Vittime di reati violenti intenzionali: depositate le conclusioni dell'avvocato generale della Cgue
14 Aprile 2016
All'udienza del 12 aprile 2016 nella causa C-601/14, Commissione Europea c. Italia, l'Avvocato Generale della Corte di Giustizia UE, Yves Bot, ha rassegnato le proprie conclusioni, suggerendo la condanna dell'Italia per l'inadempimento della direttiva 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reati violenti intenzionali.
Questa causa era stata avviata con ricorso del 22 dicembre 2014 dalla Commissione Europea, che contesta al nostro Stato la perdurante assenza di un sistema generale di indennizzo per le vittime di qualsiasi tipo di reato intenzionale violento commesso all'interno del territorio italiano. In particolare, la tesi della Commissione si regge sulla seguente disposizione della direttiva (art. 12, paragrafo 2): «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime». In pratica, per la Commissione tale norma imporrebbe ad ogni Stato membro di garantire alle vittime dei reati in questione (innanzitutto, omicidi dolosi, lesioni dolose, violenze sessuali), commessi sul proprio territorio nazionale, un risarcimento (o, perlomeno, un indennizzo) equo ed adeguato, ciò ogniqualvolta l'autore del reato sia rimasto sconosciuto oppure si sia sottratto alla giustizia o, in ogni caso, non abbia risorse economiche per risarcire la persona lesa e/o i suoi famigliari.
Come previsto dall'art. 18 della direttiva, il nostro legislatore avrebbe dovuto attuare tale sistema nazionale entro il 1° luglio 2005. Tuttavia, il d.lgs. 9 novembre 2007 n. 204, recante l'attuazione della direttiva, non prevede alcun sistema generalizzato di tutela indennitaria per le vittime in questione. Ciò ricordato, l'Avvocato Generale Bot ha ritenuto fondate le tesi sostenute dalla Commissione. Infatti, ha evidenziato come la direttiva preveda in effetti che ciascuno Stato sia dotato in primo luogo di un sistema di indennizzo generalizzato a tutela delle vittime di reati violenti intenzionali occorsi sul suo territorio: «Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, gli Stati membri devono [...] aver previsto un sistema di diritto all'indennizzo per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi sul loro territorio e sanzionati dalle loro leggi nazionali». Dunque, l'Avvocato Generale ha escluso che la direttiva contempli obblighi indennitari soltanto nei casi transfrontalieri: ciascuno Stato, relativamente ai reati commessi sul suo territorio, deve garantire coperture indennitarie tanto per i suoi cittadini quanto per gli stranieri in transito. La direttiva, in altri termini, tutela le vittime anche nelle situazioni "domestiche" od "interne" (per es.: ragazza italiana uccisa o violentata da uno sconosciuto in una città italiana). Inoltre, l'Avvocato Generale ha così respinto l'argomento dell'Italia per cui i legislatori nazionali potrebbero limitare, a loro totale discrezione, i casi di reati violenti intenzionali rilevanti ai fini della tutela indennitaria statale: «Il carattere generale, riconosciuto dagli Stati membri, del principio dell'indennizzo per i reati il cui autore sia solvibile garantisce la parità di trattamento. Il fatto che, ove l'autore non sia noto o sia insolvente, determinati Stati membri garantiscano l'indennizzo mediante fondi pubblici soltanto per alcuni di detti reati pregiudica tale parità di trattamento. Detta situazione crea infatti una disparità su due livelli, ossia, da una parte, nell'ordinamento interno e, dall'altra, aspetto questo su cui si concentra primariamente la nostra attenzione nell'ambito del presente ricorso, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dato che, ad esempio, in un determinato Stato la tetraplegia di una vittima potrebbe essere indennizzata se derivante da una pallottola esplosa da un terrorista, ma non se l'autore dello sparo stesse commettendo una rapina a mano armata, mentre nello Stato vicino, vale a dire eventualmente qualche decina di metri più in là, l'indennizzo potrebbe essere garantito in entrambi i casi. Un siffatto risultato non è né equo né adeguato».
Per l'Avvocato Generale, quindi, gli Stati non possono limitare gli indennizzi statali a favore delle vittime in questione a circoscritte categorie di vittime, come ha fatto l'Italia ove soltanto alcune sono protette (vittime del terrorismo e della crimalità organizzata, vittime di Ustica, vittime della uno bianca), mentre altre non godono di nessuna tutela (per es., le vittime di omicidi o lesioni personali intenzionali "comuni" e le vittime di violenze sessuali). Per questi ed altri motivi l'Avvocato Bot ha suggerito alla Corte di Giustizia di «constatare che, avendo omesso di adottare un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, la Repubblica italiana è venuta meno all'obbligo ad essa incombente in forza dell'art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato, e condannare la Repubblica italiana alle spese».
La sentenza della Corte di Giustizia dovrebbe seguire a breve. |