Le S.U. mettono la parola “fine” al danno tanatologico

Redazione Scientifica
22 Luglio 2015

«Il più terribile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perché per i vivi essa non c'è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci» (Epicuro – Lettera sulla felicità a Meneceo)

Orientamenti a confronto: il contrasto tra il “nuovo” e il “vecchio”. Da un lato c'è una giurisprudenza, più attuale, che ammette la risarcibilità, iure hereditatis, del danno derivante da perdita della vita verificatasi immediatamente dopo le lesioni riportate in un incidente stradale (Cass., sent., 23 gennaio 2014, n. 1361). Dall'altro c'è, invece, un più vecchia e costante giurisprudenza che ha negato tale risarcibilità (Cass., S.U., n. 3475/1925, confermata dalla Corte. cost., sent., n. 372/1994).

Chi vince? In un caso in cui le parti invocavano il risarcimento iure hereditatis del danno biologico per la morte del congiunto, la Cassazione, rilevato il contrasto giurisprudenziale, ha deciso di rimettere gli atti alle Sezioni Unite. La questione in esame è la seguente: e' risarcibile o no, iure hereditatis, il danno da perdita della vita immediatamente conseguente alle lesioni derivanti da un fatto illecito?

La risposta delle S.U.: vince il “vecchio”. «Nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, si ritiene che non possa essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis». Le Sezioni Unite, quindi, confermano, mantengono e danno continuità all'orientamento che nega il risarcimento di tale danno.

«L'irrisarcibilità» - spiegano le S.U. - «deriva - non dalla natura personalissima del diritto leso (…) ma dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo».

Inoltre, «nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico "vita" che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente».

Le S.U. hanno anche chiarito che «la progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile da quella penale ha comportato l'obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza e (...) l'affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria» della responsabilità civile.

«La coscienza sociale non è criterio che possa legittimamente guidare l'attività dell'interprete del diritto positivo».

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