La tardiva diagnosi e la quantificazione del danno differenziale: questioni aperte

Redazione Scientifica
27 Settembre 2016

Quando il ritardo diagnostico tumorale comporta dei danni al paziente e dipende dalla negligenze del medico radiologo, quest'ultimo e la casa di cura, presso cui opera, rispondono del risarcimento del danno non patrimoniale.

Il caso. Una donna conveniva in giudizio il radiologo e la casa di cura a cui si era rivolta per alcuni accertamenti medici. Nel dettaglio, la donna, dal 2000 al 2007, aveva effettuato controlli periodici ecografici alla mammella con riscontro «di quadro displasico con caratteristiche fibrocistiche a medi nodi».

Nel febbraio 2009, a seguito di ecografia, il radiologo aveva riscontrato «un altro piccolo FAD» e consigliava alla paziente un controllo dopo 4 mesi.

Trascorsi i predetti mesi, i nuovi controlli evidenziavano la presenza di una tumefazione di circa 3 cm rendendo necessario un intervento chirurgico di asportazione del nodulo.

La donna veniva sottoposta a mastectomia totale con dissezione ascellare e a cicli di chemioterapia, avendo evidenziato l'esame istologico la presenza di «carcinoma duttuale infiltrante della mammella con metastasi linfonodali».

La donna richiedeva la condanna dei convenuti e il conseguente risarcimento del danno patito, avendo il medico disatteso le linee guida ed avendo omesso di effettuare ulteriori e necessari accertamenti (tra cui l'agoaspirazione) nel momento in cui l'ecografia evidenziava la presenza di fibromi. Secondo la tesi attorea una diagnosi tempestiva del tumore avrebbe consentito di evitare la mastectomia. Richiedeva pertanto il risarcimento dei danni patrimoniali patiti, segnatamente, del danno biologico, del danno psichico, del danno esistenziale, del danno morale e del danno da perdita di chance di sopravvivenza.

Il comportamento del radiologo. Il giudice milanese ricorda che «la progressione del tumore rappresenta il prodotto di un equilibrio tra l'aggressività delle cellule neoplastiche e la risposta dell'ospite. Il volume del tumore e la velocità di crescita presentano una certa correlazione probabilistica con la sua aggressività e metastatizzazione».

Nel giro di 4 mesi il fibroadenoma era aumentato, passando da un diametro di 9 mm a 22 mm: lo stadio patologico era quello di un tumore molto aggressivo con indice di proliferazione elevato.

In definitiva, «il ritardo diagnostico ha comportato una progressione della malattia, con ricaduta negativa in termini di trattamento chirurgico», sicchè «una corretta e tempestiva diagnosi, eseguita in occasione del controllo» del luglio 2009, «avrebbe consentito di intervenire tempestivamente, così evitando il progressivo aumento di dimensioni del tumore».

Ritiene pertanto il giudice milanese che «vi sia una probabilità qualificata che un intervento eseguito nel luglio 2009 (invece che nel novembre 2009) avrebbe consentito di evitare una mastectomia e di scegliere un intervento chirurgico più conservativo»; di conseguenza si ritiene sussistente la responsabilità professionale del medico convenuto in merito alla mancata corretta valutazione della necessità di prescrivere ulteriori accertamenti che avrebbero consentito, secondo un criterio di preponderanza dell'evidenza, di intervenire tempestivamente sul tumore».

La responsabilità della struttura sanitaria. L'ospedale risulta altrettanto responsabile poiché non ha garantito le necessarie prestazioni idonee ad evitare le lesioni subite dalla donna, violando quindi il dovere di diligenza ex art. 1176 c.c..

È indubitabile l'esistenza di un contratto tra la struttura sanitaria e la paziente ed è ius receptum in sede di legittimità il principio per cui la casa di cura risponde oltrechè delle obbligazioni direttamente a suo carico anche per l'inadempimento delle prestazioni medico-professionale del sanitario, anche quando non vi sia un rapporto di lavoro subordinato (Cass. n. 13953/2007).

Secondo il giudice milanese «sulla struttura sanitaria convenuta gravano precisi obblighi relativi alla scelta dei professionisti che operano presso l'ente e al controllo sulla formazione e l'aggiornamento degli stessi». Nel caso di specie il medico radiologo operava nella struttura sanitaria convenuta come libero professionista e pertanto l'ospedale avrebbe dovuto vigilare sulle prestazioni e sul comportamento dei professionisti che operano all'interno della stessa.

Sul danno differenziale. Secondo quanto accertato in sede di CTU, il ritardo diagnostico ha comportato l'accrescimento dimensionale della neoplasia primitiva e della sua “metastatizzazione”, con conseguente approccio chirurgico maggiormente demolitivo e più invalidante anche sotto un profilo estetico. Tale maggior danno è stato rappresentato rappresentato da un periodo di malattia biologico con invalidità temporanea parziale al 50% per 6 mesi e un danno biologico permanente del 10% collocato economicamente nella fascia dal 10 al 20%.

Il Giudice, pertanto, al fine della quantificazione del danno, ha accertato, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la condotta e l'evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall'art. 1227, comma 1, c.c.), l'efficienza eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p., così da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita; successivamente, ha proceduto ad una personalizzazione al fine di valutare la diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica, «onde ascrivere all'autore della condotta un obbligo risarcitorio che non comprendesse anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario».

Nel caso di specie, quindi, tenuto conto dell'età (40 anni) della danneggiata e della percentuale di invalidità permanente attribuita all'errore dei sanitari (10%), il Tribunale è pervenuto ad una prima liquidazione di € 22.220,00, in moneta attuale, alla quale è seguita una personalizzazione conseguente all'intervento particolarmente demolitivo e agli importanti esiti cicatriziali che ha portato a riconoscere una liquidazione di euro 45.000,00 oltre al risarcimento del danno da invalidità temporanea, pari ad euro 8.640,00 per un totale di euro 53.640,00.

Sulla base di tali argomenti il Tribunale di Milano accoglie la domanda attorea e condanna l'ospedale e il medico convenuti al risarcimento dei danni di euro 60.076,00, oltre gli interessi legali dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo.