Nessun risarcimento al lavoratore in caso di comportamento eccentrico/extramansione
14 Giugno 2017
IL CASO Un uomo chiede di essere ammesso allo stato passivo del fallimento di una SPA per ottenere il risarcimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, ma il Tribunale di Treviso rigetta la domanda. I giudici di merito ritengono infatti non provato che egli avesse ricevuto l'ordine di compiere l'azione pericolosa che gli aveva cagionato il danno, ossia scavalcare il parapetto del tetto sovrastante il reparto produttivo aziendale, poiché atto estraneo alle sue abituali mansioni di operaio modellista, incaricato dell'apertura dei cancelli, del sistema di allarme, del controllo di porte ed uffici. Il rigetto è confermato dalla Corte d'Appello di Venezia. L'uomo ricorre pertanto in Cassazione, lamentando anzitutto come la sentenza impugnata avesse ritenuto decisiva la prova di una direttiva del datore di lavoro a compiere la condotta pericolosa, mentre sostiene essere a carico di questi la dimostrazione della dipendenza del danno a causa a lui non imputabile. Con il secondo motivo poi lamenta l'omesso esame della prevedibilità del suo comportamento, da cui sarebbe dovuto derivare l'obbligo del datore di lavoro di porre in essere ogni cautela finalizzata alla tutela della sua salute.
LA PROVA DEL DIPENDENTE E DEL DATORE DI LAVORO La Corte, nell'esaminare congiuntamente i due motivi, chiarisce che in caso di infortuni sul lavoro spetta al dipendente provare l'esistenza del danno alla salute lamentato, la nocività dell'ambiente di lavoro ed il nesso di causalità tra uno e l'altro. Solo in seguito spetta al datore di lavoro provare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, «rimanendo esonerato dall'onere di fornire la prova liberatoria a suo carico (Cass. civ., 20 febbraio 2006 n. 3650) ».
INTERRUZIONE DEL NESSO DI CAUSALITÀ La Corte prosegue dichiarando che, qualora il lavoratore ponga in essere un comportamento anomalo ed idoneo ad interrompere il nesso di causalità, nessun risarcimento è dovuto da parte del datore di lavoro, poiché «viene meno la cd. occasione di lavoro che afferisce ad ogni fatto ricollegabile al rischio specifico connesso all'attività lavorativa cui il soggetto è preposto (ex multis, Cass. civ., 8 luglio 2015 n. 14251)». Nel caso di specie il lavoratore stesso ha generato il rischio, compiendo la scelta arbitraria di non attenersi alle sue normali mansioni. La Corte rigetta il ricorso: niente risarcimento.
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