Risarcibile l’ansia da lavavetri? La risposta al Giudice amministrativo

Redazione Scientifica
23 Luglio 2015

La richiesta di risarcimento del “danno esistenziale” derivante da “ansia” e “disagio” provocato dai mendicanti e dai “lavavetri” che ai semafori chiedono soldi agli automobilisti va indirizzata al giudice amministrativo e non al giudice ordinario. E ciò in quanto in capo all'automobilista non è configurabile un diritto soggettivo alla circolazione stradale senza insidie, ma, eventualmente, un interesse legittimo all'adozione da parte del Comune di provvedimenti contingibili e urgenti volti alla tutela della sicurezza urbana. Le sezioni Unite hanno così affermato la giurisdizione del giudice amministrativo che dovrà verificare se in casi del genere sia configurabile un interesse legittimo alla mancata adozione di provvedimenti di pubblica sicurezza.

La domanda attorea. Un automobilista conveniva in giudizio il comune di Udine per sentirlo condannare al risarcimento del danno esistenziale, per il disagio e l'ansia subita a causa dei mendicanti che, da oltre un anno, erano soliti chiedere denaro agli automobilisti all'altezza di un incrocio stradale. Secondo l'attore il Comune, quale ente proprietario della strada, era venuto meno ai suoi doveri: non avrebbe, difatti, adottato, ex art. 14 C.d.S., misure idonee ad impedire e far cessare questi comportamenti “molesti”, nonché “pericoli per la circolazione”.

Il difetto di giurisdizione. I giudici di merito rilevavano il difetto di giurisdizione: nel caso concreto l'uomo non lamentava un danno derivato direttamente dalla cosa in custodia (ossia da beni demaniali o facenti parte del patrimonio indisponibile della PA) per effetto di un'omessa attività materiale del comune e rispetto alla quale l'automobilista avrebbe potuto vantare una posizione di diritto soggettivo tutelabile davanti all'autorità giudiziaria ordinaria.

L'attore, sempre secondo i giudici di merito, si sarebbe lamentato, in realtà, della mancata adozione, da parte del Comune, di misure atte ad interrompere la pratica dell'accattonaggio all'incrocio stradale, dove abitualmente l'autista transitava. Secondo tale ricostruzione, il danno esistenziale lamentato, non deriverebbe direttamente dalla cosa ma dal mancato esercizio da parte del Comune di poteri autoritativi, volti a porre fine al lamentato fenomeno.

La parola al giudice di legittimità. Ricorreva allora in Cassazione l'uomo, lamentando violazione e falsa applicazione di legge, nonché manifesta illogicità della motivazione.

La Suprema Corte, nel affrontare la questione in esame, ricorda che «quando viene in rilievo un'attività umana espressione di una forma di mendicità e di una “semplice richiesta di aiuto” (Corte Cost., sent. n. 519/1995) proveniente da chi si trova in condizioni di povertà, non è pertinente il richiamo al dovere dell'ente proprietario della strada di porre in essere una attività materiale (…) come recita l'art. 14 C.d.S.».

Nessun diritto soggettivo. Inoltre, come hanno chiarito le S.U. (Cass. S.U., ord., 18 maggio 2015, n. 10095) «la pretesa a che un'autorità amministrativa eserciti i poteri che la legge le assegna per la tutela di un interesse pubblico non può sicuramente essere configurata come un diritto soggettivo di colui il quale quella pretesa voglia far valere in giudizio (…)».

In aggiunta – spiega la Cassazione - «la posizione soggettiva di cui l'attore pretende la tutela non è, nemmeno in astratto, qualificabile in termini di diritto soggettivo, ma, semmai, di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo», a cui sono demandate ex art. 7, comma 4, c.p.a., le controversie attinenti provvedimenti, atti od omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.

Sulla base di tali argomenti, le Sezioni Unite rigettano il ricorso e dichiarano la giurisdizione del Giudice amministrativo