Errata diagnosi e intervento routinario: il medico deve provare l'assenza di colpa

Redazione Scientifica
25 Gennaio 2016

In tema di interventi routinari e richiesta di risarcimento del danno per errata diagnosi del medico, è onere del professionista provare l'assenza di colpa in relazione alla condotta tenuta, dimostrando di aver osservato, nell'esecuzione della prestazione sanitaria, la diligenza normalmente richiesta ad uno specialista.

Errata diagnosi. Un uomo chiedeva la condanna del medico al risarcimento dei danni subiti a seguito dell'erronea diagnosi di una malattia. Nel dettaglio, il paziente, a cui il professionista aveva diagnosticato una «psoriasi a chiazze del glande» - affetto invece da una «semplice micosi» - aveva subito diversi danni a causa delle cure prescritte, del tutto inadeguate con la patologia in realtà sofferta. L'uomo, poi, si era rivolto ad altro medico ed in seguito ad un intervento era guarito completamente.

I giudici di merito rigettavano la domanda attorea:

  1. il Tribunale riteneva carente la documentazione prodotta e inidonea a stabilire quale fosse la reale patologia sofferta dal paziente;
  2. la Corte d'appello riteneva che la Ctu non avesse potuto accertare nulla di rilevante, vista l'intervenuta guarigione senza postumi, e che non fosse stata raggiunta certezza dell'errore diagnostico compiuto.

Il paziente ricorreva allora in Cassazione, censurando l'impugnata sentenza per vizio di motivazione e violazione dell'art. 1176 c.c..

Intervento routinario. È ius receptucm in sede di legittimità il principio per cui «in presenza di interventi sanitari cd. “routinari”, quale quello di specie, sia onere del professionista provare l'assenza di colpa in relazione alla condotta tenuta (…) dimostrando di aver osservato, nell'esecuzione della prestazione sanitaria, la diligenza normalmente richiesta ad uno specialista, ed esigibile in capo ad un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione».

L'omissione del medico. Gli Ermellini rilevano che nel caso di specie l'attore aveva correttamente allegato – e quindi adempiuto al suo onere probatorio - l'esistenza di un rapporto contrattuale con il medico ed il mancato miglioramento della patologia da cui era affetto. Il medico, invece, non aveva fornito alcuna dimostrazione dell'adeguatezza del proprio operato. Anzi, nonostante il paziente gli avesse portato la corretta diagnosi medica dell'altro professionista a cui si era rivolto, il medico aveva insistito nel suo convincimento errato.

Ai fini della prova della mancanza di danno, è irrilevante la circostanza che all'atto della ctu il ricorrente risultasse guarito, stante la prova dell'errore diagnostico e dell'inutilità delle cure prescritte.

I danni. Infine, la Corte Suprema riconosce l'esistenza dei lamentati ed allegati danni non patrimoniali, «quantomeno sotto l'aspetto della compromissione dei rapporti coniugali, attesa la natura della patologia lamentata»; mentre «la valutazione di quelli patrimoniali dovranno formare oggetto di una valutazione conseguente alle considerazioni che precedono».

Accolto il ricorso, la Cassazione cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello.

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