Condanna oltre il massimale di legge in caso di sinistro automobilistico
21 Luglio 2017
È possibile essere condannati oltre il massimale di legge in caso di sinistro automobilistico?
Il massimale previsto dalla normativa speciale in tema di responsabilità civile obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli a motore costituisce il limite di capienza ex lege entro e non oltre il quale l'assicuratore del danneggiante è tenuto a indennizzare il danneggiato: delle eventuali somme riconosciute “ultra massimale” in favore del danneggiato dovrà rispondere il danneggiante stesso con il solo limite dell'eventuale esistenza della responsabilità per mala gestio a carico dell'assicurato.
Ai sensi del comma 1 dell'art. 144 del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 (Codice della Assicurazioni Private) - che ha trasfuso e abrogato l'art. 18 della l. 24 dicembre 1969 n. 990 - «Il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante, per i quali vi è obbligo di assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'impresa di assicurazione del responsabile civile, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l'assicurazione». Il legislatore, in materia di responsabilità civile per i danni derivanti da sinistri stradali, ha introdotto un obbligo legale a carico dell'assicuratore (c.d. limite all'autonomia contrattuale ex art. 1322 c.c.) che trova la sua ragione nella esigenza di assicurare che eventuali danni a cose e persone che siano collegati a qualsiasi evento dannoso che comunque si ricolleghi alla circolazione stradale abbiano, comunque, una adeguato e certo ristoro operando nel contempo un bilanciamento tra la garanzia risarcitoria in favore dei danneggiati e i limiti alla prevedibilità dell'indennizzo a carico dell'assicuratore. La disposizione suindicata trova giustificazione nel fatto che l'obbligazione risarcitoria dell'assicuratore è contenuta nelle somme relative al costo del rischio per le quali è stata prestata la garanzia assicurativa: il relativo debito ha natura indennitaria trovando fonte nella legge e il limite nella capienza del massimale, a differenza del debito del danneggiate assicurato che ha natura aquiliana ed è illimitato (in tal senso Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2013 n. 14537). Secondo l'insegnamento della più recente giurisprudenza di legittimità il massimale non è elemento essenziale del contratto di assicurazione [contra altra meno recente pronuncia della Suprema Corte che ha qualificato il massimale contrattualmente pattuito quale elemento costitutivo della pretesa fatta valere dall'assicurato (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2011 n. 10811)] e può essere validamente previsto pur in assenza della relativa pattuizione – atteso che i limiti minimi dei massimali per danni a persone e a cose sono stabiliti dall'art. 128 del d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 (Codice della Assicurazioni Private) - e neppure costituisce fatto generatore del credito assicurato configurandosi piuttosto come elemento limitativo dell'obbligo dell'assicuratore (Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 2016 n. 3173); consegue, sul piano probatorio, che è onere dell'assicuratore provare l'esistenza e la misura del massimale, dovendosi altrimenti accogliere la domanda di garanzia proposta dall'assicurato a prescindere da qualsiasi limite del medesimo. Occorre aggiungere che eventuali modifiche sopravvenute nel corso del rapporto di assicurazione rispetto alla capienza del massimale nel periodo compreso tra la data di verificazione e quella di denuncia di un sinistro non determinano l'aumento della responsabilità dell'assicuratore perché continua ad applicarsi il massimale originario: i principi di aleatorietà, mutualità ed inversione del ciclo produttivo che caratterizzano l'attività assicurativa impongono una permanente coerenza tra premio pagato e rischio garantito, la quale può essere soddisfatta solo se l'assicuratore conosca in anticipo il limite di quanto potrà essere chiamato a pagare per ciascun sinistro (Cass. civ., sez. III, 13 novembre 2015 n. 23210). Il principio affermato dalla Suprema Corte vale a confermare quanto sopra rilevato in ordine alla natura legale del debito e alla necessità che sia posto un limite prevedibile al quantum che l'assicuratore deve corrispondere una volta verificatosi l'evento per cui è garantito il rischio assicurativo relativo alla responsabilità civile per i danni derivanti da sinistri stradali. Chiariti, quindi, quelli che sono i presupposti e i limiti del massimale in materia di assicurazione obbligatoria per danni da sinistri stradali e riconosciuto che, oltre detti limiti, risponde l'assicurato-danneggiate occorre soffermarsi sull'unica ipotesi in cui detta preclusione non opera rispondendo invece l'assicuratore. Il rapporto che sorge tra assicurato e assicuratore, seppure di fonte legale, ha natura contrattuale rispondendo il secondo nell'adempimento della propria obbligazione verso l'assicurato ai sensi degli artt. 1175, 1176 e 1376 c.c. . Pertanto, in caso di ritardo nell'adempimento, l'assicuratore risponde dei danni secondo quanto previsto dall'art. 1224 c.c. e a tal fine l'accertamento del modo e del tempo in cui l'assicuratore è tenuto ad eseguire la propria obbligazione e della sua mora va compiuto in base alle clausole del contratto che individuano il rischio assicurato e regolano la richiesta di pagamento dell'indennità (in tal senso Cass. civ., sez. III, 5 maggio 1990 n. 3739).
Quanto alla individuazione delle condotte concrete idonee ad integrare elementi valutabili in termini di addebito della responsabilità per mala gestio se riconducibili a comportamenti qualificabili come inerzia, negligenza o mala fede deve rilevarsi che sono qualificabili in tal senso l'ingiustificato ritardo dell'assicuratore nel procedere agli accertamenti di parte circa l'entità del danno (visita dell'infortunato, esame della documentazione, ecc.) come pure l'ingiustificata sottovalutazione dell'entità delle lesioni rispetto a quella che poi venga accertata (Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2011 n. 25222).
Trattasi di una ipotesi di responsabilità qualificata dalla giurisprudenza come una forma di mala gestio impropria che sussiste tutte le volte in cui l'assicuratore ritardi colposamente il pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento in favore del terzo danneggiato. Pertanto l'assicuratore è tenuto alla corresponsione degli interessi sul massimale ed, eventualmente, del maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c. (che può consistere anche nella svalutazione monetaria); tale danno deve essere liquidato, allorché il credito del danneggiato già al momento del sinistro risultava eccedere il massimale, attraverso la corresponsione di una somma pari agli interessi legali sul massimale, ovvero, in alternativa, attraverso la rivalutazione dello stesso, se l'inflazione è stata superiore al saggio degli interessi legali, in applicazione dell'art. 1224, comma 2, c.c., mentre, se lo stesso era originariamente inferiore al massimale e solo in seguito è levitato oltre tale soglia, il danno sarà pari alla rivalutazione del credito, cui andrà aggiunto il danno da lucro cessante liquidato secondo i criteri previsti per l'ipotesi di ritardato adempimento delle obbligazioni di valore (Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2014 n. 13537; conf. Cass. civ., sez. VI-III, ordinanza del 26 aprile 2017 n. 10221). Resta inteso che la responsabilità ultramassimale a carico dell'assicuratore copre solo gli interessi e il maggior danno (anche da svalutazione monetaria, per la parte non coperta dagli interessi) ma può riguardare il capitale dal momento che il limite del massimale, stabilito in via convenzionale ovvero nel minimo legale, è insuperabile (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2016 n. 4892, nonché Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2014 n. 14199).
Sul piano processuale occorre aggiungere che mentre il danneggiato che intenda invocare la responsabilità ultramassimale dell'assicuratore incorso per "mala gestio" impropria non ha l'onere di formulare la relativa domanda in modo espresso, potendo ritenersi la medesima come necessariamente ricompresa nella richiesta di condanna dell'assicuratore stesso all'integrale risarcimento del danno, diversamente l'assicurato che intenda invocare la responsabilità ultramassimale del proprio assicuratore per "mala gestio" propria, ha l'onere di formulare in modo esplicito la relativa domanda (Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2010 n. 15397).
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