Rimedio esperibile avverso il decreto di rigetto del ricorso di equa riparazione per incompetenza per territorio del giudice

Michele Liguori
17 Gennaio 2017

La legge di stabilità 2016 (l. 28 dicembre 2015 n. 208) ha riformato in parte la c.detta legge Pinto (l. 24 marzo 2001 n. 89); il quesito in esame riguarda la modifica della competenza per territorio.

La domanda di equa riparazione ex art. 3 l. n. 89/2001 è stata depositata nei termini di legge presso la Corte d'appello di Roma - Sez. Equa Riparazione, dopo l'entrata in vigore della legge di stabilità 2016.

La Corte d'appello con successivo decreto ha dichiarato la propria incompetenza territoriale in virtù della novella legislativa e non ha indicato i termini per l'eventuale riassunzione.

Qual è il rimedio esperibile?

La legge di stabilità 2016 (l. 28 dicembre 2015 n. 208) ha riformato in parte la c.detta legge Pinto (l. 24 marzo 2001 n. 89).

Numerose le novità della riforma, tra cui le più rilevanti sono:

- l'introduzione di ulteriori paletti ed ostacoli al conseguimento dell'equa riparazione costituiti da complessi ed articolati rimedi preventivi (artt. 1-bis e 1-ter), pena l'inammissibilità della domanda (art. 2, comma 1);

- l'allargamento della lista dei soggetti cui non spetta l'equa riparazione (art. 2, comma 2-quinquies e 2-sexies);

- la riduzione della misura dell'indennizzo (art. 2-bis);

- la modifica della competenza per territorio (art. 3, comma 1);

- la modifica delle modalità di pagamento (art. 5-sexies).

Il quesito in esame riguarda proprio una delle su indicate novità legislative: la modifica della competenza per territorio.

L'art. 3, comma 1, l. 24 marzo 2001 n. 89, nel testo originario e sopravvissuto alla precedenti storiche riforme degli anni precedenti - e segnatamente quelle del 2006 (l. 27 dicembre 2006 n. 296), 2012 (d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012 n. 134) e 2013 (d.l. 8 aprile 2013 n. 35, convertito con modificazioni dalla l. 6 giugno 2013 n. 64) - prescriveva che la domanda di equa riparazione doveva essere proposta dinanzi alla corte di appello del distretto in cui aveva sede il giudice competente ai sensi dell'art. 11 c.p.p. a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto si era concluso o estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pendeva il procedimento nel cui ambito la violazione si assumeva verificata.

Il nuovo testo dell'art. 3, comma 1, come sostituito dall'art. 1, comma 777, lett. g), l. 28 dicembre 2015 n. 208, dispone oggi che la domanda di equa riparazione si propone con ricorso al presidente della Corte di Appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto.

Tale modifica contenuta nella legge di stabilità 2016 - pubblicata in G.U. il 30 dicembre 2015, in vigore dal dì 1 gennaio 2016, composta da un solo articolo di ben 999 commi, riguardanti una serie infinita di materie - è passata in un primo tempo misconosciuta ed è stata causa di proposizioni di domande innanzi a giudici divenuti incompetenti.

Il caso oggetto del quesito è proprio questo.

Il difensore ha depositato il ricorso di equa riparazione per l'irragionevole durata del processo innanzi alla Corte di Appello di Roma, che era competente in base al vecchio testo dell'art. 3, comma 1, l. 24 marzo 2001 n. 89.

La Corte di Appello adita ha rilevato la sua incompetenza e con decreto ha rigettato la domanda senza null'altro statuire.

Il rimedio (non l'unico, ma il) più rapido ed economico avverso il decreto declinatorio della competenza è la riassunzione del procedimento avanti al giudice competente (che dovrebbe essere la Corte di Appello di Napoli o Cagliari), con ricorso in riassunzione contenente i requisiti previsti dall'art. 125 disp. att. c.p.c. e, cioè, con il riferimento al precedente atto introduttivo dinanzi al giudice incompetente o alla pregressa fase processuale (Cass. civ., 19 ottobre 2006 n. 22498), entro il termine di tre mesi dal deposito del decreto, ai sensi dell'art. 50, comma 1, c.p.c., norma che consente la translatio iudicii avanti al giudice competente.

L'applicabilità del principio della translatio iudicii anche al procedimento di equa riparazione è confortato in primis da un'interpretazione

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sistematica (non solo letterale, ma soprattutto) sistematica dell'art. 50, comma 1, c.p.c..

Tale norma (art. 50, comma 1, c.p.c.), infatti:

  • ha una portata generale che si desume in primis dalla sua collocazione geografica in quanto è contenuta nel libro primo (disposizioni generali), sezione VI (del regolamento di giurisdizione e competenza) del c.p.c.;
  • regola le conseguenze dell'errore sull'individuazione della competenza;
  • rappresenta un'evidente deroga ai principi sulle conseguenze delle invalidità degli atti processuali;
  • consente la translatio iudicii avanti al giudice competente con chiaro favor per colui che ha adito il giudice incompetente;
  • non esclude espressamente la sua applicabilità a giudizi diversi da quelli di cognizione di primo grado;
  • è applicabile, pertanto, non solo al giudizio di cognizione di primo grado ma anche al giudizio di appello (Cass. civ., Sez. Un., 14 settembre 2016 n. 18121) e, per quello che qui interessa, al procedimento di equa riparazione.

L'applicabilità del principio della translatio iudicii anche al procedimento di equa riparazione è confortato in secundis da un interpretazione costituzionalmente e comunitariamente (oggi unionisticamente) orientata della l. 24 marzo 2001 n. 89.

Il rispetto del fondamentale diritto della parte ad un giusto processo che sia celebrato in tempi ragionevoli, sancito da norme di rango superiore ( artt. 111, comma 1 e 2, Cost., art. 6, paragrafo 1, Convenzione Europea, 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ), infatti, porta a ritenere che il fine primario del giusto processo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito ( Cass. civ., Sez. Un., 14 settembre 2016 n. 18121; Cass. civ., Sez. Un., 5 gennaio 2016 n. 29; Cass. civ., Sez. Un. 20 luglio 2012 n. 12615; Cass. civ., Sez. Un. 3 ottobre 2011 n. 20140; Cass. civ., Sez. Un. 25 luglio 2011n. 16170; Cass. civ., Sez. Un. 4 febbraio 2011 n. 2676; Cass. civ., Sez. Un. 4 febbraio 2011 n. 2675; Cass. civ., Sez. Un. 8 novembre 2010 n. 22622; Cass. civ., Sez. Un. 1 dicembre 2009 n. 25253; Cass. civ., Sez. Un. 4 novembre 2009 n. 23318; Cass. civ., Sez. Un. 28 ottobre 2009n. 22750; Cass. civ., Sez. Un. 24 luglio 2009 n. 17350; Cass. civ., Sez. Un. 17 luglio 2009 n. 16628, Cass. civ., Sez. Un., 22 febbraio 2007 n. 4109 ).

Questo impone all'interprete di evitare interpretazioni di legge troppo restrittive che impediscano la realizzazione della definizione del processo con una decisione di merito.

Il legislatore riformatore del 2012 ( d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012 n. 134 ) ha strutturato il procedimento di equa riparazione sulla falsariga di quello monitorio ma con una differenza di non poco rilievo costituita dal divieto di riproposizione della domanda rigettata.

Il legislatore, infatti, ha espressamente previsto:

  • con l'art. 3, comma 4, ultima parte, l. 24 marzo 2001 n. 89 l'applicabilità al procedimento di equa riparazione dell'art. 640, comma 1 e 2, c.p.c. e non anche del comma 3 che prevede la possibilità di riproposizione della domanda monitoria;
  • con l'art. 3, comma 6, l. 24 marzo 2001 n. 89 il divieto di riproposizione della domanda se il ricorso è in tutto o in parte respinto salvo l'opposizione ai sensi del successivo art. 5-ter.

La reiezione della domanda di equa riparazione per incompetenza del giudice, senza possibilità dello strumento salvifico della translatio iudicii avanti al giudice competente, renderebbe definitiva la pronuncia.

Si verificherebbe, così, l'effetto sconosciuto al ns. ordinamento di una domanda di merito irretrattabilmente preclusa, in qualunque sede, da una pronuncia in rito.

Questa soluzione, tra l'altro, contrasta non solo con il su evidenziato fondamentale diritto della parte ad un giusto processo che si definisca con una decisione di merito (e non di rito), ma anche con i principi generali stabiliti in materia processuale dall'art. 310 c.p.c., da cui si ricava che:

- finanche l'estinzione del processo - vuoi per rinuncia agli atti (art. 306 c.p.c.), vuoi per inattività delle parti (art. 307 c.p.c.) - non estingue l'azione (art. 310, comma 1, c.p.c.) con conseguente possibilità della parte di riproporre la medesima domanda;

- la stabilità delle statuizioni sulla competenza (art. 310, comma 2, c.p.c.) è compatibile solo con un rinnovato giudizio di merito.

A nulla rileva che, nel caso oggetto del quesito, l'incompetenza è stata dichiarata con decreto (come previsto dall'art. 3, comma 4, l. 24 marzo 2001 n. 89) e non con ordinanza (come previsto dal testo dell'art. 50, comma 1, c.p.c.).

La mera diversità del provvedimento decisorio di incompetenza non è di per sé sola sufficiente a derogare i principi generali del ns. ordinamento secondo cui la competenza è, salvo casi espressamente disciplinati diversamente, un mero presupposto processuale (che dunque deve esistere prima della domanda) e non un requisito di ammissibilità (e dunque di validità) della domanda.

Lo dimostrano le chiare disposizioni di cui agli artt. 2943, comma 3, c.c., art. 38, comma 2, 44, 45 c.p.c. e, appunto, il più volte richiamato art. 50 c.p.c..

Ne consegue che nel caso di domanda proposta innanzi a un giudice incompetente - anche quella per irragionevole durata del procedimento - si applica il principio di conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale, con conseguente applicabilità in materia del principio della traslatio iudicii, ai sensi del richiamato art. 50 c.p.c..

A nulla rileva, altresì, che nel caso oggetto del quesito il giudice non ha fissato alcun termine per la riassunzione.

La norma di cui all'art. 50, comma 1, c.p.c., infatti, disciplina anche questa ipotesie prevede espressamente che in tale caso la riassunzione deve avvenire entro il termine di tre mesi dal deposito del provvedimento.

Concorda con tale sostanziale assunto la giurisprudenza di legittimità.

La S.C., infatti:

- in relazione a ricorso per l'irragionevole durata del processo depositato prima delle precedenti modifiche apportate alla c.detta legge Pinto dall'art. 55 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 2012 n. 134 (quando, cioè, non vigeva ancora il procedimento monitorio, la Corte di appello decideva con ordinanza e la domanda rigettata poteva essere riproposta), ha affermato che «In tema di equa riparazione, a norma della l. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 - ai cui sensi la relativa domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il processo presupposto, è divenuta definitiva -, la tempestiva proposizione della domanda giudiziale, ancorché davanti a giudice incompetente, rappresenta un evento idoneo ad impedire la prevista decadenza, purché la riassunzione della causa innanzi al giudice dichiarato competente avvenga in presenza dei presupposti e delle condizioni che permettono di ritenere che il processo sia continuato, ai sensi dell'art. 50 c.p.c., davanti al nuovo giudice, mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali del giudizio svoltosi dinanzi al giudice incompetente» (Cass. civ., 24 dicembre 2014 n. 27389; conf. Cass. civ., 3 dicembre /2014 n. 25620; Cass. civ., 24 ottobre 2014 n. 22729; Cass. civ., 19 ottobre 2006 n. 22498);

- in relazione a ricorso per l'irragionevole durata del processo depositato dopo le modifiche apportate alla c. detta legge Pinto dall'art. 55 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni in l. 7 agosto 2012 n. 134 (che ha previsto sia il procedimento c.detto monitorio, sia la diversa forma della decisione da parte della Corte di Appello mediante decreto, sia la non riproponibilità della domanda rigettata), ha affermato che «In materia di equa riparazione ai sensi della l. n. 89 del 2001, anche dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012, convertito in l. n. 134 del 2012, la competenza del giudice adito costituisce presupposto processuale e non già requisito di ammissibilità della domanda. Pertanto, la Corte d'appello, adita con l'opposizione ai sensi dell'art. 5-ter stessa legge, ove ritenga di non essere investita della competenza a provvedere non può rigettare la domanda, ma deve declinare la competenza e, indicato il diverso giudice competente, deve fissare il termine di riassunzione del procedimento innanzi a lui, in applicazione dell'art. 50 c.p.c.» (Cass. civ., 22 dicembre 2015 n. 25827; conf. Cass. civ., 3 settembre 2015 n. 17549; Cass. civ., 1 settembre 2015 n. 17381; Cass. civ., 1 settembre 2015 n. 17380).

Il rimedio suggerito (l'immediata riassunzione del procedimento innanzi alla Corte di Appello competente), come anticipato nella parte inziale della presente risposta, non è l'unico ma è il più rapido ed economico.

L'altro rimedio avverso il decreto di rigetto del ricorso di equa riparazione per incompetenza è l'opposizione ex art. 5-ter l. 24 marzo 2001, n. 89 e, in caso di suo rigetto, il ricorso per cassazione.

Il giudice adito vuoi con l'opposizione, vuoi, successivamente, con il ricorso, infatti, rilevata l'incompetenza del giudice adito nella fase monitoria, dovrà dichiarare la competenza del novello giudice e concedere il termine per la riassunzione del procedimento.

Ciò è quello che è successo negli ultimi casi decisi dalla S.C. e su indicati (Cass. civ., 22 dicembre 2015 n. 25827; Cass. civ., 3 settembre 2015 n. 17549; Cass. civ., 1 settembre 2015 n. 17381; Cass. civ., 1 settembre 2015 n. 17380).

In tutti tali casi, infatti:

- la Corte di Appello (che è sempre la stessa, quella di Perugia) ha dichiarato, con i relativi decreti, la sua incompetenza per territorio ed ha rigettato i ricorsi;

- le parti hanno esperito, avverso detti decreti, il rimedio dell'opposizione ex art. 5-ter, l. 24 marzo 2001, n. 89;

- la Corte di Appello, in composizione collegiale, ha rigettato i ricorsi;

- le parti hanno proposto ricorso per cassazione;

- la S.C. ha accolto i ricorsi, ha cassato i decreti impugnati, ha dichiarato la competenza della Corte di Appello (di Roma) ed ha concesso il termine di giorni 90 dalla comunicazione delle sentenze per la riassunzione dei procedimenti.