La Cassazione torna a censurare la (omessa) verifica del nesso di causalità
15 Giugno 2017
Il fatto Avendo riportato dei postumi permanenti in seguito alla caduta sul gradino di accesso di un bar, il danneggiato agisce nei confronti di chi, a suo dire, ne aveva determinato la caduta strattonandolo fuori dal locale.
L'errata applicazione da parte dei Giudici d'appello del criterio di causalità adeguata A poco più di un anno di distanza dalla pronuncia della III sezione (Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 2016 n. 3894) che si era pronunciata sul criterio da seguire in ambito civilistico, ribadendo l'opzione per il “più probabile che non”, lasciando invece al campo penale il “oltre ogni ragionevole dubbio”, è toccato alla VI sezione il compito di cassare la sentenza della Corte d'appello che non ha fatto corretta applicazione dei principi che regolano la causalità giuridica. Se è vero, infatti, che un evento dannoso deve essere considerato sotto il profilo materiale causato da altro evento «se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della 'conditio sine qua non')», tale causalità materiale non è sufficiente per essere rilevante dal punto di vista giuridico. Deve essere dato rilievo, ricorda la Cassazione, solo a quelle serie causali che, «nel momento in cui si produce l'evento causante, non appaiano del tutto inverosimili (teoria della causalità adeguata o della regolarità causale)» in base alle leggi generali di copertura proprie delle scienze esatte applicate ai fenomeni naturali, ovvero, in assenza di tali leggi, in base alla valutazione dei dati di esperienza e della rilevazione dell'intensità delle frequenze statistiche degli accadimenti. Sempre tenendo conto la differenza esistenze tra l'accertamento della responsabilità in ambito civile da quello in ambito penale: se in questo secondo caso vige la regola della prova oltre ogni ragionevole dubbio, in ambito civile è ritenuto sufficiente il diverso criterio riassunto dalla formula “più probabile che non”.
Tratto da: www.dirittoegiustizia.it |