La Consulta sulla responsabilità civile dei magistrati: l'eliminazione del filtro è incostituzionale?
18 Luglio 2017
Le censure del giudice a quo La pronuncia in commento trae origine dalle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, l. n. 18/2015, in materia di responsabilità civile dei magistrati, il quale, abrogando l'art. 5 l. n. 117/1988, ha eliminato il “filtro di ammissibilità” della domanda risarcitoria proposta nei confronti dello Stato. La norma censurata, infine, si porrebbe in contrasto con il principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.). In mancanza del “filtro”, il magistrato sarebbe incentivato ad intervenire nel giudizio risarcitorio e, divenendo parte di quel giudizio, farebbe scattare l'obbligo di astensione nel processo originario o, comunque, ricorrere all'astensione facoltativa. Con la conseguenza che la proposizione dell'azione di responsabilità potrebbe costituire uno strumento indiretto per distogliere la causa dal suo giudice naturale.
La riforma del 2015 ha realizzato un equo bilanciamento tra interessi contrapposti La pronuncia in commento premette la necessità di perseguire il delicato bilanciamento tra due interessi contrapposti: da un lato, il diritto del soggetto ingiustamente danneggiato da un provvedimento giudiziario ad ottenere il ristoro del pregiudizio patito (cfr. C. Cost., n. 2/1968); dall'altro, la salvaguardia delle funzioni giudiziarie da possibili condizionamenti, a tutela dell'indipendenza e dell'imparzialità della magistratura (cfr. C. Cost. n. 26/1987).
Il filtro di ammissibilità non è l'unico rimedio contro il rischio della c.d. giurisprudenza difensiva In tale cornice di rinnovato bilanciamento normativo − i cui termini sono rimessi alla discrezionalità del legislatore, nei limiti della ragionevolezza − si colloca la scelta legislativa di abolizione del “filtro di ammissibilità”. Non è costituzionalmente necessario che, per bilanciare i contrapposti interessi, sia prevista una delibazione preliminare dell'ammissibilità della domanda contro lo Stato, quale strumento indefettibile di protezione dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. Tale esigenza, infatti, può essere soddisfatta dal legislatore per altra via: ciò è quanto accaduto con la l. n. 18/2015, per un verso mediante il mantenimento del divieto dell'azione diretta contro il magistrato e con la netta separazione dei due ambiti di responsabilità, dello Stato e del giudice; per un altro, con la previsione di presupposti autonomi e più restrittivi per la responsabilità del singolo magistrato, attivabile, in via di rivalsa, solo se e dopo che lo Stato sia rimasto soccombente nel giudizio di danno; per un altro ancora, tramite il mantenimento di un limite della misura della rivalsa.
Nessuna irragionevolezza o disparità di trattamento La pronuncia in commento ritiene infondato, altresì, il dubbio di costituzionalità avanzato in relazione all'art. 3 Cost., sulla base della ritenuta irragionevolezza della soppressione del filtro di ammissibilità e della violazione del principio di eguaglianza rispetto alle “pronunce semplificate di inammissibilità” introdotte dal legislatore in rapporto alle impugnazioni ordinarie.
Salvaguardato anche il principio del giudice naturale Parimenti infondata è la censura relativa alla violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.). Sul punto, la Consulta osserva che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. Un., n. 16627/2014), la pendenza della causa di danno contro lo Stato non costituisce motivo di astensione o ricusazione del giudice autore del provvedimento. E ciò neppure nel caso di intervento del magistrato in detta causa: non vi è, infatti, un rapporto diretto parte-magistrato, che valga a qualificare il secondo come debitore – anche solo potenziale – della prima (così Cass. civ., Sez. Un., n. 13018/2015).
Nessun vulnus alla ragionevole durata del processo Il giudice delle leggi ritiene, infine, non fondata la questione relativa alla paventata violazione dell'art.111 Cost., sotto il profilo del contrasto con il principio della ragionevole durata del processo.
(FONTE: Dirittoegiustizia.it)
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