Vittime di reati violenti intenzionali: la Corte di giustizia condanna l'Italia per inadempimento
14 Ottobre 2016
Vittime di reati ed attuazione della Direttiva 2004/80/CE. La dir. 2004/80/CE dispone che «Tutti gli Stati membri provvedono a ché le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime» (art. 12, § 2). L'art. 18 della direttiva imponeva agli Stati Membri di attuare detto sistema nazionale entro l'1.07.2005 e di concretizzare le disposizioni inerenti i casi transfrontalieri entro l'1.01.2006. In Italia il legislatore interveniva soltanto con il d.lgs. 9 novembre 2007, n. 204, in ritardo rispetto a tali termini (cfr. Corte giust. Ce, Sez. V, 29 novembre 2007, causa C-112/07). Tuttavia, tale decreto, pur con il titolo «Attuazione della dir. 2004/80/CE relativa all'indennizzo delle vittime di reato», non istituiva il «sistema di indennizzo nazionale» generalizzato previsto dalla direttiva, imprescindibile per assicurare sia la sia la tutela delle vittime residenti in Italia e qui lese, sia, pertanto, la protezione delle vittime residenti in altri Stati membri “in transito” in Italia, essendo la tutela per i casi domestici necessaria per quelli “cross-border” (cfr., infatti, l'art. 12, § 1: «Le disposizioni […] riguardanti l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori»).
Il giudizio avanti la Corte di Giustizia: il ricorso della Commissione Europea. A fronte di diverse denunce la Commissione Europea , non soddisfatta dalle risposte pervenute dall'Italia alle sue richieste di chiarimenti, il 22 dicembre 2014 adiva la Corte UE. La Commissione assumeva le seguenti conclusioni: «Constatare che la Repubblica italiana, avendo omesso di adottare tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, è venuta meno all'obbligo di cui l'art. 12, par. 2, dir. 2004/80/CE». Infatti: «La dir. 2004/80/CE istituisce un sistema di cooperazione tra le autorità nazionali per facilitare l'accesso delle vittime di reato in tutta l'Unione europea ad indennizzo adeguato nelle situazioni transfrontaliere. Il regime opera sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. Per garantire l'operatività di tale sistema di cooperazione, l'articolo 12, paragrafo 2, della direttiva impone agli Stati membri di essere dotati o di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime. Tale obbligo deve essere inteso come riferito a tutti i reati intenzionali violenti e non riguarda soltanto alcuni di essi. L'ordinamento italiano prevede un regime nazionale di indennizzo delle vittime di reato costituito da una serie di leggi speciali relative all'indennizzo di determinati reati intenzionali violenti, ma non prevede un sistema generale di indennizzo che riguardi le vittime di tutti i reati che il codice penale italiano individua e qualifica come intenzionali violenti. In particolare, l'ordinamento italiano non prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti della c.d. «criminalità comune» non coperti dalle leggi speciali». Per la Commissione, pertanto, l'Italia si sarebbe sottratta agli obblighi imposti dalla Direttiva, garantendo soltanto le vittime di reati già contemplate dalle leggi speciali (essenzialmente reati di mafia ed atti di terrorismo) e non già quelle di reati quali omicidi e lesioni personali “comuni”, stupri e altre aggressioni di natura sessuale. Il Consiglio dell'Unione europea interveniva in giudizio sostenendo la richiesta della Commissione.
L'opinione dell'Avvocato Generale Bot. Questi, nelle sue conclusioni del 12 aprile 2016, riteneva, in adesione al ricorso della Commissione, come la direttiva imponga il seguente dovere: «Contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica italiana, gli Stati membri devono [...] aver previsto un sistema di diritto all'indennizzo per tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi sul loro territorio e sanzionati dalle loro leggi nazionali». Dunque, l'Avvocato Generale così smentiva la tesi per cui la direttiva contemplerebbe obblighi per gli Stati soltanto nelle situazioni transfrontaliere: ogni Stato deve garantire coperture indennitarie tanto per i suoi cittadini lesi sul suo territorio (situazioni puramente “domestiche” o “interne”) quanto per gli stranieri di passaggio (situazioni “cross-border”). Inoltre, l'Avvocato Bot respingeva l'argomento per cui i legislatori nazionali potrebbero limitare, a loro discrezione, i reati violenti intenzionali rilevanti per il sistema d'indennizzo: «Il carattere generale, riconosciuto dagli Stati membri, del principio dell'indennizzo per i reati il cui autore sia solvibile garantisce la parità di trattamento. Il fatto che, ove l'autore non sia noto o sia insolvente, determinati Stati membri garantiscano l'indennizzo mediante fondi pubblici soltanto per alcuni di detti reati pregiudica tale parità di trattamento. Detta situazione crea infatti una disparità su due livelli, ossia, da una parte, nell'ordinamento interno e, dall'altra, aspetto questo su cui si concentra primariamente la nostra attenzione nell'ambito del presente ricorso, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dato che, ad esempio, in un determinato Stato la tetraplegia di una vittima potrebbe essere indennizzata se derivante da una pallottola esplosa da un terrorista, ma non se l'autore dello sparo stesse commettendo una rapina a mano armata, mentre nello Stato vicino, vale a dire eventualmente qualche decina di metri più in là, l'indennizzo potrebbe essere garantito in entrambi i casi. Un siffatto risultato non è né equo né adeguato». L'Avvocato Bot, infine, rilevava come, nonostante il legislatore europeo non avesse contemplato un'armonizzazione dei sistemi d'indennizzo, non si possa prescindere da questa prospettiva: «l'indennizzo dovrà […] essere equo e adeguato, come richiesto dall'articolo 12, par. 2, […], e i giudici nazionali potranno, in caso di dubbio, rivolgersi alla Corte a tal riguardo».
La sentenza di condanna emessa dalla Corte di Giustizia. Con la pronuncia dell'11.10.2016 la Corte ha condiviso appieno le tesi della Commissione Europea, del Consiglio della UE e dell'Avvocato Generale, pertanto condannando la Repubblica Italiana per non avere adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di tutti i reati intenzionali violenti commessi sul proprio territorio, venendo così meno all'obbligo sancito dell'art. 12, § 2, della direttiva. In particolare, la Corte ha sancito il principio, valido anche per tutti gli altri Stati Membri, per cui «l'articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva deve essere interpretato nel senso che esso mira a garantire al cittadino dell'Unione il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite nel territorio di uno Stato membro nel quale si trova, nell'ambito dell'esercizio del proprio diritto alla libera circolazione, imponendo a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio». In pratica, secondo la Corte di Giustizia, ciascuno Stato membro deve garantire che anche (anzi, innanzitutto) i suoi cittadini, vittime di crimini violenti commessi sul territorio nazionale, abbiano accesso al sistema di indennizzo, del resto stabilendo il considerando 6 di detta direttiva che le vittime di reato nell'Unione dovrebbero avere il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite, «indipendentemente dal luogo dell'Unione in cui il reato è stato commesso», e che il considerando 7 della medesima direttiva precisa che occorre pertanto che tutti gli Stati membri dispongano di un meccanismo di indennizzo per tali vittime. Peraltro, la Corte, al fine di chiarire la portata della sua interpretazione del § 2 dell'art. 12, ha tenuto a circoscrivere la portata di alcune sue (invero isolate) precedenti sentenze e ordinanze, rilevando come in realtà si fossero limitate «a precisare che il sistema di cooperazione istituito dalla dir. 2004/80 riguarda unicamente l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, senza tuttavia escludere che l'articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva imponga ad ogni Stato membro di adottare, al fine di garantire l'obiettivo da essa perseguito in siffatte situazioni, un sistema nazionale che garantisca l'indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento sul proprio territorio». La Corte ha così escluso che tale norma e l'interpretazione della stessa siano circoscritte esclusivamente alle situazioni transfrontaliere, riguardando l'obbligo ivi previsto anche le situazioni puramente interne. Infine, quanto al novero dei reati intenzionali violenti rilevanti per la direttiva la Corte, in linea con l'Avvocato Generale, ha rilevato che, «sebbene gli Stati membri dispongano, in linea di principio, della competenza a precisare la portata di tale nozione nel loro diritto interno, tale competenza non li autorizza tuttavia a limitare, salvo privare l'art. 12, par. 2, dir. 2004/80 del suo effetto utile, il campo di applicazione del sistema di indennizzo delle vittime soltanto ad alcuni dei reati intenzionali violenti». Per la Corte, inoltre, «tale interpretazione non è in alcun modo inficiata dall'argomento, sollevato dalla Repubblica italiana, secondo il quale il legislatore dell'Unione, nel corso della procedura legislativa che ha portato all'adozione della dir. 2004/80, avrebbe abbandonato l'obiettivo iniziale di prevedere norme precise in materia di indennizzo delle vittime di reati». Ciò posto in ordine alla questione del novero dei crimini ricompresi dalla direttiva, si trae dalla sentenza, laddove ha confermato la validità degli esempi addotti dalla Commissione europea a rappresentare l'inadempimento dell'Italia, come la Corte abbia senz'altro incluso i reati di omicidio e di lesioni personali “comuni” così come il reato di stupro. |