Responsabilità dei magistrati: irretroattività dei termini di decadenza introdotti con l. 18/2015
13 Gennaio 2017
IL CASO Un uomo propone ricorso in Cassazione, affidandosi a quattro motivi, contro il decreto della Corte d'Appello di Roma che aveva giudicato tardiva la richiesta di risarcimento danni presentata nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in cui contestava l'interpretazione del 2009 della Suprema Corte (Cass. civ., n. 26024/2009) che aveva rigettato il suo ricorso nei confronti dell'Azienda Tranvie Autobus del Comune di Roma (ATAC), confermando la sentenza del giudice di merito che aveva respinto la domanda di conversione del suo contratto di formazione e lavoro in contratto a tempo indeterminato.
RITO APPLICABILE La Suprema Corte chiarisce anzitutto che il rito applicabile per far valere la responsabilità dei magistrati è quello delineato dalla Legge Vassalli (l. n. 117/1988) per tutte le azioni avviate prima della riforma operata dalla l. n. 18/2015. È quindi esclusa l'applicabilità del rito ordinario di cognizione per la responsabilità ex art. 2043 c.c.
NESSUN VINCOLO DALL'UE SULLE FORME PROCESSUALI I giudici della III Sezione affermano che non può sorgere alcun dubbio circa un eventuale contrasto con il diritto europeo. La giurisprudenza europea infatti, se da un lato ha emesso principi relativi ai presupposti sostanziali della responsabilità dello Stato per danni cagionati da magistrati nell'esercizio delle loro funzioni, dall'altro non ha mai interferito sulle modalità e condizioni processuali attraverso cui può esser esercitata l'azione risarcitoria, che restano disciplinate dal diritto interno (vedi C. Giust. UE del 24 novembre 2011, causa C-379/2010, che ha limitato il rilievo del contrasto con il Diritto UE ai commi 1 e 2, art. 2, l. 117/1988).
TERMINI DI DECADENZA La Suprema Corte sostiene che i principi comunitari non possano dirsi violati dai termini biennali introdotti dalla legge Vassalli prima, e da quelli triennali della riforma del 2015 poi. Posto che siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività, la giurisprudenza comunitaria ritiene infatti sufficiente che tali termini rientrino nei canoni di ragionevolezza. La Cassazione afferma a questo proposito che i termini previsti, collocandosi solo dopo l'esperimento di tutti i mezzi di impugnazione, «assicurano un periodo di tempo più che ragionevole e sufficiente per valutare la sussistenza dei presupposti della responsabilità nel caso concreto e per approntare adeguatamente l'azione e la difesa in giudizio». La Cassazione conferma dunque che tali termini non interferiscono né con i principi di equivalenza comunitaria, né con il termine quinquiennale previsto per l'esercizio dell'azione ordinaria di risarcimento del danno.
IRRETROATTIVITÀ DEI TERMINI DI DECADENZA La Corte rigetta la domanda attorea poiché l'estensione dei termini operata dalla l. n. 18/2015 sulla Legge Vassalli, da due a tre anni per proporre l'azione di risarcimento, non si applica alle domande depositate prima dell'entrata in vigore della riforma, ossia prima del 19 marzo 2015. La Corte ricorda dunque il principio di diritto secondo cui «In tema di responsabilità civile dei magistrati, ai sensi dell'art. 4, comma 2, l. 13 aprile 1988 n. 117 (nella versione applicabile a tutte le fattispecie anteriori al 19 marzo 2015 e cioè all'entrata in vigore della l. 27 febbraio 2015 n. 18) l'azione di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie è tardiva se proposta decorsi i due anni dalla data della sentenza di Cassazione» (Cass. civ., n. 9916/2015).
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