La scuola è responsabile di discriminazione se riduce le ore di sostegno per l’alunno disabile

Redazione Scientifica
13 Novembre 2014

L'alunno lamenta la concessione di un numero di ore per il sostegno scolastico inferiore rispetto a quelle previste dal piano educativo individualizzato e la Corte di Cassazione, affermando il pieno riconoscimento del vincolo imposto da tale Piano, riconosce la natura discriminatoria nella condotta dell'amministrazione scolastica in danno di soggetti inabili.

L'alunno lamenta la concessione di un numero di ore per il sostegno scolastico inferiore rispetto a quelle previste dal piano educativo individualizzato e la Corte di Cassazione, affermando il pieno riconoscimento del vincolo imposto da tale Piano, riconosce la natura discriminatoria nella condotta dell'amministrazione scolastica in danno di soggetti inabili.

Cass. S.U., 25 novembre 2014, n. 25011

I fatti. I genitori di un'alunna affetta da patologia di handicap grave citano l'amministrazione scolastica davanti al Tribunale di Udine per la discriminazione subita dalla figlia concretizzatasi nella scelta di tale amministrazione di concedere l'insegnamento scolastico di supporto per un numero di ore inferiore rispetto a quelle previste dal piano educativo individualizzato; il Tribunale ordina alla convenuta la concessione dell'insegnante di sostegno per 25 come da PEI e la condanna al pagamento di una somma pari a 5 mila euro per il risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla vittima. Il Ministero e l'Istituto comprensivo, respinti in Appello si rivolgono alla Corte di Cassazione riproponendo l'eccezione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario ma le sezioni unite respingono il ricorso.

Il diritto al sostegno del disabile. La Corte ribadisce l'importanza del diritto all'inclusione scolastica degli alunni affetti da patologia di handicap secondo l'attuale legislazione (cfr. Corte Cost. n. 80/2010) e come la Corte di Appello, la Cassazione cita l'art. 12 della l. n. 104/1992 per cui “il diritto a non essere discriminato sussiste pure nella scuola dell'infanzia”. In particolare sempre secondo la legge “l'attenzione alla persona disabile e alla sua diversità si concretizza nella formulazione di un piano educativo individualizzato”, alla cui definizione provvedono congiuntamente i genitori, gli operatori delle unità sanitarie locali e personale insegnante specializzato della scuola . Con la l. n. 78/2000 si specifica che tali soggetti devono anche “individuare le risorse necessarie, ivi compresa l'indicazione del numero di ore di sostegno”. È anche in questi termini che l'amministrazione scolastica deve assicurare il diritto, costituzionalmente protetto, dell'alunno disabile all'istruzione, all'integrazione sociale e alla crescita in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua persona e delle sue attitudini.

Piano Educativo Individualizzato: un atto amministrativo vincolante. La Corte di Cassazione ha pertanto stabilito che l'amministrazione scolastica è priva di autonomia organizzativa e didattica, una volta che il piano educativo individualizzato abbia previsto il numero di ore necessarie per il sostengo, non ha quindi il potere discrezionale di rimodulare in via autoritativa tale supporto integrativo, nemmeno in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio. Si sottolinea quindi come il diritto al sostegno del disabile sia un diritto fondamentale non sacrificabile per questioni economiche.

Discriminazione indiretta. Con la riduzione delle ore di sostegno (a 6 o 12 anziché 25 come stabilito) la condotta dell'amministrazione si qualifica come discriminatoria contraendo il diritto fondamentale del disabile all'attivazione di un intervento corrispondente alle sue specifiche esigenze, condizione imprescindibile per realizzare il diritto ad avere pari opportunità nelle frazioni del servizio scolastico. Si tratta nello specifico – in assenza di una corrispondente contrazione dell'offerta formativa per i normodotati – di una discriminazione indiretta, che ricorre “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone” (art. 2 della l. n. 67/2006) e la cui repressione è riservata alla giurisdizione del giudice ordinario. art. 3 l. n. 67/2006).I giudici hanno respinto il ricorso.

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