Capacità di deporre del conducente nel giudizio promosso dal proprietario del veicolo
13 Marzo 2017
È utilizzabile ai fini della decisione la testimonianza del conducente nel giudizio risarcitorio avviato dalla proprietaria dell'autovettura? Mentre nel processo penale le dichiarazioni della persona offesa dal reato possono costituire idonea prova a carico dell'imputato, anche qualora essa si sia costituita parte civile, nel processo civile, il principio di incompatibilità tra teste e parte di cui è espressione l'art. 246 c.p.c. – che sancisce l'incapacità a testimoniare di tutti i soggetti «aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio» – sembra escludere l'ammissibilità della testimonianza di un soggetto danneggiato dal medesimo fatto illecito che è oggetto di azione risarcitoria promossa da altro danneggiato nei confronti del danneggiante. In astratto, il conducente di un'autovettura rimasta coinvolta in un sinistro stradale potrebbe essere portatore di un interesse ex art. 100 c.p.c. in un duplice senso: l'interesse a proporre la domanda nei confronti del responsabile del sinistro, per i danni riportati per effetto dello scontro (per esempio, la lesione alla salute); l'interesse a resistere alla domanda svolta da altro danneggiato nei confronti suoi e del proprietario del mezzo, per effetto dell'obbligazione solidale prevista dall'art. 2054, comma 3, c.c. Sembrerebbe quindi doversi escludere la capacità a testimoniare del conducente, il quale sarebbe legittimato a partecipare al giudizio non solo nel caso in cui il proprietario rivesta la posizione di convenuto ma anche nel caso in cui quest'ultimo abbia agito nei confronti di un terzo danneggiante. In effetti, ove il proprietario e il conducente risultino entrambi danneggiati da un medesimo sinistro da ascrivere a responsabilità altrui, non pare revocabile in dubbio che essi siano titolari di un interesse giuridico, personale, concreto ed attuale che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio e pertanto dovrebbe essere ritenuta l'incapacità ex art. 246 c.p.c. di ciascuno di essi a deporre nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta dall'altro danneggiato. Del resto, la Suprema Corte non ha escluso l'incapacità neppure allorquando il teste con-danneggiato abbia dichiarato di essere stato già risarcito dalla compagnia assicuratrice oppure abbia dichiarato di rinunciare al risarcimento o abbia lasciato cadere in prescrizione il relativo credito, dato che la capacità a testimoniare va valutata a prescindere da vicende che costituiscano un posterius facti rispetto alla predicabilità ex ante dell'interesse a partecipare al giudizio (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2013, n. 3642). Tuttavia, qualora il conducente non sia anch'egli vittima del sinistro, può ancora ritenersi la sua posizione incompatibile con l'ufficio di testimone? A ben vedere, il fatto che in un caso concreto il conducente non sia stato danneggiato dal fatto illecito e quindi non sia titolare di alcun interesse ad agire per il risarcimento non significa che egli sia privo di interesse ex art. 100 c.p.c. nel giudizio avente ad oggetto quel fatto illecito: egli, infatti, potrebbe essere legittimato a contraddire a un eventuale domanda svolta da altri danneggiati dal sinistro, i quali, opinando diversamente rispetto al proprietario del veicolo e allegando una differente versione dei fatti di causa, potrebbero invocare il concorso di colpa del conducente (che è peraltro presunto in virtù dell'art. 2054, comma 2, c.c.) o addirittura ascrivere a suo carico una responsabilità esclusiva. Ed infatti la giurisprudenza di legittimità considera dirimente, per ritenere il conducente capace di deporre nel giudizio promosso dal proprietario del veicolo, la proposizione di una domanda riconvenzionale da parte del convenuto, per effetto della quale il conducente, pur rimasto estraneo alla causa, sarebbe interessato a parteciparvi atteso che, in caso di soccombenza anche parziale, potrebbe subire gli effetti sostanziali della sentenza, in forza della solidarietà passiva nell'obbligazione risarcitoria (art. 2054, comma 3, c.c.) e della conseguente azione di regresso del proprietario soccombente. Può considerarsi invero acquisito in giurisprudenza il principio secondo cui il conducente del veicolo danneggiato in seguito a sinistro stradale non ha un interesse personale, concreto e attuale a intervenire nel giudizio promosso dal proprietario del veicolo nei confronti del danneggiante se quest'ultimo non ha proposto domanda riconvenzionale, e non può, pertanto, essere considerato incapace a deporre come teste in tale giudizio ai sensi dell'art. 246 c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. III, 29 settembre 1996, n. 8537; Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1993, n. 5858. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Varese, sez. I civ., 11 febbraio 2011).
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