Concorso di colpa del minore incapace: il risarcimento va ridotto ex art. 1227 c.c.
22 Marzo 2017
IL CASO Un bambino di tre anni viene investito da un'autovettura, riportando gravi lesioni; i genitori si rivolgono al Tribunale di Teramo per ottenere il risarcimento del danno. Il Giudice di prime cure ritiene sussistente una concorrente responsabilità nella causazione del sinistro nella misura del 20% per aver il bambino attraversato incautamente la carreggiata, sfuggendo all'accompagnamento del padre. Divenuto maggiorenne, il danneggiato, per ottenere il risarcimento “pieno”, ricorre prima alla Corte d'Appello dell'Aquila, che conferma la sentenza di primo grado, ed ora alla Suprema Corte, affidando il proprio ricorso a cinque motivi.
COMPORTAMENTO IMPRUDENTE DEL MINORE La Suprema Corte, nel valutare congiuntamente il quarto ed il quinto motivo di ricorso, volti a censurare il concorso di colpa nel minore nella causazione del sinistro, dichiara la loro infondatezza. La Cassazione ritiene lampante, dalla lettura della sentenza di merito, che il giudice avesse invece giudicato imprudente il comportamento del minore, che, sfuggendo di mano al padre, aveva attraversato la strada improvvisamente, ritrovandosi al centro della carreggiata nel momento in cui transitava la vettura che poi l'aveva investito.
RILEVABILITÀ D'UFFICIO La Suprema Corte ricorda il principio consolidato secondo cui, in tema di risarcimento del danno, «il fatto colposo del creditore che abbia contribuito al verificarsi dell'evento dannoso è, ex art. 1227, comma 1, c.c., rilevabile d'ufficio dal giudice, per cui la sua prospettazione non richiede la proposizione di un'eccezione in senso proprio, avente natura di mera difesa (ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 3 giugno 2013 n. 13902)».
INCAPACITÀ DI INTENDERE E VOLERE DELLA VITTIMA Secondo la Cassazione, il fatto che la vittima sia un minore o comunque persona incapace di intendere e di volere, non determina una deroga alla riduzione percentuale del danno «in ragione dell'entità percentuale dell'efficienza causale del soggetto danneggiato, che attenua il nesso di causalità tra condotta e danno, fissando un limite al principio della condicio sine qua». Se la vittima di un fatto illecito ha concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, si riduce proporzionalmente l'obbligo del responsabile di risarcirlo, ex art. 1227, comma 1, c.c. anche se la vittima non fosse capace di intendere e di volere, in quanto «la locuzione “fatto colposo” contenuta nell'art. 1227 c.c. deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, e non quale sinonimo di comportamento colposo, per cui l'indagine deve essere limitata all'accertamento dell'esistenza della causa concorrente nella produzione dell'evento dannoso, prescindendo dalla imputabilità del fatto all'incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo (ex multis, Cass. civ., 22 giugno 2009 n. 14548).
La Suprema Corte rigetta il ricorso e da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
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