Danno biologico intermittente: le nuove proposte del Tribunale di Milano
16 Marzo 2017
Individuazione del danno intermittente
Il danno biologico per i postumi permanenti è, tipicamente, un danno che si proietta nel futuro rispetto al momento della liquidazione. Al danneggiato infatti si risarcisce, in ultima analisi, il disagio che patisce sul piano biologico per dover sopportare, dopo la guarigione clinica e la stabilizzazione dei reliquati, l'esito duraturo delle lesioni per il resto della vita. Nella generalità dei casi il danneggiato è vivo al momento della liquidazione e, quindi, il danno assume la connotazione di danno futuro (sopportazione dei postumi per il resto della vita appunto) e, come tutti i danni futuri, si liquida per sua stessa natura secondo non tanto ciò che è certo, ma ciò che è verosimile e presumibile (cfr. Cass. civ., 27 aprile 2010 n. 10072). Ecco perché il sistema tabellare di Milano parametra il danno non patrimoniale (biologico) sulla base della previsione di vita media del soggetto; ciò trova concreta attuazione nel coefficiente di abbattimento per l'età che, coerentemente, è pari a 1 (senza dunque alcuna diminuzione) per un soggetto appena nato e decresce all'aumentare dell'età. Se però il danneggiato è già morto, al momento della liquidazione, il danno per i postumi permanenti non è più un danno futuro, ma passato, e, dunque, la sua stima si deve fondare non già sul dato presumibile della durata della vita futura, ma su quello certo e storicamente ormai acquisito del lasso di tempo che va dalla guarigione clinica, con stabilizzazione dei postumi, alla morte. Il danneggiato, infatti, non ha portato su di sé il peso dei reliquati biologici per tutta la durata di una vita media ipotetica, ma solo per quel tempo che al momento della liquidazione è ormai noto. La giurisprudenza della Suprema Corte ha da sempre affermato che per questa tipologia di casi sarebbe erroneo parametrare il risarcimento sulla durata della vita media, dovendosi fare riferimento a quella in concreto vissuta coi postumi (ex multis Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1999 n. 489; Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2009 n. 23053; Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2011 n. 2297; Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2016 n. 679). Il Gruppo Due dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha scelto di denominare questo tipo di danno “danno biologico intermittente”, perché caratterizzato dall'intervallo di tempo che viene in gioco al momento della liquidazione, ossia fra la stabilizzazione dei postumi ed il momento della morte. Il problema della liquidazione
La Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare il principio da seguire censurando come erroneo il metodo di chi calcola il danno biologico intermittente parametrandolo sulla vita media anziché su quella concreta, senza però indicare, come è naturale in relazione alla sua funzione di legittimità, quale debba essere in dettaglio il sistema da seguire. L'interprete può dunque trovarsi privo di strumenti, dal momento che l'intera Tabella di Liquidazione del Tribunale di Milano, così come anche altri sistemi tabellari in uso, fanno esclusivo riferimento al danneggiato che, al momento della liquidazione, sia ancora vivo. Il primo moto è di affidarsi all'equità pura, il refugium peccatorum per tutti coloro che non hanno sistemi migliori. Tuttavia, anche se questo tipo di nocumento, come tutti quelli che trovano la loro sintesi nel concetto unitario di danno non patrimoniale, non può non ricorrere all'equità, ha l'evidente limite di cadere nell'arbitrio. L'equità pura, a ben vedere, è infatti sganciata da qualsiasi parametro di riferimento e trova dunque l'esclusivo suo fondamento nella convinzione soggettiva di chi esegue la liquidazione, non rendendo possibile una certa prevedibilità della decisione. Sarebbe anche astrattamente configurabile un sistema che, partendo dalla stima del danno effettuata sulla base delle Tabelle di Milano in relazione alla percentuale dell'invalidità permanente accertata, prosegua, anziché applicando il coefficiente di diminuzione per l'età inserito nelle Tabelle stesse (parametrato sulla durata della vita media e, dunque, qui non utilizzabile), desumendo aliunde un coefficiente di minorazione che scaturisca dal periodo di tempo effettivamente vissuto dal danneggiato, dalla guarigione sino al decesso. In concreto, la sua realizzazione può avvenire a partire dai dati stilati dall'I.Stat. sulla vita media degli italiani, mediante l'istituzione di una proporzione tra:
Quindi, se una donna di 50 anni ha subito un danno del 20% alla sfera biologica nel 2010, quando secondo i dati diffusi dall'Istat aveva una previsione di vita sino a 84 anni e, dunque, aveva davanti a sé ancora 34 anni (ossia 12410 giorni) di vita, la liquidazione tabellare prevede un correlato abbattimento col coefficiente 0,755. Se invece la donna muore dopo soli due anni (ossia 730 giorni), è possibile ricavare il coefficiente di minorazione da applicare mediante l'equazione 0,755 : 12410 = x : 730, che, risolta, dà 0,044. Sicché, mentre il danno biologico che le verrebbe liquidato se fosse ancora viva sarebbe pari a € 65.608,00 (=4.344,00 x 20 x 0,755), il danno intermittente dovrebbe essere invece valutato in € 3.822,72 (=4.344,00 x 20 x 0,044).
Non è la forte differenza fra i due risultati che lascia insoddisfatti perché, di per sé, ciò è del tutto normale, visto che nel primo caso si stima il ristoro per dover sopportare i postumi per 34 anni (stimati come verosimile durata della vita futura), mentre nel secondo quello per avere subito il disagio per soli due anni. Può però rinvenirsi un eccessivo appiattimento matematico che, pur avendo il pregio di sfuggire la mera equità e di creare uno standard liquidatorio preventivamente noto, non coglie un dato importante della fattispecie, ossia che il disagio biologico, pur seguendo la persona dalla stabilizzazione dei reliquati sino alla morte, va gradualmente scemando quanto a intensità, grazie alla capacità umana di tradurre in abitudine anche aspetti negativi dell'esistenza. Questo criterio, dunque, è da considerarsi troppo poco flessibile rispetto al fenomeno trattato che, come tutti quelli afferenti alla persona, intesa quale entità biologica, si declina in una ampia gamma di stati e situazioni. La proposta del Gruppo Due
Il Gruppo Due ha elaborato un modello liquidatorio che, innanzitutto, distingue il primo anno di sopravvivenza dopo la stabilizzazione dal secondo anno e, in seguito, da ogni anno successivo. In tal modo si è voluto valorizzare sul piano liquidatorio la maggiore incidenza che i postumi hanno nel periodo più vicino all'evento dannoso e la tendenza a diminuire con il passare del tempo e con la reazione d'abitudine che l'organismo oppone alle conseguenze del trauma. Il meccanismo liquidatorio è poi agganciato al risarcimento annuo mediamente corrisposto ad ogni percentuale invalidante secondo i valori monetari individuati dalle Tabelle di Milano. Si calcola dunque:
Il primo anno viene incrementato per valorizzare la maggiore incidenza dei postumi nel periodo di tempo più vicino al trauma; il secondo anno è, del pari, aumentato, seppur in misura minore rispetto al primo; dal terzo in poi, invece, si tiene fermo il valore base. A chiusura del sistema v'è sempre la possibilità/necessità di una personalizzazione che adegui il più possibile la somma riparatoria al caso concreto, con un aumento anch'esso scaturente dalla media delle percentuali di personalizzazione per ciascun punto di invalidità. In unica soluzione è così possibile raggiungere l'obiettivo, a mio avviso, primario, che consiste nella standardizzazione del sistema liquidatorio senza però perdere la peculiare flessibilità, necessaria per adattare il risarcimento al caso concreto. |