Vincono le società radio taxi – il Tribunale di Milano, con provvedimento d’urgenza, inibisce l’utilizzo di “Uber pop”

Redazione Scientifica
16 Giugno 2015

Il Tribunale di Milano ha accolto la richiesta, proposta da una serie di associazioni di taxisti, di inibire alla società Uber l'utilizzo del servizio Uber pop, per aver svolto un servizio taxi abusivo. Nel dettaglio, l'attività degli autisti Uber in assenza di titoli autorizzativi e la loro operatività al di fuori degli oneri imposti dal regime amministrativo dell'attività di trasporto comportano un vero e proprio vantaggio concorrenziale non conforme ai principi della correttezza professionale, idoneo a determinare un illecito e indebito sviamento di clientela.

Trib. Milano, sez. spec. impr. - A, ord., 25 maggio 2015

Taxisti vs Uber. Diverse associazioni di taxisti hanno chiesto al Tribunale di Milano in via cautelare di inibire alla società denominata Uber l'utilizzo del sevizio Uber pop, con conseguente blocco e/o oscuramento del sito internet e dell'applicazione informatica.

Cos'è Uber? La app Uber pop è una applicazione on line facilmente fruibile dall'utente mediante installazione sullo smartphone, attraverso la quale una persona interessata a spostarsi da un luogo all'altro della città (attualmente il servizio copre Milano, Torino, Genova e Padova), anziché chiamare un taxi, può contattare un autista Uber, che sempre mediante l'app viene incaricato di volta in volta di fornire il servizio.

I motivi della richiesta di inibizione. Secondo le società ricorrenti, Uber «avrebbe ideato e organizzato un sistema in sostanza di radio taxi, attraverso il quale i guidatori reclutati offrirebbero un servizio di taxi abusivo, attesa la violazione di questi ultimi di tutte le regole di natura pubblicista che disciplinano il settore, tanto quelle che individuerebbero i requisiti soggettivi che devono possedere gli operatori di trasporto pubblico non di linea, quanto quelle che disciplinerebbero le modalità di svolgimento del servizio stesso».

In sostanza, secondo le ricorrenti, il servizio Uber violerebbe norme di natura pubblicistica, principi di correttezza professionale e le attività svolte andrebbero qualificate sul piano giuridico come condotte di concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, c.c., posto che le predette violazioni «consentirebbero alla società di acquisire un vantaggio concorrenziale, consistente nella possibilità per gli autisti aderenti al servizio di non sostenere determinati costi - indispensabili per fornire regolarmente il servizio dei taxi – e conseguentemente di offrire, nel mercato in cui agiscono i ricorrenti, il medesimo servizio a prezzi, notevolmente inferiori rispetto alle tariffe praticate dagli operatori del pubblico servizio».

Le difese di Uber: 1) l'attività non è paragonabile al servizio taxi. Il servizio infatti si basa su una applicazione informatica che serve a fornire forme di trasporto condiviso, realizzate direttamente dagli utenti. L'obiettivo dei creatori di Uber è stato quello di creare una community, alla quale prendono parte solo coloro che installano sullo smartphone l'app Uber pop al fine di ridurre costi e inquinamento.

2) Nessun carattere abusivo. Secondo la società Uber:

  • i guidatori Uber condividerebbero volontariamente con gli utenti il tragitto, potendo non accettare la richiesta in arrivo, mentre i taxisti offrirebbero un servizio pubblico e senza possibilità di rifiutare la prestazione;
  • gli autisti Uber e gli utenti rappresenterebbero un gruppo chiuso in grado di interagire esclusivamente attraverso la app mobile, mentre i taxisti svolgono un servizio cd. “di piazza”.
  • infine, gli autisti Uber non riceverebbero alcun corrispettivo per l'attività di trasporto svolta ma un mero rimborso spese di viaggio e costi relativi al veicolo.

In definitiva, secondo l tesi della resistente Uber, «il rapporto che si instaura fra passeggeri e gli autisti attraverso la app Uber pop sul piano giuridico andrebbe qualificato come un contratto atipico, espressione del principio di autonomia negoziale di cui all'art. 1322 c.c. e, di conseguenza, non trattandosi di un servizio di trasporto pubblico, non si profilerebbe alcuna violazione delle norme pubblicistiche».

3) Nessun fumus e nessun periculum. La società resistente, inoltre, replica alla richiesta di inibitoria sotto il profilo del fumus boni iuris, offrendo «una interpretazione dell'art. 2598 c.c., orientata al principio costituzionale di libertà dell'iniziativa economica ex art. 41 Cost., che tenga quindi in considerazione come il servizio Uber Pop miri a soddisfare l'interesse della collettività, da valutarsi anche secondo una lettura conforme ai principi antitrust, ostativi alla formazione di monopoli e pro concorrenziali».

Per quanto riguarda il periculum in mora, non vi sarebbe alcuna prova degli effetti dello sviamento della clientela e delle conseguenze negative sull'immagine dei ricorrenti.

La ricostruzione del Tribunale di Milano. Secondo il Giudice milanese:

  • l'attività svolta dalla società resistente è effettivamente ed oggettivamente interferente con il servizio taxi, svolto, come previsto ex lege, da soggetti titolari di licenza;
  • tramite la app Uber pop di fatto si realizza la medesima e specifica modalità operativa del servizio “su piazza” svolto dai taxi: l'utente richiede il servizio dal luogo in cui si trova attraverso la app e l'autista più prossimo si reca a prelevare l'utente per iniziare il trasporto;
  • sussiste una vera e propria remunerazione del servizio fornito dall'autista.

La concorrenza sleale. È ius receptum in sede di legittimità che «in tema di concorrenza sleale, i comportamenti lesivi di norme di diritto pubblico non necessariamente integrano di per se stessi, atti di concorrenza sleale, ai sensi dell'art. 2598, n. 3, c.c., atteso che l'obiettivo anticoncorrenziale può essere raggiunto anche attraverso comportamenti che, benché non siano previsti dalla legge, siano connotati dallo stesso disvalore di quelli espressamente regolati. In particolare, la violazione delle norme pubblicistiche è sufficiente ad integrare la fattispecie illecita quando essa è stata causa diretta della diminuzione dell'altrui avviamento ovvero quando essa, di per se stessa, anche senza un comportamento di mercato, abbia prodotto il vantaggio concorrenziale che non si sarebbe avuto se la norma fosse stata osservata» (Cass., n. 8012/2004). Nel caso di specie - spiega il Giudice milanese – il comportamento della società Uber, volto ad organizzare e stimolare la presenza di autisti abusivi sulla piazza ed a trarre da detta attività dei proventi, risulta certamente connesso all'attività dei singoli autisti che attraverso la loro attività di trasporto violano la normativa di legge che regola il servizio di taxi e ne sfrutta, ampliandole in maniera esponenziale, le capacità di alterazione del mercato soggetto a regolamentazione amministrativa anche a livello tariffario.

In conclusione. «La mancanza dei titoli autorizzatori e l'operatività degli autisti di Uber al di fuori degli oneri imposti dal regime amministrato dell'attività comportano un effettivo vantaggio concorrenziale in capo alle società resistenti che concorrono nel loro insieme a definire un comportamento non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a determinare uno sviamento di clientela indebito». L'illecito sviamento determina quindi un'alterazione dell'adeguatezza del tariffario imposto ai taxisti in quanto modifica anche il quadro complessivo dei fattori economici che concorrono a determinarlo in concreto e determina altresì l'ulteriore profilo di scorrettezza concorrenziale consistente nella sottrazione degli autisti di Uber dagli altri oneri e limiti cui i taxisti sono vincolati.

Sulla base di tali considerazioni, il Tribunale di Milano ritiene che la predisposizione e l'uso dell'app Uber pop integri la fattispecie di illecito concorrenziale di cui all'art. 2598, n. 3, c.c..

Secondo il Giudice meneghino, inoltre, sussiste anche l'ulteriore requisito necessario per l'adozione di misure cautelari consistente nel periculum in mora. Appare difatti evidente che il servizio contestato sia legato ad un fenomeno in crescita e rispetto al quale la società stessa ha previsto un'estensione in altre città.

Il Tribunale di Milano accoglie, quindi, il ricorso cautelare proposto dalle società dei taxisti ricorrenti, emette i provvedimenti di inibitoria che investono l'utilizzazione sul territorio nazionale dell'app Uber pop ed infligge la penale, ex art. 614-bis c.p.c., di Euro 20.000,00 per ogni giorno di ritardo.

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