Danni da caduta dal marciapiede: il titolo della responsabilità della P.A.
21 Gennaio 2015
Una donna, caduta da un marciapiede, formulava richiesta di ristoro al Comune proprietario dello stesso. La compagnia assicuratrice, garante la RCT del Comune, rigettava la richiesta di risarcimento, sostenendo che non vi fosse insidia e trabocchetto, trattandosi di marciapiede danneggiato in modo visibile in più punti. La donna contestava la decisione, replicando attraverso il proprio difensore, che nella fattispecie in esame occorreva applicare l'art. 2051 c.c., ossia la responsabilità oggettiva da cose in custodia, per cui al danneggiato incombeva solo l'onere di provare il danno ed il nesso di causalità, non anche la sussistenza dell'insidia e trabocchetto. Contestava inoltre che l'insidia e trabocchetto si applica nel caso di responsabilità ex art. 2043 c.c.. In materia di danni cagionati agli utenti dai marciapiedi qual è l'orientamento ultimo della giurisprudenza di legittimità, ossia si applica l'art. 2051 oppure l'art. 2043 c.c. ?
L'assicurazione di un Comune negava il risarcimento del danno subito da una donna caduta da un marciapiede dissestato in più punti. L'assicurazione del Comune aveva negato il risarcimento affermando che, essendo visibili i difetti del marciapiede, non vi fosse alcuna insidia e trabocchetto, richiamando così l'orientamento che riconduce la fattispecie in esame all'art. 2043 c.c.. Tale interpretazione è però in via di superamento da parte della giurisprudenza, che ritiene applicabile a tale ipotesi l'art 2051 c.c., sia pure entro limiti determinati (cfr. A. Di Florio, Insidia, trabocchetto, in Ri.Da.Re, §§ 1 ss.). La Suprema Corte (Cass. civ. n. 15042/2008; Cass. civ. n. 21329/2010; Cass. civ. n. 22528/2014), proprio in relazione a danni causati da “sconnessioni del marciapiede”, ha chiarito che occorre valutare caso per caso se – in relazione all'estensione territoriale e alle modalità d'uso del bene – sia o meno possibile un continuo ed efficace controllo ad opera dell'ente pubblico, idoneo ad impedire l'insorgere di cause di pericolo per gli utenti, ammettendo una responsabilità ex art. 2051 c.c. per i danni subiti dagli utenti, solamente quando la custodia del bene sia esercitabile nel caso concreto, tenuto conto di tutte le circostanze. Si dovrà quindi verificare in concreto, non solo l'estensione territoriale del bene e le concrete possibilità di vigilanza su di esso, ma altresì la natura e tipologia delle cause che abbiano provocato il danno, e quindi, se esse siano intrinseche alla struttura del bene, così da costituire fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode (quali ad esempio l'usura o il dissesto del fondo stradale, la presenza di buche, ecc.), o se si tratti invece di situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non immediatamente conoscibili ed eliminabili (perdita d'olio ad opera del veicolo di passaggio, abbandono di vetri rotti, ferri arrugginiti, ecc.). Di recente la Corte di Cassazione (Cass. civ. n. 22684/2013) ha anche chiarito che ai fini dell'accertamento della responsabilità assume rilievo non solo «la violazione dell'obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito” ma anche il “profilo causale dell'evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno» con la conseguenza che si verificherà una inversione dell'onere della prova in ordine al nesso causale «incombendo comunque sull'attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito». Il danneggiato avrà quindi l'onere di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo, mentre il custode, per liberarsi dalla sua responsabilità, dovrà provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass. civ. n. 858/2008; 8005/2010; 5910/2011). Infatti, il comma 2 dell'art. 2051 c.c. non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. La giurisprudenza più recente ritiene quindi che nel caso in cui il danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica una ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla relativa responsabilità (Cass. civ. n. 4279/2008; n. 21727/2012; Trib. Milano, 8 gennaio 2014, n. 164). Peraltro la Suprema Corte ha affermato che «la prova del nesso causale è particolarmente rilevante e delicata nei casi in cui il danno non sia l'effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada e simili), ma richieda che al modo di essere della cosa si unisca l'agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo essa di per sè statica e inerte» (Cass.civ. n. 2660/2013). In tali ipotesi sorge quindi la necessità «di ulteriori accertamenti quali la maggiore o minore facilità di evitare l'ostacolo; il grado di attenzione richiesto allo scopo, ed ogni altra circostanza idonea a stabilire se effettivamente la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l'oggettiva responsabilità del custode», presupposti necessari per l'operatività dell'art. 2051 c.c. che debbono essere provati dal danneggiato, per poter affermare che il danno è conseguenza causale della situazione dei luoghi. Se si deduce che l'evento dannoso sia stato provocato da una cosa di per sé “statica” per provare il nesso causale è necessario che il danneggiato dimostri che lo stato dei luoghi presenti caratteristiche tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione. La giurisprudenza, quindi, pur configurando una responsabilità oggettiva dell'ente, delimita i rischi a carico dello stesso, stabilendo che siffatta presunzione è superabile con la prova del caso fortuito, tale dovendosi intendere il fattore di pericolo creato occasionalmente da terzi, che abbia causato il danno prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore, nonché una condotta del danneggiato di per sé idonea a cagionare l'evento. Non configura invece caso fortuito il mero concorso colposo del danneggiato, che ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., non esclude la responsabilità, ma riduce il risarcimento secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il danno che il custode dovrà risarcire potrà essere pertanto ridotto se, accertata la mancanza dell'esimente del caso fortuito, valutate le circostanze concrete (visibilità, orario, ecc.) il danneggiato, con un normale grado di attenzione, avrebbe potuto accorgersi della presenza delle “disconnessioni” ed evitarle.
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