Il risarcimento unitario delle differenti componenti del danno non patrimoniale: note a margine della sentenza n. 7766/2016

27 Giugno 2016

La natura onnicomprensiva ed unitaria del danno non patrimoniale costituisce la cornice nella quale il giudice deve operare quando si approssima, in modo necessariamente solo tendenziale, al risarcimento integrale del danno alla persona.La specifica situazione soggettiva protetta a livello costituzionale e la centralità della persona impongono al giudicante di valutare le allegazioni e le prove relative alle componenti interiori del danno nonché ai riflessi modificativi della vita quotidiana del soggetto danneggiato. L'innegabile diversità di tali componenti del danno alla persona pone l'interprete dinanzi al difficile compito di adottare criteri risarcitori che, senza il ricorso ad “automatismi matematici”, consentano di liquidare in modo unitario ed onnicomprensivo, ma allo stesso tempo tendenzialmente integrale, i diritti fondamentali oggetto di lesione (lesione che non potrà mai essere catalogata in una “tabella universale della sofferenza umana”).
Il dialogo tra le diverse anime della corte di Cassazione

L'inquadramento teorico e l'individuazione concreta delle caratteristiche e dei confini del danno non patrimoniale continuano a rappresentare uno dei punti più problematici della giurisprudenza della Suprema Corte in tema di responsabilità civile.

La lettura delle numerose sentenze emesse sul tema in esame conferma come, nonostante una premessa teorica adesione al contenuto del c.d. statuto del danno non patrimoniale, disegnato dalla Sezioni Unite nel 2008, i giudici della III Sezione Civile chiamati, in particolare, a trattare questo tema, continuino ad utilizzare gli argomenti tratti dalla pronunce della Corte Costituzionale (cfr. in particolare Corte Cost. nn. 233/2003 e 235/2014) e della stessa Cassazione, non solo a Sezioni Unite, per giungere a conclusioni spesso non univoche.

La lettura di quanto affermato nelle sentenze Cass. n. 11851/2015 e Cass. n. 4379/2016, entrambe emesse dalla III Sezione Civile, non fa che confermare come, pur partendo dal medesimo punto di partenza (la natura unitaria ed onnicomprensiva del danno non patrimoniale), e riaffermando la necessità di una rigorosa valutazione delle allegazioni e delle prove, vengano utilizzati argomenti spesso tratti da precedenti pronunce, per arrivare a conclusioni radicalmente difformi (riconoscendo, la prima delle sentenze citate, la necessità di distinguere i pregiudizi non patrimoniali «ontologicamente diversi», e la seconda, al contrario, l'esigenza di operare una «liquidazione unitaria che tenga conto di tutti i pregiudizi concretamente accertati»).

In particolare, nella pronuncia n. 11851/2015, la Corte di Cassazione afferma la «legittimità dell'individuazione della doppia dimensione fenomenologica del danno, quella di tipo relazionale, oggetto espresso della previsione legislativa in aumento, e quella di natura interiore, da quella stessa norma, invece, evidentemente non codificata e non considerata» e conclude che «ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza, pertanto, per la sua doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza» (v. in Ri.Da.Re. D. Spera, Il danno non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale) è risarcibile solo come danno da sofferenza?, M. Hazan, Il danno morale nella RC auto dopo la sentenza 11851/2015 e Il danno non patrimoniale: una questione “quantitativa”, presentata sotto mentite spoglie).

Pochi mesi dopo, nella sentenza Cass. n. 4379/2016 (della stessa III Sezione) si legge: «È vero che in alcune isolate decisioni di questa Corte si è affermato che il danno c.d. "morale" (rectius, il danno non patrimoniale consistente nel turbamento dell'animo causato dall'illecito) avrebbe natura "ontologicamente" diversa dagli altri pregiudizi non patrimoniali, con la conseguenza che va risarcito autonomamente, ove provato, senza che ciò comporti alcuna duplicazione risarcitoria» (da ultimo, in tal senso, Cass. civ., sez. III, sent., 9 giugno 2015, n. 11851) È tuttavia altresì vero che tale orientamento per un verso non può in alcun modo essere condiviso, ponendosi in frontale contrasto con la sistemazione della materia adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte, cui questo Collegio convintamente aderisce (così come, da ultimo, Cass. civ., sez. lav., sent., 20 novembre 2015, n. 23793).

La lettura delle approfondite e colte sentenze emesse dalla Suprema Corte, spesso motivate in senso difforme da quelle emesse dalla medesima Sezione, a volte definite “isolate” (con collegi composti da giudici che componevano anche il collegio che ha deciso la sentenza che si ritiene di «non poter in alcun modo condividere») non sempre riesce a fornire al giudice di merito omogenei ed unitari orientamenti, ai quali guardare nella valutazione del caso concreto.

L'individuazione di sottocategorie descrittive, la classificazione delle stesse, i tentativi di accogliere nuove voci di danno (il riferimento corre, ovviamente, al c.d. danno esistenziale), la ferma negazione delle stesse, l'invocata onnicomprensività del danno biologico e l'impossibilità di risarcire voci diverse di danni alla salute, costituiscono solo alcuni dei temi sovente utilizzati nelle pronunce della Suprema Corte che, lontane dal raggiungere un'unitaria composizione, non riescono, ad avviso di chi scrive, a fornire indicazioni unitarie in grado di orientare l'interprete del diritto.

La natura del danno non patrimoniale da lesione di diritti costituzionalmente tutelati: in particolare la sentenza 7766/2016

Nel panorama giurisprudenziale, noto a tutti gli operatori del diritto che si confrontano con il tema della responsabilità civile, la sentenza Cass. civ., n. 7766/2016 (v. A. Scalera, Danni non patrimoniali: la Cassazione ritorna sul danno esistenziale e sul danno morale, in Ri.Da.Re.) si distingue per il tentativo di ricondurre ad unità alcuni degli innegabili contrasti della Suprema Corte e per l'individuazione di specifici direttrici alle quali guardare nel difficile compito del risarcimento del danno alla persona.

La sentenza in commento, citando e condividendo un precedente emesso dalla stessa Sezione (Cass. 4379/2016), riafferma che il nostro ordinamento positivo conosce e disciplina (soltanto) la duplice fattispecie del danno emergente e del lucro cessante (art. 1223 c.c.) e quella del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) e ribadisce che la natura unitaria del danno non patrimoniale, espressamente predicata dalle Sezioni Unite, deve essere intesa, secondo tale insegnamento, come unitarietà rispetto alla lesione di qualsiasi interesse costituzionalmente rilevante non suscettibile di valutazione economica (Cass.,Sez. Un., n. 26972/2008).

I giudici della III Civile, dopo aver ricordato l'importanza di identificare «l'indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l'onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all'ambiente, il diritto alla libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà religiosa, ecc.)», precisano che la stessa deve essere analizzata in modo “rigoroso”, per poi essere, in modo altrettanto “rigoroso”, valutata, «sul piano della prova, tanto dell'aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana)». Nella pronuncia in esame – che si sofferma nel precisare che «ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza per la sua doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna dell'essere e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza» - si legge la descrizione della innegabile molteplicità degli aspetti legati alle lesioni del diritto alla salute e della “reale natura” e della «costante essenza del danno alla persona: la sofferenza interiore, le dinamiche relazionali di una vita che cambia».

Molto significativo, ad avviso di chi scrive, il richiamo contenuto della pronuncia in esame all'art.612-bis c.p., che, sotto la rubrica intitolata «Atti persecutori», dispone che sia «punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura (ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva), ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita». Tale disposizione di legge, ricorda l'estensore, «per quanto destinata ad operare in un ristretto territorio del diritto penale, descrive i due autentici momenti essenziali della sofferenza dell'individuo: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana».

«Danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, rigorosamente provati caso per caso, al di là di sommarie quanto impredicabili generalizzazioni (chè anche il dolore più grave che la vita può infliggere, come la perdita di un figlio, può non avere alcuna conseguenza in termini di sofferenza interiore e di stravolgimento della propria vita di relazione per un genitore che, quel figlio, aveva da tempo emotivamente cancellato, vivendo addirittura come una liberazione la sua scomparsa; chè anche la sofferenza più grande che un figlio può patire, quale la perdita per morte violenta di un genitore, non implica ipso facto la risarcibilità del danno, se danno non vi fu perché, da tempo, irrimediabilmente deteriorato il rapporto parentale)».

L'operazione ermeneutica alla quale è chiamato il giudice del risarcimento del danno alla persona è dunque, nei confini tracciati dalla pronuncia in esame, quella che parte dall'individuazione della situazione giuridica lesa, dell'analisi dell'allegazione che della detta situazione l'attore ha compiuto e della conseguente valutazione della prova che egli è riuscito a fornire.

Ritenere che il danno biologico possa esaurire tutte le potenziali forme di lesione del diritto alla salute, aprioristicamente negando che tale lesione abbia provocato riflessi di contenuto diverso ed ulteriore (ove specificamente allegati e provati) su quella specifica persona che a noi lamenta di aver subito un determinato danno, non consente di leggere le molteplici ed innegabili sfaccettature della complicata essenza del danno alla persona.

Così compiuta la preliminare ed ineludibile fase descrittiva delle diverse componenti del danno alla persona, l'interprete deve poi procedere alla verifica relativa alla gravità della lesione ed alla serietà del danno (operazione consentanea anche al risarcimento del danno non patrimoniale nelle ipotesi in cui sia lo stesso legislatore ad avere positivamente tipizzato tale rimedio rispetto a quel determinato diritto/interesse, cfr. sul punto Cass. n. 16133/2014). Il principio di solidarietà (che si pone tra i valori fondanti dell'ordinamento giuridico stesso «come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente», Corte Cost. sent. n. 75/1992), «punto di mediazione che consente al sistema ordinamentale di salvaguardare il diritto del singolo nell'ambito della collettività» (Cass., n. 16133/2014), giustifica l'individuazione di una “soglia di risarcibilità” che ben può tollerare sofferenze interiori o modificazioni della vita quotidiana che si pongono al di sotto della detta soglia.

Ancora: allegazione e prova del danno non patrimoniale

La pronuncia in esame ha il pregio di richiamare l'attenzione del giudice sull'individuazione della situazione soggettiva lesa (e sulle componenti, di natura interiore e di tipo relazionale ad essa eventualmente correlate) e sulla valutazione, da compiersi in modo rigoroso (termine che l'estensore richiama ben due volte), senza il ricorso ad automatismi risarcitori, delle specifiche allegazioni e delle prove fornite dal danneggiato.

Proprio in merito all'allegazione, occorre precisare che nelle domande di risarcimento, tale onere investe non solo il danno evento, ma anche tutti i danni conseguenza lamentati.

Con riferimento ai mezzi di prova, si osserva che la prova del danno non patrimoniale può essere data anche a mezzo di presunzioni (cfr. giurisprudenza sul danno da morte del congiunto, v. Cass., 31 maggio 2003, n. 8827; Cass., 31 maggio 2003, n. 8828; Cass., 19 agosto 2003, n. 12124; Cass., 15 luglio 2005, n. 15022; Cass., 12 giugno 2006, n. 13546 ), che in argomento assumono anzi "precipuo rilievo" (v. Cass., Sez. Un., 24 marzo 2006, n. 6572). Le presunzioni valgono in realtà a sostanzialmente facilitare l'assolvimento dell'onere della prova da parte di chi ne è onerato, trasferendo sulla controparte l'onere della prova contraria (v. Cass., 12 giugno 2006, n. 13546).

Costituendo un mezzo di prova di rango non inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non "più debole" della prova diretta o rappresentativa, ben possono le presunzioni assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice (v. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 24 marzo 2006, n. 6572, Cass., 12 giugno 2006, n. 13546, Cass., 6 luglio 2002, n. 9834), costituendo una "prova completa", sulla quale può anche unicamente fondarsi il convincimento del giudice (v. Cass., 12 giugno 2006, n. 13546).

Premesse tali considerazioni, a parere di chi scrive nella sentenza in commento la Suprema Corte fornisce un'indicazione ulteriore, preziosa per il giudice del risarcimento del danno alla persona, chiamato non ad una teorica speculazione sulla natura del danno non patrimoniale, ma ad una rigorosa valutazione delle allegazioni e delle prove fornite. In particolare, la Cassazione chiarisce che delle presunzioni «il giudice di merito potrà disporre alla luce di una ideale scala discendente di valore dimostrativo, una volta che essi, in una dimensione speculare rispetto alla gravità della lesione, rivestiranno efficacia tanto maggiore quanto più sia ragionevolmente presumibile la gravità delle conseguenze, intime e relazionali, sofferte dal danneggiato».

Secondo le indicazioni della Suprema Corte, dunque, in presenza di un'offesa di gravità elevata, l'onere del danneggiato di allegare tutti gli elementi idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentono di risalire al fatto ignoto (rappresentato dai due aspetti del danno sopra evidenziati), dovrà ritenersi affievolito.

In conclusione

L' “intima coerenza” del sistema risarcitorio del danno non patrimoniale e il rispetto della natura unitaria ed onnicomprensiva di tale tipologia di danni, viene nella pronuncia in commento riaffermata anche attraverso l'invito, rivolto al giudice del risarcimento del danno alla persona, a guardare alle specifiche situazioni soggettive violate ed a valutare, in modo rigoroso, le lesioni subite (nei termini in cui le stesse siano allegate e provate), nelle innegabili differenti componenti, di natura interiore e relazionale, dei danni in esame. Valutazione e liquidazione dei diversi aspetti del danno alla persona che non significa affatto moltiplicazione o incremento del quantum risarcito. Seguendo in modo rigoroso il percorso motivazionale sopra descritto e facendo una corretta applicazione del richiamato art. 2 Cost., infatti, ben si potrebbe giungere anche a risarcimenti inferiori.

L'indicazione della Suprema Corte consente, peraltro, di valutare e risarcire i danni conseguenti dalla lesione del diritto alla salute in modo coerente ed omogeneo con quanto avviene per i danni derivanti da violazioni di altre situazioni soggettive di rango costituzionale.

A fronte di una lesione del diritto alla reputazione, ad esempio, nessun interprete ha mai contestato l'applicazione di criteri risarcitori che, tenendo conto delle conseguenze che la diffusione della notizia diffamatoria ha avuto sulla vita del danneggiato (nelle sue componenti dinamico relazionali) e della sofferenza soggettiva dallo stesso subita, modulano la tipologia di risarcimento in ragione delle diverse sfaccettature del danno esaminato.

A parere di chi scrive, pertanto, in ossequio a quanto efficacemente argomentato dalla Suprema Corte nella sentenza Cass., n. 7766/2016, nell'esaminare la questione del danno non patrimoniale, non ci si potrà esimere dal valutare la innegabile coesistenza di aspetti legati alla sofferenza soggettiva patita in conseguenza della lesione subita ed all'impatto sulla vita quotidiana del danneggiato, per passare poi, superato in senso positivo lo scrutinio relativo all'allegazione ed alla prova, alla sua eventuale liquidazione.

Solo per completezza, merita un cenno uno dei più recenti progetti di riforma dell'intero sistema del danno non patrimoniale, presentato dal vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, progetto che, nel proporre la riforma dell'art. 2059 c.c., prevede, testualmente: «Art. 2059 - (Danno non patrimoniale) - il danno non patrimoniale è risarcibile qualora il fatto illecito abbia leso interessi o valori della persona costituzionalmente tutelati. Il risarcimento del danno non patrimoniale ha ad oggetto sia la sofferenza morale interiore sia l'alterazione dei precedenti aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto leso».

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