Da risarcire i soci di minoranza per l’omessa Opa obbligatoria
19 Ottobre 2015
La fusione. Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione interviene sulla vexata quaestio della scalata Sai alla Fondiaria Assicurazioni, operazione terminata nel settembre del 2002 con la fusione e la contestuale nascita di Fonsai.
La Cassazione ricostruisce il quadro normativo. La norma centrale per ricostruire la vicenda in esame, secondo gli Ermellini, è l'art. 106 d.lgs. n. 58/1998, ai sensi del quale nell'ipotesi in cui taluno, a seguito di acquisti a titolo oneroso, venga a detenere una partecipazione superiore al 30% delle azioni di una società quotata, il medesimo deve promuovere un'offerta pubblica di acquisto avente ad oggetto la totalità delle restanti azioni. Se l'acquisto di azioni oltre detta soglia sia stato operato da più soggetti che abbiano agito di concerto, poi, a norma del successivo art. 109 l'obbligo di offerta pubblica è posto solidalmente a carico di tutti costoro. Il legislatore, inoltre, ha sanzionato l'eventuale violazione di siffatto obbligo, stabilendo che, ove l'offerta pubblica non sia promossa, il diritto di voto inerente all'intera partecipazione detenuta da colui che vi avrebbe dovuto provvedere non può essere esercitato e che i titoli eccedenti l'indicata percentuale del 30% devono essere alienati entro dodici mesi. Sono, infine, previste altre possibili sanzioni amministrative e penali irrogabili nell'evenienza in questione.
La natura dell'obbligo di lanciare l'offerta pubblica di acquisto. Il meccanismo legale sopra descritto, proseguono i Giudici di Piazza Cavour, pur se concepito anche per la realizzazione di finalità pubblicistiche inerenti al buon funzionamento del mercato finanziario, nell'immediato è destinato a realizzare il soddisfacimento di un interesse facente capo ai soci di minoranza, cui il legislatore vuole che l'offerta di acquisto sia rivolta affinché essi possano scegliere se conservare la titolarità delle loro azioni, confidando in un futuro aumento del valore e della redditività delle stesse, o se monetizzare per beneficiare anch'essi in qualche misura del premio di maggioranza. Ne discende che la proposizione dell'opa nei casi sopra ricordati non configura un mero onere per l'acquirente del pacchetto azionario che superi la soglia del 30, ma neppure si risolve in un generico dovere, ovverosia in un obbligo di comportamento imposto al fine del soddisfacimento di esigenza di carattere generale, verso soggetti non determinati, che impone al soggetto passivo di cooperare al fine di realizzare l'interesse cui è ordinato il rapporto. Deve, dunque, conclude il Supremo Collegio, ritenersi che il comportamento di cui sopra integri un vero e proprio obbligo, come si può comprendere, tra l'altro, dalla stessa previsione di un trattamento manifestamente sanzionatorio connesso alla sua violazione, nonché per le ulteriori sanzioni amministrative e penale. Ne discende che all'offerta pubblica di acquisto deve essere riconosciuta natura di vero e proprio obbligo giuridico.
L'omissione dell'offerta pubblica di acquisto fa nascere una responsabilità a carico dello scalatore. Gli Ermellini, inoltre, sono intervenuti sul tema della qualificazione giuridica della responsabilità dello scalatore. Dal Palazzaccio hanno rilevato che la giurisprudenza ammette ormai pacificamente che tra i fatti idonei a generare un'obbligazione vadano annoverate tutte le situazioni che creano un affidamento di uno di essi nell'altrui condotta. Il contesto sistematico e giurisprudenziale, quindi, consente di affermare «l'esistenza in caso di scalata di una società, di un affidamento del socio di minoranza all'esercizio del diritto di exit e al contestuale realizzo del c.d. premio di controllo, tramite l'adesione all'opa obbligatoria che lo scalatore è tenuto a lanciare». Da tanto deriva che il superamento della soglia partecipativa del 30% costituisce un fatto idoneo, rilevante ex art. 1173 c.c., a far scaturire l'obbligazione a carico dello scalatore nei confronti di soggetti determinati di lanciare l'opa. L'eventuale condotta omissiva, dunque, assume rilevanza ai fini risarcitori ex art. 1218 c.c., con le conseguenti ricadute soprattutto sul piano dell'onere della prova (presunzione di reponsabilità) e della prescrizione (decennale)
L'omissione dell'offerta pubblica di acquisto determina un danno risarcibile. A fronte delle considerazioni sopra esposte, pertanto, i Giudici di Piazza Cavour hanno concluso che la perdita di detta opzione di acquisto - che l'opa obbligatoria omessa avrebbe dovuto assicurare - «determina un danno risarcibile, ove gli azionisti di minoranza dimostrino di aver perso una possibilità di guadagno a causa della mancata promozione dell'offerta, che può anche non coincidere in modo automatico con il prezzo di vendita se l'offerta fosse intervenuta, dovendosi considerare anche gli eventi successivi incidenti sul valore di borsa delle azioni riamaste in portafoglio».
(tratto da: www.dirittoegiustizia.it) |