Un comportamento omissivo, dal quale fosse conseguita, in ragione della mancata conoscenza dei dati stessi, una lesione dell'integrità o della salute dei terzi o della collettività, risulta idoneo a cagionare danno ingiusto agli effetti dell'art. 2043 c.c. Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11994/17 depositata il 16 maggio.
La fattispecie. L'Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone proponeva ricorso per Cassazione contro gli eredi dell'attore in primo grado, defunto nelle more del giudizio, e contro la sua compagnia di assicurazione avverso la sentenza con cui la Corte d'appello di Catanzaro, in riforma della decisione di primo grado, aveva condannato la ricorrente al risarcimento dei danni richiesti dal de cuius.
La domanda dell'attore aveva ad oggetto il risarcimento dei danni asseritamente patiti a seguito del contagio di HCV dalla moglie, la quale, prima della sua scomparsa, era stata sottoposta a intensi cicli di cura e interventi di dialisi presso la struttura ospedaliera dell'ASL n. 5 di Crotone, con trasfusioni infette che ne avevano procurato la morte.
A fondamento della propria pretesa risarcitoria l'attore aveva lamentato che la struttura ospedaliera, pur risultando da un referto di analisi che la moglie era affetta dalla predetta patologia, non lo aveva mai reso edotto della circostanza, impedendogli così di assumere le necessarie precauzioni volte a sottrarsi al contagio.
Gli operatori sanitari possono trattare dati personali solo in presenza di una incapacità di intendere e di volere del paziente? Per quanto qui di interesse, con il primo motivo di gravame la ricorrente deduce la violazione ovvero la falsa applicazione del Codice di Deontologia Medica del 1998 e del combinato disposto con la l. n. 675/1996.
Secondo la ricorrente, infatti, non era mai emersa in atti la prova della incapacità di intendere e di volere della moglie dell'attore e che, nel sistema delle norme della legge sulla privacy e del Codice Deontologico Medico del 1998 esisterebbe invece un bilanciamento tra il diritto alla riservatezza del paziente e la tutela della salute dei terzi o della collettività, nel senso che solo in situazioni in cui il paziente sia incapace di intendere e di volere e, quindi, di disporre del suo diritto, quest'ultimo arretrerebbe di fronte a detta tutela e gli operatori sanitari potrebbero disporre dei dati riservati di loro conoscenza, mentre, qualora il paziente sia capace di intendere e di volere e, conseguentemente, di proteggere autonomamente la salute dei prossimi congiunti, sussiste ancora l'obbligo di riservatezza degli operatori sanitari che lo hanno in cura.
La tutela della collettività prevale sulla riservatezza. I Giudici della Suprema Corte hanno respinto il ricorso, evidenziando come l'art. 23 l. n. 675/1996 preveda non già un “potere” di trattamento, bensì un “dovere di trattamento” e dunque di attivarsi per informare il terzo o la collettività, esistendo il consenso preventivo o manifestato nell'immediato, e di attivarsi rivolgendo richiesta al Garante in mancanza di consenso.
Tale conclusione è, secondo la Corte, imposta dalla natura stessa dell'interesse tutelato: tanto quello del terzo quanto quello della collettività, inerendo alla salute e all'integrità psico-fisica i quali sono, all'evidenza, interessi non disponibili, il che esclude che il verbo “potere” suggerisca una scelta in capo al sanitario di tutelarli oppure no.
In altre parole, secondo la prospettazione fornita dai Giudici, nel regime della l. 31 dicembre 1996, n. 675, in base all'ultimo inciso dell'art. 23, nel caso in cui il sanitario e la struttura sanitaria, nell'ambito del rapporto curativo, avessero acquisito dati personali sullo stato di salute di un paziente il cui trattamento risultava indispensabile per la tutela dell'incolumità e della salute dei terzi o della collettività, in presenza di una originaria autorizzazione dell'interessato a informare circa la vicenda curativa i suoi familiari e, quindi, al trattamento, devono non solo ritenersi autorizzati a rivelare i dati a questi ultimi senza necessità di intervento del Garante, bensì obbligati a farlo, con la conseguenza che un comportamento omissivo, dal quale fosse conseguita, in ragione della mancata conoscenza dei dati stessi, una lesione dell'integrità o della salute dei terzi o della collettività, risulta idoneo a cagionare danno ingiusto agli effetti dell'art. 2043 c.c.
(Tratta da www.dirittoegiustizia.it)