativo dell'illecito (c.d. danno-evento) può qui dar luogo una differente conclusione. Non solo perché il riferimento al danno-evento concorre unicamente in parte ad integrare la fattispecie su cui si fonda il diritto al risarcimento (cfr., s.v., La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale e le preclusioni processuali applicabili in tema di allegazioni e prova, in Ri.Da.Re.). Bensì soprattutto, perché – diversamente dall'ipotesi presa in considerazione nel 2011 dalla Cassazione – la duplicazione tra le azioni in discorso è in apicibus esclusa dal fatto che si tratta di autonome pretese risarcitorie che devono essere fatte valere verso diversi legittimati passivi. Sicché il cumulo soggettivo che si verrebbe eventualmente a realizzare non sarebbe nemmeno giustificato dalla necessità di realizzare un coordinamento tra le decisioni in relazione allo stesso “titolo”: al più si può prospettare una connessione “impropria” tra le due azioni dirette. Forse – si potrebbe ipotizzare – ha determinato un elemento di confusione per il giudice il probabile riferimento da parte del danneggiato al giudicato formatosi nell'ambito nel processo instaurato in base alle norme sul risarcimento diretto ex art. 149 Cod. Ass., che invece non può rilevare nell'ambito del giudizio instaurato ai sensi dell'art. 144 Cod. Ass., per i motivi già ricordati. Nel caso di preventivo ricorso alla procedura di risarcimento diretto, un'applicazione dell'orientamento dell'abuso del processo potrebbe prospettarsi in astratto nel caso in cui il medesimo pregiudizio venga fatto valere nei confronti del responsabile civile e della sua impresa assicuratrice in un separato giudizio. Riguardo a tale ipotesi, infatti, la Consulta ha chiarito come le disposizioni di cui agli artt. 149 e 150 Cod. Ass. stabiliscano una facoltà per il danneggiato, consentendogli di agire nei confronti della propria compagnia assicuratrice, senza privarlo della possibilità di far valere i suoi diritti in base ai principi generali in tema di responsabilità civile (C. Cost.,19 giugno 2009, n. 180, in Foro it., I, 782, con nota di A. Palmieri). Rimane poi il fatto che l'orientamento volto ad escludere tout court l'ammissibilità del frazionamento della domanda risarcitoria suscita in sé forti perplessità, sulle quali però – in considerazione delle specifiche finalità del presente scritto – non è possibile soffermarsi. |