Criteri di liquidazione dei danni agli animali
17 Dicembre 2014
Il primo problema da affrontare per poter argomentare in merito ai danni conseguenti alla lesione o morte degli animali è il loro inquadramento giuridico all'interno del nostro ordinamento. Certamente l'animale non può essere inquadrato nell'ambito della “persona”, intesa quale insieme di materia e intelligenza tutelata nel nostro ordinamento in modo specifico, sia penalmente che civilisticamente. Come sappiamo, infatti, dopo anni di silenzio, il legislatore si è espressamente interessato anche alla regolamentazione del danno alla persona conseguente ad un fatto illecito, inserendo la nozione di danno biologico all'interno degli artt. 138 e 139 Cod. Ass. e disponendo tabelle di legge per il risarcimento di danni da lesione di lieve entità conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, successivamente estese anche ai danni conseguenti alla responsabilità dell'esercente la professione sanitaria a mezzo della legge 8 novembre 2012 n. 189 (meglio conosciuta come “decreto Balduzzi”). Alcune perplessità sono sempre state rilevate nell'inquadrare i danni agli animali nella più ampia categoria dei danni a cose. Del resto, il nostro legislatore, indubbiamente, ha previsto solo due categorie di beni: persone e cose. Ad esempio, dalla lettura dell'art. 2054 c.c. per l'applicabilità della presunzione di responsabilità nell'ambito della circolazione dei veicoli, si evince l'obbligo a risarcire il danno prodotto a persone o cose. Non potendo ritenere che l'ordinamento non preveda il danno all'animale e non potendo, quest'ultimo, essere inserito nella categoria “persone”, per esclusione non resta che dedurre che vada inserito tra la categoria delle “cose” con tutte le conseguenze che ne derivano. Non si può sottacere, però, come il “comune sentire”, negli ultimi anni, abbia comportato una sempre maggiore attenzione alla tutela degli animali, tant'è vero che la legge 14 agosto 1991, n. 281 - Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo – all'art. 1 promuove la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente; la legge 11 luglio 2004 n. 189, dopo il Titolo IX del Libro II del codice penale ha inserito il Titolo IX bis intitolato Dei delitti contro il sentimento per gli animali (artt. 544 bis c.p. e ss.); la legge 4 novembre 2010, n. 201, ha ratificato e posto in esecuzione la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, fatta a Strasburgo il 13 novembre 1987; il Trattato di Lisbona del 2007, all'art. 13 ha sancito la necessità di tenere in conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti; con il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 217 del 9 ottobre 2012, è stata data attuazione alle modifiche al Codice della strada in materia di trasporto e soccorso di animali in stato di necessità, con inserimento nell'art. 189 Codice della Strada il comma 9-bis che fa obbligo ai conducenti di autoveicoli, in caso di incidente da essi provocato e da cui sia derivato danno ad uno o più animali d'affezione, da reddito o protetti, di fermarsi per prestare tempestivo soccorso agli animali investiti. La norma pone un obbligo di tempestivo soccorso anche a carico degli utenti che non abbiano determinato l'incidente con il loro comportamento, ma che siano comunque coinvolti nello stesso. È stato altresì modificato l'art. 177 comma 1 Codice della Strada, consentendo l'utilizzo dei dispositivi acustici di allarme e di segnalazione visiva ai conducenti di autoambulanze veterinarie e dei mezzi di soccorso per il recupero degli animali o di vigilanza zoofila, sino ad arrivare legge 11 dicembre 2012 n. 220 che ha modificato l'art. 1138 c.c., disponendo che le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Risulta quindi evidente come l'animale, pur non potendo essere inquadrato giuridicamente tra le “persone”, rappresenti un qualcosa di diverso rispetto alle mere “cose”, non foss'altro in quanto autonomamente mobile e dotato di cervello. Non si può non tenere in conto come in merito ai danni alle cose, incida sui criteri di liquidazione la maggiore o minore fungibilità delle stesse. Per quanto riguarda il danno agli animali la fungibilità ha ancora più rilievo; questi, infatti, possono passare dalla fungibilità più assoluta (vedi l'animale da allevamento) all'infungibilità più assoluta (il più bell'esemplare di una particolare specie). Si badi bene che l'infungibilità è una qualità oggettiva, che non ha nulla a che vedere con l'affezione del singolo verso quell'animale. Il legame affettivo, invece, entra in gioco in tema di danno non patrimoniale per lesione o perdita totale dell'animale. Sul punto la Suprema Corte di Cassazione, con le note sentenze a Sezioni Unite del 2008 n. 26972 (Cass. S.U. n. 26972/2008) aveva evidenziato come non fosse risarcibile il pregiudizio sofferto per la perdita di un animale (un cavallo da corsa) incidendo la lesione su un rapporto, tra l'uomo e l'animale, privo, nell'attuale assetto dell'ordinamento, di copertura costituzionale (Cass. civ., sez. III, 27 giugno 2007, n. 14846), salvo, naturalmente, che l'evento fosse conseguenza di un reato. Successivamente, però, molti tribunali di merito hanno ammesso la risarcibilità del danno non patrimoniale/morale patito in seguito alla perdita dell'animale d'affezione (si veda, da ultimo, Trib. Milano, 1 luglio 2014 n. 8698, oggetto di commento su Ri.Da.Re. a cura dell'avvocato Eloisia Minolfi, Limiti di risarcibilità del danno da lesione e perdita dell'animale da affezione), in certi casi riconosciuto anche in assenza di reato. Una sentenza del tribunale di Bari riconosce il danno non patrimoniale per la morte dell'animale, trattandosi di violazione del diritto di proprietà, rientrante nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, purché venga allegata e provata la sussistenza di un rapporto consolidato tra il proprietario e l'animale(Trib. Bari 22 novembre 2011). Ma la perdita dell'animale potrà incidere anche sugli aspetti relazionali del suo padrone. Emblematico è il caso del cane-guida utilizzato dai non vedenti; questi, se privati improvvisamente della loro guida, potrebbero essere costretti a ridurre o interrompere per periodi anche non brevi, l'attività sociale. Detta eventualità, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, se allegata e provata, andrebbe certamente valorizzata dal Giudice sotto il profilo del quantum risarcitorio. In mancanza di indicazioni da parte del legislatore, il danno non potrà che essere liquidato in via equitativa, tenendo necessariamente in conto l'intensità del rapporto intercorrente tra l'uomo e l'animale. Per quanto riguarda il danno patrimoniale, andrà liquidato in applicazione dei criteri generali dettati dagli artt. 1223 e 1226 c.c., richiamati dall'art. 2056 c.c. in tema di responsabilità extracontrattuale. Bisognerà, pertanto, valutare il danno emergente e il lucro cessante legati da un rapporto causale con l'evento di danno e quindi con il fatto illecito consistente nella lesione o uccisione del bene animale. In linea generale, i danni risarcibili riguardano il danno intrinseco per la perdita dell'animale o per le ripercussioni conseguenti alla stessa, tenuto conto della possibile infungibilità o meno del bene (si pensi al cane da tartufo, piuttosto che il cavallo da corsa). Come per ogni altro tipo di danno, il danneggiato deve evitare di adottare condotte che aggravino le conseguenze, scegliendo rimedi ragionevoli, così come disposto dall'art. 1227 comma 2 c.c. Trattandosi, però, di danni ad animali, il danneggiato dovrà valutare, adottando l'ordinaria diligenza e buona fede, quale sia il limite entro il quale le spese di cura da affrontare rientrino nelle ragionevoli previsioni di cui al capoverso dell'art. 1227 c.c. Risulta evidente, quindi, come in alcuni casi, probabilmente in presenza di totale fungibilità del bene e assoluta mancanza di affezione (si pensi al pesce di un allevamento ittico), sia necessario l'abbattimento dell'animale piuttosto che la prestazione di cure. Viceversa, di fronte ad un fatto illecito dal quale è conseguita una lesione al più valoroso dei purosangue, potranno essere affrontate anche cure costosissime senza incorrere nel pericolo che il risarcimento venga ridotto in proporzione al ritenuto aggravamento del danno da parte del danneggiato. Chi liquida il risarcimento, quindi, sarà chiamato a valutare la necessità, sul piano morale ed economico, dell'abbattimento dell'animale piuttosto che delle necessarie cure. Nel caso in cui il bene abbia un valore economico ante sinistro, la somma risarcitoria massima che potrà essere liquidata in ragione delle spese sostenute per le cure sarà pari alla differenza di valore del bene prima e dopo il sinistro (si veda Cass. civ., n. 21012/2010). Ma come risolvere il caso dell'animale domestico, privo di particolare “pedigree” (e quindi privo di oggettivo valore economico), ma al quale il suo padrone è particolarmente affezionato? Quante spese potranno essere affrontate dal danneggiato con la consapevolezza di poterne ottenere la ripetizione dal responsabile civile? Abbiamo già riferito in precedenza come chi liquida il danno debba compiere una valutazione in ordine alla opportunità di abbattere l'animale piuttosto che di affrontare spese di cura. Più specificatamente andrà valutato il rapporto tra le spese da affrontare e l'effettivo valore – anche affettivo – dell'animale. Proprio partendo dal concetto di affezione e dal valore economico attribuito al rapporto uomo-animale in sede di liquidazione del danno non patrimoniale da riconoscersi per la perdita dell'animale d'affezione, una recente sentenza del Tribunale di Milano, già in precedenza citata (Trib. Milano n. 8698/2014), ha statuito quale importo massimo da riconoscere per spese di cura di un animale domestico privo di valore intrinseco - all'infuori di quello affettivo - la medesima somma riconosciuta per il danno non patrimoniale. Pertanto, a fronte di un danno non patrimoniale di euro 3.000,00 non potranno essere riconosciute spese per cure veterinarie superiori a detto importo. Il criterio appare indubbiamente degno di nota, anche se certamente ve ne potranno essere altri altrettanto validi. Sarà sempre compito del bravo avvocato mettere in luce e provare quelle circostanze che oggettivamente, nel caso sottoposto all'esame del tribunale, potranno convincere il giudice della necessità delle spese affrontate, nel rispetto del disposto dell'art. 1227 comma 2 c.c. Si può ipotizzare, ad esempio, il caso di un soggetto che rischi una grave crisi depressiva ove il suo animale domestico muoia. Con ogni evidenza, se venisse provato il nesso causale tra la perdita dell'animale e il probabile grave danno biologico, sarebbe giustificabile affrontare ingenti spese anche per curare un animale privo di valore meramente economico. Relativamente al caso di perdita dell'animale per uccisione, ove le spoglie dell'animale morto rivestano un valore apprezzabile (si pensi l'utilizzazione della carne o delle pelli o delle corna), andrà detratto l'importo che potrà essere conseguito con la vendita delle stesse.
Interessante è il problema del danno da lucro cessante per la perdita dell'animale in funzione della produttività economica dello stesso. Il valore intrinseco dell'animale che deve essere riconosciuto come danno e che serve anche quale parametro per valutare il limite di spese da affrontare in caso necessità di cure, è quello del valore di mercato, sul quale incidono diverse variabili: la rarità della specie, la salute anche in relazione all'età dell'esemplare, le caratteristiche qualitative più o meno rare all'interno della stessa specie. L'utilizzazione economica dell'animale è la più svariata e può essere suddivisa in due grandi categorie: l'animale da spettacolo, nel quale è da includersi anche la competizione e l'esibizione e l'animale che sia strumentale ad una qualche attività dell'uomo. Per esemplificare le attività collegate alla categoria dello spettacolo possiamo pensare agli animali da circo o a quelli che partecipano alle corse o ai concorsi di bellezza. Per quanto riguarda gli animali che svolgono un'attività strumentale all'uomo, vi sono i cani pastore, da tartufo, da caccia, da guardia o da guida per i non vedenti, oppure quelli utilizzati dalle forze dell'ordine o di pronto intervento (cani antidroga, poliziotto, salvataggio in mare o in montagna o comunque per la ricerca delle persone - oggi si parla di cani molecolari). Non si può non menzionare gli animali da tiro quali gli equini (cavalli, asini, muli) i bovini (traino agricolo), i cani (traino a slitta), gli elefanti ecc. La diversa utilità dell'animale è importante per introdurre il problema dei costi d'addestramento che va distinto dal mero allevamento. Per “allevamento” si intende l'attività del custodire, far crescere e riprodurre animali che andranno utilizzati nei più diversi modi: dal ricavarne cibo, all'utilizzo per la corsa. L'addestramento, invece, si riferisce all'acquisizione di conoscenze, abilità e capacità alla pratica di una certa attività. Il costo dell'addestramento non potrà essere richiesto come danno emergente, ma se provato, servirà per far aumentare il valore dell'animale anche in relazione alla sua infungibilità collegata alla resa dell'allenamento. Se i risultati conseguiti saranno straordinari, l'animale risulterà infungibile e quindi di maggior valore. Di converso, se l'addestramento sarà risultato ininfluente, il valore dell'animale diminuirà. Per quanto riguarda il danno per la perdita di animali d'allevamento – eventualmente, ancora da addestrare – trattasi di beni maggiormente fungibili e quindi, in via presuntiva, di minor valore intrinseco. L'allevamento può essere di tipo artigianale oppure a carattere industriale. Le finalità dell'allevamento possono essere le più svariate: dalla produzione di latte, dallo sfruttamento della carne o degli escrementi, per passare alle finalità collegate all'abbigliamento (cuoio o pellame), oppure a fini riproduttivi (tori, stalloni ecc.). Il valore dell'animale da allevamento è anch'esso conseguenza del valore di scambio dello stesso. Le caratteristiche qualitative dell'animale da allevamento - che incidono sul suo valore - sono studiate dalla zootecnica quale disciplina che si occupa della produzione dell'allevamento e dello sfruttamento degli animali domestici. Interessante una decisone della Suprema Corte in un caso di decesso di 140 bovini erroneamente abbattuti dall'ASL (Cass. n. 17492/2007). Nel provvedimento i Giudici di legittimità affrontano il problema della valutazione dei capi di bestiame abbattuti e compiono il seguente ragionamento: pur essendo stato dimostrato, da un lato, che 140 e non 171, come invocato dalla parte attrice animali erano stati abbattuti pur non risultando, al momento, infetti, e, dall'altro, quale fosse il loro valore di mercato (almeno nella prospettazione della società danneggiata), il danno non poteva essere liquidato, come preteso dalla parte danneggiata, nel detto valore al momento dell'abbattimento. Trattavasi, infatti, senza dubbio, di animali che ancorché non risultati al momento infetti provenivano pur sempre da un allevamento infetto e che, pertanto, ove non abbattuti, da un lato, dovevano essere tenuti in isolamento (rispetto a altri animali) e sottoposti a controlli rigorosi nell'arco dei due semestri successivi (nel corso dei quali altri capi potevano risultare infetti), dall'altro, i prodotti di stalla proveniente da dette bestie (letame e latte) non poteva ex lege essere utilizzato liberamente come si trattasse di bestie sane. La decisione conferma come in caso di illecito abbattimento di bestiame, ai fini del giusto risarcimento, sia necessario tenere in conto il valore dell'animale al momento del fatto illecito (tenendo in conto il suo stato di salute e la sua commerciabilità), al quale andrà detratto il valore conseguibile con lo sfruttamento delle spoglie.
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