Lodo Mondadori: il danno non patrimoniale da lesione del diritto ad un giudizio reso da un giudice imparziale e il problema della frazionabilità del risarcimento
15 Luglio 2015
La vicenda civile La vicenda concerne l'acquisizione da parte di CIR del gruppo Mondadori a mezzo accordo del 1988 stipulato con la famiglia Formenton. In seguito ad inadempimento dei Formenton – che invece di vendere le quote di loro proprietà a CIR le cedevano a Fininvest – CIR azionava la clausola compromissoria. Il collegio arbitrale (lodo Pratis/Irti/Rescigno del giugno 1990) accertava l'obbligo dei Formenton di trasferire le loro azioni a CIR. Il lodo veniva quindi impugnato dai Formenton innanzi alla Corte d'Appello di Roma che con sentenza del gennaio 1991 dichiarava la nullità del lodo. CIR, quindi, ricorreva in Cassazione, trovando, nelle more del giudizio, un accordo transattivo compositivo della lite.
La vicenda penale Successivamente, si accertava che la decisione della corte romana era stata il frutto di atti corruttivi da parte di Fininvest che avevano coinvolto anche il giudice relatore. I responsabili venivano condannati in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, cagionati alla parte civile costituita, CIR, da liquidarsi in separato giudizio civile, nonché a rifondere, in solido, le spese di rappresentanza ed assistenza.
L'azione risarcitoria di CIR CIR citava in giudizio Fininvest chiedendole il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali; quest'ultimo per la lesione del diritto inviolabile, costituzionalmente tutelato, di essere giudicati da un giudice imparziale, ed a quello, parimenti vulnerato alla immagine ed alla reputazione dell'ente. Fininvest, eccepiva anche l'intervenuta transazione tra le parti, la prescrizione del diritto aquiliano e la mancanza di prova che la corruzione di un giudice del collegio, avesse condizionato anche il giudizio degli altri due componenti. Il Tribunale di Milano (Trib. Milano, sent., 3 ottobre 2009, n. 11786) condannava la Fininvest al pagamento, in favore dell'attrice, della somma di 749.955.611 di Euro a titolo di danno patrimoniale da perdita di chance di un giudizio imparziale, riconoscendo altresì come dovuti i danni non patrimoniali richiesti, la cui liquidazione veniva rinviata ad altro giudizio. La Corte d'Appello, in seguito, rideterminava l'importo risarcitorio in euro 540.141.059, confermando la legittimità della richiesta "frazionata" di risarcimento non patrimoniale (in applicazione del principio di diritto espresso da Cass. n. 2869/2003), ritenendo leso, nella specie, il diritto costituzionalmente garantito ad un giudizio reso da un giudice imparziale, ed escludendo, per converso, la lesione all'onore e alla reputazione della persona giuridica Cir, poiché la sentenza non appariva in alcun modo riconducibile a canoni espressivi infamanti nei suoi argomenti e nelle sue statuizioni, trattando di questioni societarie squisitamente tecniche. La Suprema Corte di Cassazione (Cass., sent., 17 settembre 2013, n. 21255) cassava senza rinvio il capo della sentenza di appello contenente la liquidazione del danno in via equitativa come stimata nella misura del 15% del danno patrimoniale già liquidato, confermando, nel resto, l'impugnata sentenza.
Il nuovo giudizio per la liquidazione del danno non patrimoniale accertato nel precedente giudizio CIR ha chiesto la liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., accertato, con pronuncia di condanna generica nelle pregresse fasi giudiziali, quantificandolo in euro 32.000.000,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria dall'evento dannoso.
Ma il credito risarcitorio è frazionabile? La Suprema Corte, a Sezioni Unite (Cass., S.U., sent., n. 23726/2007) ha considerato vietata la parcellizzazione del credito unitario, valorizzando la regola di correttezza e buona fede - con riferimento, nel contesto del rapporto obbligatorio, al dovere inderogabile di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.. Diversamente ragionando, si verificherebbe un abuso del processo, in violazione del canone del «giusto processo», di cui al novellato art. 111 Cost..
…e se mi riservo di richiedere il danno non patrimoniale successivamente? La Cassazione, (Cass., sent. n. 28286/2011), ha altresì affermato che «in tema di risarcimento dei danni da responsabilità civile, non è consentito al danneggiato, in presenza di un danno derivante da un unico fatto illecito, riferito alle cose ed alla persona, già verificatosi nella sua completezza, di frazionare la tutela giurisdizionale mediante la proposizione di distinte domande, parcellizzando l'azione extracontrattuale ............ e ciò neppure mediante riserva di far valere ulteriori e diverse voci di danno in altro procedimento, in quanto tale disarticolazione dell'unitario rapporto sostanziale nascente dallo stesso fatto illecito, oltre ad essere lesiva del generale dovere di correttezza e buona fede, per l'aggravamento della posizione del danneggiante-debitore, si risolve anche in un abuso dello strumento processuale».
Ma quali sono gli effetti del frazionamento illegittimo? Il Tribunale di Milano, sul punto ritiene che: «nel silenzio delle SS.UU., è possibile rintracciare almeno due tesi giurisprudenziali, l'una che sancisce la improponibilità, ovvero inammissibilità, delle domande aventi ad oggetto una frazione soltanto dell'unico credito, l'altra che postula la riunificazione delle domande stesse e la decisione sulle spese che tenga conto del comportamento scorretto». Quest'ultima tesi è stata ribadita in tempi recenti dalla Suprema Corte, la quale , con sent. n. 5491/2015, ha ribadito che la scissione strumentale del contenuto dell'obbligazione si pone il contrasto con il principio di buona fede e con il principio di ragionevole durata del processo, ha disatteso gli indirizzi espressi in Cassazione di improponibilità ed inammissibilità) ritenendo che “essendo illegittimo non lo strumento adottato ma la modalità della sua utilizzazione” debba operarsi su un altro piano, in particolare quello della liquidazione delle spese di lite; da riguardarsi come se il procedimento fosse stato unito fin dall'origine.
Quid iuris quando la sentenza che ha ritenuto ammissibile la riserva di domanda in altro giudizio del danno non patrimoniale è passata in giudicato? «È convincimento di questo Tribunale, che a questa domanda debba rispondere, con efficacia di giudicato, il giudice dell'”an” del risarcimento al quale compete, nel momento genetico di disarticolazione del credito, di intervenire per sanzionare il frazionamento o, invece, legittimarlo». Nel giudizio di primo grado, confermato in appello e nel giudizio di legittimità, il giudice, aveva ritenuto che la domanda di accertamento del danno non patrimoniale soltanto sull'an era ammissibile nonostante il principio della non frazionabilità dei danni risarcibili derivati da un unico fatto illecito, e richiamando Cass., sent. n. 2869/2003, aveva rigettato l'eccezione relativa alla non frazionabilità dei danni risarcibili derivati da un unico fatto illecito. Più precisamente, era stata riconosciuta la lesione del diritto costituzionalmente garantito ad un giudizio reso da un giudice imparziale e ciò in violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., respingendo, invece, la richiesta afferente al danno non patrimoniale da lesione all'onore ed alla reputazione della persona giuridica.
Come calcolare il danno non patrimoniale da lesione del diritto costituzionalmente garantito ad un giudizio reso da un giudice imparziale Premessa la riconoscibilità del risarcimento del danno non patrimoniale anche in favore del danneggiato che non sia persona fisica, così come chiarito dalle note sentenze di San Martino del 2008 oltre che, successivamente, da Corte Cost., sent. n. 355/2010, Cass. civ., sent. n. 4542/2012 e Cass. civ., sent. n. 18082/2013, il Tribunale procede alla quantificazione, richiamando la necessità di fare riferimento all'art. 1226 c.c.. Il Giudice, quindi, richiama quella giurisprudenza (Cass. civ., sent. nn. 14402/2011 e 12408/2011) che in tema di danno a persona, vede nell'equità la tensione ad assumere, come riferimento liquidatorio, parametri oggettivi e, se possibile, di portata generale per una serie indeterminata e astratta di casi. Il Tribunale pertanto, compiendo un'analogia tra il danno conseguente ad un giudizio viziato da dolo e il danno per violazione del “giusto processo”, utilizza quale parametro risarcitorio la L. n. 89/2001, come risultante per effetto delle modifiche introdotte dal D.L. n. 35/2013, convertito con modificazioni nella L. n. 64/2013 e dal D.L. n. 83/2012, convertito con modificazioni nella L. n.134/ 2012, che prevede espressamente un criterio di “ristoro” del danno da “processo ingiusto”. A tale titolo, infatti, il giudice può liquidare una somma di denaro non inferiore a 500 euro e non superiore a 1.500 euro annuale (art. 2-bis, L. n. 89/2001).
Ma la personalizzazione? Sugli importi come sopra individuati, il Giudice ha ritenuto di applicare i correttivi della personalizzazione e della aderenza al caso concreto. In primo luogo, nella ipotesi di specie, il processo è risultato ingiusto per la commissione di un reato: il giudice è stato oggetto di scambio corruttivo al fine di manipolare la propria funzione pubblica in aderenza agli interessi egoistici di una delle parti. Ne consegue un primo adattamento, tenendo presente la fattispecie illecita che ha dato origine al danno, sorretta da un coefficiente di partecipazione soggettiva di ampia intensità quale il dolo: si stima necessario pervenire alla somma base di € 15.000,00. Invero la percezione dell'altrui intenzionalità amplifica la sofferenza del danneggiato, il quale apprende che la lesione ai suoi diritti è stata arrecata con il precipuo fine di danneggiarlo; o, comunque, il danno è la conseguenza indiretta che il danneggiante accettava si verificasse. Deve, poi, considerarsi l' efficacia offensiva del delitto: nel caso di specie, per effetto della corruzione, il “giudice parziale” ha rovesciato la “decisione giusta” e offerto un risultato opposto a quello che spettava, secondo Giustizia. Indicativa della situazione di sofferenza del danneggiato è la decisione di non coltivare il giudizio in Cassazione ed accettare la transazione che, come noto, ha provocato un ingente danno patrimoniale: la “fuga” dal sistema pubblico di risoluzione delle controversie, in coincidenza con la sentenza frutto di dolo, mette in risalto la condizione soggettiva della CIR. Altro elemento che è stato preso in considerazione e quindi apprezzato, è quello relativo alla collocazione storica della vicenda, nel suo complesso. In questo caso, infatti, la sofferenza è stata amplificata dall'ampia risonanza nazionale (e non solo) che la notizia ha avuto a mezzo di tutti i più importanti canali di informazione: il singolo accadimento, diventato fatto di cronaca in cima ad ogni rassegna di stampa, ha assunto una dimensione estesa ed allargata e la visibilità della vicenda a mezzo degli organi di informazione ha funzionato, in un certo senso, come cassa di risonanza dell'illecito, analizzato nei dettagli e nelle sue dinamiche storiche. Il Tribunale, quindi, ha proceduto con un ulteriore adeguamento che ha portato la somma ad € 75.000,00, somma considerata già equa alla data del fatto illecito, alla quale devono solo aggiungersi gli interessi e la rivalutazione monetaria.
E un ulteriore adeguamento punitivo? Il Giudice non ha ritenuto di procedere in tale senso, in quanto «Non si stima riconoscibile una somma maggiore, se non frustrando la funzione stessa della responsabilità civile o modellandola non già in base alla lesione effettiva, ma in ragione della “qualità del danneggiato”, quasi ad affermare che una parte con maggior patrimonio possa soffrire di più. Invero il risarcimento del danno si colloca, sistematicamente, nell'ambito delle sanzioni civili riparatorie. Si tratta di una tutela rimediale con carattere compensativo (e non punitivo) in quanto tende a reintegrare il danno provocato dalla violazione della situazione giuridica soggettiva: conseguentemente, per la vittima è “pecuniariamente” indifferente non patire il danno, ovvero patire il danno ma intascare il risarcimento (cd. principio di indifferenza). La matrice squisitamente compensativa della tutela rimediale esclude che il danneggiato possa trarre vantaggio dal fatto illecito essendogli precluso di incamerare più di quanto sia necessario per ricondurlo allo status quo ante (ossia la situazione precedente l'illecito)».
Aumentare il risarcimento del danno non potrebbe aiutare la funzione di deterrenza dello stesso? Sul punto il Tribunale ha rilevato come «Taluni sostengono che, accanto alla tipica funzione reintegratrice, la tutela risarcitoria avrebbe anche una funzione di “general deterrence” con ricadute pratico-applicative in punto di quantificazione della somma riparatoria: ma non è questa la funzione del risarcimento del danno. Ma gli studi più recenti e la giurisprudenza costante assegnano alla tutela del risarcimento una vocazione reintegratrice ritenendo che il danno abbia lo scopo di sostituire un' utilità perduta con un equivalente pecuniario equitativamente scelto. Questo procedimento di «monetizzazione delle perdite» non può essere parametrato a dati che si collochino fuori dalla lesione: peraltro un ente soffre, in genere, il danno morale a causa di un fatto delittuoso diversamente da come lo soffrirebbe una persona fisica, cioè con minore impatto lesivo».
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