La domanda di risarcimento del danno non patrimoniale e le preclusioni processuali applicabili in tema di allegazione e prova

Antonino Barletta
27 Novembre 2014

Il principio della disponibilità dell'oggetto del giudizio risarcitorio si manifesta nell'individuazione del pregiudizio, di cui si chiede accertamento e riparazione. L'azione risarcitoria del danno non patrimoniale è volta a far conseguire al danneggiato l'incremento patrimoniale proporzionato alla entità del danno, nei limiti in cui il giudice ritenga quest'ultimo risarcibile. La richiesta di tutela risarcitoria ha carattere unitario e non può essere frammentata in più di azioni; le specificità dei giudizi risarcitori comportano la necessità di ripartire gli oneri di allegazione e prova a carico delle parti e di coordinarli con le potestà giudiziali.
L'oggetto del giudizio risarcitorio del danno non patrimoniale

Il principio della disponibilità dell'oggetto del giudizio risarcitorio (art. 112 c.p.c.) si manifesta nell'individuazione del pregiudizio, del quale si chiede l'accertamento e la riparazione (cfr. s.v. A. Barletta, Extra e ultra petizione. Studio sui limiti del dovere decisorio del giudice civile, Milano, 2012, 208 ss.). La domanda di risarcimento consiste normalmente nella richiesta di condannare il danneggiante a corrispondere un incremento per superare una diminuzione riferibile al patrimonio del danneggiato: “la tutela risarcitoria … è volta a restaurare il patrimonio in una proiezione ipotetica che può rivelarsi più o meno distante da quella preesistente al fatto illecito o all'inadempimento” (così C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 815).

Tale definizione deve essere adattata alle caratteristiche del risarcimento del danno non patrimoniale, rendendo evidente come la tutela risarcitoria riferita a tale tipologia di danno sia ontologicamente diversa da quella relativa al danno patrimoniale (D. Poletti, La dualità del sistema risarcitorio e l'unicità della categoria dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2009, 78 ss.). Con l'azione di risarcimento del danno non patrimoniale, infatti, il danneggiato richiede una tutela volta a “compensare” con un'utilità economica la lesione di un diritto fondamentale della persona riconosciuto e garantito dall'art. 2 Cost. (Cass., S.U.,11 novembre 2008, n. 26972, in Giust. civ., 2009, I, 913, con nota di M. Rossetti; Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26973, in Foro it., 2009, I, 120; Cass., S.U., 11 novembre 2008, nn. 26974, 26975; in dottrina cfr. E. Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. prev., 2009, 63 ss.): lesione che non è suscettibile di essere restaurata nella situazione anteriore all'illecito (cfr., tra le più recenti, Cass., sez. III , 8 agosto 2007, n. 17395, in Giust. civ., 2008, I, 2207; Cass., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827, in Giur. it., 2004, 29). In altri termini, l'azione risarcitoria del danno non patrimoniale è volta a far conseguire al danneggiato un incremento patrimoniale proporzionato alla reale entità del danno, in funzione sostitutiva del bene giuridico compromesso in modo irreparabile, nei limiti in cui il giudice ritenga quest'ultimo risarcibile (cfr. infra par. La collaborazione di parti e giudice e i criteri per il riparto degli oneri di allegazione e di prova del danno non patrimoniale).

Correttamente, pertanto, la giurisprudenza assegna una funzione d'individuazione della causa alla richiesta risarcitoria riferita al danno alla persona piuttosto che al danno alle cose, benché riferita alla medesima condotta lesiva (Cass., sez. III, 14 luglio 2000, n. 9370, in Giust. civ. Mass., 2003), così come alla richiesta risarcitoria del danno patrimoniale, piuttosto che del danno non patrimoniale (tra le più recenti, Cass., sez. I, 28 marzo 2006, n. 6998, in Giust. civ. Mass., 2006).

L'identificazione della causa risarcitoria del danno non patrimoniale: distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza

Nella nota pronuncia sul “danno esistenziale” (Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, cit.), le Sezioni Unite hanno chiarito come il danno non patrimoniale afferisca a una categoria unitaria, giacché “il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento in distinte categorie di danno” (così Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, cit., nello stesso senso Cass., sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4043, in Giust. civ. Mass., 2013; Cass., 26 maggio 2011, n. 11609, in Foro it., 2011, I, 2707, con nota di G. Ponzanelli; Cass., sez. lav., 19 dicembre 2008, n. 29832, in Giust. civ., 2009, I, 1622). Conseguentemente la richiesta di tutela risarcitoria del danno non patrimoniale ha carattere unitario e non può essere frammentata in una pluralità di azioni. Il tema è, tuttavia, reso più complesso dalle specificità proprie dei giudizi risarcitori, in relazione alla necessità di ripartire gli oneri di allegazione e prova a carico delle parti e di coordinare questi ultimi con le prerogative che la legge riconosce al giudice in relazione a tale tipologia di processi.

L'indicazione dell'evento antigiuridico (c.d. danno-evento) è essenziale per la definizione dell'oggetto del giudizio risarcitorio, in quanto è direttamente connessa alla delimitazione del petitum dell'azione di risarcimento, da intendere sia come avvenimento storico causativo della diminuzione subita in conseguenza alla condotta del danneggiante, sia come identificazione dell'interesse giuridicamente tutelato, di natura patrimoniale o non patrimoniale, oggetto della lesione dedotta in giudizio.

Riguardo all'accertamento del danno non patrimoniale, pertanto, l'attore deve indicare tale pregiudizio e non gli aspetti che quest'ultimo può assumere in base al diritto vivente, benché essi siano rilevanti ai fini della risarcibilità del danno.

Una volta verificata l'esistenza del danno-evento il giudice dovrà provvedere alla sua integrale liquidazione facendo necessario riferimento a tutti i fatti che rappresentano leconseguenze lesive non patrimonialidell'evento dannoso (c.d. danno-conseguenza), nei limiti delle risultanze acquisite al processo. Difatti, le Sezioni Unite hanno escluso la lesività in re ipsa della violazione di diritti fondamentali della persona, ai fini del riconoscimento di tale categoria di danno, poiché ciò comporterebbe uno snaturamento della “funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento del danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo” (così Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, cit.).

In quest'ultimo ambito, tuttavia, si manifestano le potestà giudiziali ufficiose ai fini della verifica circa l'effettiva consistenza ed entità del danno. Ed anzi nell'accertamento del danno non patrimoniale risarcibile le prerogative del giudice sono certamente maggiori rispetto a quelle di molti altri giudizi civili, anche di natura risarcitoria. In particolare, l'accostamento del principio dell'integralità del risarcimento a quello dell'unitarietà del danno non patrimoniale ha portato le Sezioni Unite a sottolineare che è “compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli … provvedendo alla … integrale riparazione” (così Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, cit.). Accanto a questo rilievo, è bene rammentare quanto sia importante il ricorso alle potestà equitative che la legge riconosce al giudice ai sensi dell'art. 1226 c.c. ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale (cfr. infra par. La collaborazione di parti e giudice e i criteri per il riparto degli oneri di allegazione e di prova del danno non patrimoniale). Risulta evidente, pertanto, che nell'accertamento del danno non patrimoniale l'ambito riservato (in esclusiva) alle parti risulta essere ridotto in modo corrispondente.

In sintesi, al giudice spetta di stabilire quale sia il danno risarcibile evitando la moltiplicazione delle conseguenze pregiudizievoli risarcibili o, al contrario, dando rilievo ad aspetti non espressamente presi in considerazione dal punto di vista nominale dalle parti, per quanto risultanti dagli atti. In relazione alle questioni relative alla risarcibilità del danno il ruolo delle parti consiste in un mero sollecito delle potestà ufficiose del giudice e non è certo riferibile al principio dispositivo c.d. sostanziale, di cui è espressione la regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e l'onere di allegazione dei fatti principali .

Nondimeno, la terza sezione (cfr. Cass., sez. III, 4 marzo 2014, n. 5056, in Danno e resp., 2014, 387) ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla natura del danno da morte e alla possibilità o meno di distinguere un danno-evento e un danno-conseguenza relativamente alla domanda risarcitoria riguardante tale pregiudizio (cfr. infra par. La collaborazione di parti e giudice e i criteri per il riparto degli oneri di allegazione e di prova del danno non patrimoniale). È evidente come tale impostazione rimette nuovamente in discussione il principio dell'unitarietà del danno non patrimoniale.

La validità della domanda risarcitoria di “tutti i danni” di natura non patrimoniale

Una volta identificato il danno(-evento) non patrimoniale la domanda di risarcimento può limitarsi ad una generica volontà di conseguire l'integrale risarcimento di tutte le c.d. voci di danno riferibili all'evento lesivo. Difatti, la S.C. ammette la possibilità di richiedere il risarcimento di “tutti i danni” conseguenti ad un certo evento pregiudizievole e la successiva specificazione dei singoli danni di cui s'invoca la liquidazione nella fase di trattazione viene ritenuta di carattere esemplificativo e non può essere interpretata come volontà di delimitare il petitum (tra le più recenti Cass., sez. III, 13 ottobre 2009, n. 21680, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 494, a tenore della quale, in particolare, “la domanda di risarcimento di tutti i danni, materiali e morali, proposta dal danneggiato nei confronti del soggetto responsabile, comprende necessariamente la richiesta volta al risarcimento del danno biologico, anche quando questa non contenga alcuna precisazione in tal senso, in quanto tale danno non richiede una specifica ed autonoma richiesta”; Cass., sez. III, 17 dicembre 2009, n. 26505, in Diritto e Giustizia online, 2010; Cass., sez. III, 25 febbraio 2008, n. 4718, in Giust. civ., 2009, I, 483; Cass., sez. III, 28 novembre 2007, n. 24745, in Giust. civ. Mass., 2007; Cass., sez. III, 8 giugno 2007, n. 13391, in Giust. civ. Mass., 2007; Cass., sez. lav., 8 maggio 2007, n. 10441, in Foro it., 2007, I, 2701).

Non mancano, tuttavia, pronunce in senso contrario, in relazione alle quali sembra opportuno ricorrere ad un intervento delle Sezioni Unite sul punto: cfr., tra le più recenti, Cass., sez. III, 18 febbraio 2012, n. 691, a tenore della quale le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, a cui si ricollegano i danni prodotti nella sfera giuridica dell'attore, dovendo essere inclusa anche la descrizione delle lesioni patrimoniali e/o personali; analogamente Trib. Roma, sez. XI, 16 ottobre 2013, in Dejure.it.; Trib. Roma, sez. Ostia, 22 ottobre 2009, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 495, con nota di F. Bonaccorsi, “Chiedi e ti sarà dato”: l'unitarietà del danno non patrimoniale dalla domanda alla liquidazione.

In tema di demansionamento le Sezioni Unite (Cass., S.U., 24 marzo 2006, n. 6572, in Foro it., 2006, I, 2334, con note di P. Cendon, G. Ponzanelli) hanno statuito che il lavoratore danneggiato non può limitarsi a prospettare l'esistenza della dequalificazione costituente inadempimento datoriale ai sensi dell'art. 2103 c.c. chiedendo genericamente il risarcimento del danno, non potendo il giudice prescindere dalla natura del pregiudizio, né è possibile sopperire al mancato assolvimento dell'onere di allegazione riferibile ai fatti essenziali alla definizione dell'oggetto del giudizio. In ispecie, a tal fine rileva la seguente ripartizione:

i) il danno patrimoniale;

ii) il danno biologico;

iii) il danno non patrimoniale, riferibile essenzialmente al danno esistenziale.

E' evidente come tale tripartizione sia messa in crisi dalle suddette statuizioni del giorno di San Martino 2008, anche se la materia richiederebbe un nuovo intervento delle stesse Sezioni Unite in considerazione del fatto che la distinzione tra danno biologico e danno esistenziale è ancora accreditata da una parte della giurisprudenza di legittimità e di merito (cfr. R. Reverso, Il demansionamento dal danno in re ipsa al danno da mortificazione della personalità morale del lavoratore, in Il lav. nella giur., 2013, 461 ss.).

La collaborazione di parti e giudice e i criteri per il riparto degli oneri di allegazione e di prova del danno non patrimoniale

Il richiamo alla regola dell'onere di allegazione e prova dei fatti rilevanti ai fini dell'accertamento della risarcibilità del danno non patrimoniale è contenuta in diverse pronunce della S.C. (Cass., sez. III, 13 aprile 2010, n. 8724, in Dir. maritt., 2011, 493; Cass., S.U., 16 febbraio 2009, n. 3677; Cass., S.U., 11 novembre 2008 n. 26972, cit., secondo cui il “danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza, che deve essere allegato e provato”; Cass., sez. III, n. 16004/2003, in Nuova giur. civ. comm., 2004, I, 232). Tale regola, tuttavia, non deve essere messa in relazione all'identificazione della causa risarcitoria (cfr. supra par. L'identificazione della causa risarcitoria del danno non patrimoniale: distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza), bensì attiene alla definizione dello standard di convincimento giudiziale da raggiungere per ottenere la tutela risarcitoria, evitando che il risarcimento venga riconosciuto solo dopo l'accertamento della condotta lesiva di un interesse tutelato, pur quando questo abbia il rango di bene giuridico garantito dall'art. 2 Cost. Cosicché la mancanza dell'allegazione del danno-conseguenza nel corpo dell'atto introduttivo non dà luogo, in alcun caso, a nullità della domanda giudiziale in relazione all'omissione o all'indeterminatezza del petitum o della causa petendi ai sensi dell'art. 164, comma 4, c.p.c. (cfr., tra le più recenti, Cass., sez. III, 12 ottobre 2012, n. 17408, secondo cui la causa risarcitoria è identificata con l'indicazione dei fatti materiali che il danneggiante assume lesivi del proprio diritto; Cass., sez. III, 13 luglio 2007, n. 16387, in Foro it., 2011, I, 1816, la quale osserva che ai fini della responsabilità civile da diffamazione a mezzo della stampa occorre solo la deduzione del documento lesivo, dell'elemento soggettivo della colpa in senso lato e della consequenzialità del danno ingiusto).

Il limitato rilievo in genere osservato in tema di allegazione dei danni-conseguenza si può riscontrare anche alla luce del ricorso alla c.d. allegazione implicita, il quale consente al giudice di utilizzare tutti i fatti emergenti dagli atti di causa e rilevanti ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale in quanto virtualmente richiamati dalla domanda risarcitoria.

L'accertamento della reale entità del danno non patrimoniale, reso necessario dall'esercizio dell'azione risarcitoria, richiede la collaborazione tra il giudice e le parti: ciò del resto caratterizza tutti gli accertamenti di fatti lesivi (A. Barletta, Extra e ultra petizione. Studio sui limiti del dovere decisorio del giudice civile, cit., 114 ss.). La peculiarità dell'oggetto del giudizio risarcitorio – il quale s'incentra proprio nell'accertamento di una lesione e dell'entità della diminuzione di cui si chiede ristoro – si manifesta alla luce di come vengono ripartiti gli oneri di allegazione e prova e di come tali posizioni soggettive processuali coesistono nel processo con le (ampie) prerogative ufficiose riconosciute allo stesso giudice.

In particolare, la collaborazione tra i soggetti del processo ai fini dell'accertamento del danno (patrimoniale e non patrimoniale) si esprime in giurisprudenza facendo riferimento al principio della vicinanza della prova, assegnando gli oneri di allegazione e di prova alle parti a seconda del grado di conoscenza dei fatti rilevanti per la decisione, in base al criterio dell'id quod prerumque accidit. Per un analogo rilievo a proposito dell'onere di contestazione cfr. Cass., sez. III, 13 febbraio 2013, n. 3576, secondo cui il fatto allegato dalla controparte deve essere contestato agli effetti degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. nei limiti in cui si tratti di circostanze note alla parte interessata. In ispecie, il danneggiato deve allegare e provare le circostanze di fatto attinenti all'evento causativo del danno patrimoniale e non patrimoniale (cfr. Cass., sez. III, 13 ottobre 2009, n. 21680, cit., secondo cui “i danneggiati hanno l'onere della prova del fatto storico plurioffensivo e del danno ingiusto, lasciando poi al giudice di valutare la consistenza del danno secondo il principio del risarcimento integrale del danno reale iuxta alligata et probata”), mentre possono limitarsi ad allegare l'elemento soggettivo della colpa “in senso lato” (Cass., sez. III, 13 luglio 2010, n. 16387, in Foro it., 2011, I, 1816). Il danneggiante viene generalmente onerato in relazione all'allegazione e alla prova delle circostanze inerenti la condotta. Ove si tratti di un'azione risarcitoria contrattuale l'attore è tenuto, inoltre, ad allegare e provare la fonte dell'obbligo contrattuale o dell'obbligo di protezione dedotto in giudizio (ad es., nei casi di responsabilità “da contatto sociale”) e solo genericamente l'inadempimento, mentre il convenuto è tenuto a provare l'insussistenza dell'inadempimento (tra le più recenti Cass., sez. III, 8 luglio 2014, n. 15480, Cass., sez. III, 22 maggio 2014, n. 11363 e Cass., sez. III, 31 gennaio 2014, n. 2185, in materia di responsabilità sanitaria e medica; Cass., sez. III, 11 novembre 2011, n. 23564, in Danno e resp., 2012, 882, con nota di A. Barbarisi, Onere di allegazione e prova liberatoria nella responsabilità sanitaria).

Sul piano delle potestà giudiziali nell'accertamento del danno non patrimoniale occorre far riferimento al rilievo assegnato alla consulenza tecnica d'ufficio, soprattutto alla luce dell'art.139, comma 2, Cod. Ass., riguardo all'accertamento del danno biologico di lieve entità derivante da sinistri stradali conseguenti alla circolazione di veicoli, nonché alla possibilità di ricorrere alla prova per presunzioni, senza che ciò escluda la necessità di una collaborazione delle parti nei limiti di quanto può ragionevolmente esigersi da queste ultime. In particolare, ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale la giurisprudenza ribadisce frequentemente il riferimento all'onere di allegazione e prova dei danni-conseguenza, pur in immediata successione al riferimento circa la possibilità di provare tali danni per presunzioni (cfr., tra le più recenti, Cass., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361, in Danno e resp., 2014, 363; Cass., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585; Cass., sez. III, 20 novembre 2012, n. 20292; Cass., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228). In tema di danno non patrimoniale del conduttore estromesso dall'immobile pignorato Trib. Roma, sez. VI, 23 settembre 2009, in La resp. civ., 2010, 130 ha statuito che “il giudice può ben avvalersi del ragionamento presuntivo e del ricorso all'id quod plerumque accidit. Ma occorre almeno che il danneggiante abbia compiutamente allegato il danno”, richiedendo a quest'ultimo di dedurre, in relazione all'evento pregiudizievole considerato, ad es., le conseguenze di vita dal punto di vista relazionale conseguenti all'abbandono dell'immobile locato, il tempo trascorso per rinvenire una nuova abitazione, le attività impedite o compromesse.

Il ricorso al c.d. criterio equitativo puro è utilizzato rispetto alle voci di danno non patrimoniale non contemplate nelle tabelle di Milano, (Cass., sez. III, 21 marzo 2013, n. 7126, in relazione al danno biologico terminale, al danno morale terminale o catastrofale), in alternativa alla più frequente personalizzazione del danno biologico (Cass., sez. III, 8 aprile 2010, n. 8360, in Giust. civ. Mass., 2010). In una recente pronuncia della S.C. in materia di danno da perdita della vita (Cass., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361, cit.) viene affermata la centralità del ricorso ai poteri equitativi del giudice, allo stesso tempo sottolineando – come abbiamo visto – che in relazione a tale tipologia di pregiudizio sarebbe eccezionalmente inapplicabile la distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza. Questo dictum (successivamente al quale Cass., sez. III, 4 marzo 2014, n. 5056, cit., 387 ha chiesto l'intervento delle Sezioni Unite) è inteso ad affermare l'esigenza di una individualizzazione del risarcimento del danno da fine-vita, ritenendo insufficienti in proposito il ricorso alle tabelle milanesi e a qualunque forma di standardizzazionee prevedibilità del risarcimento (cfr. G. Ponzanelli, R. Foffa, R. Pardolesi e R. Simone, La sentenza “Scarano” sul danno da perdita della vita: verso un nuovo statuto di danno risarcibile? in Danno e resp, 2014, 388 ss.).

Per altro verso, la ricostruzione della sentenza n. 1361 del 2014 amplia la risarcibilità del danno da morte immediata, riconoscendo al giudice un'ampia potestà discrezionale in sede di liquidazione di tale danno; allo stesso tempo, sul piano processuale essa comporta una recisa semplificazione sul piano delle allegazioni e delle prove richieste nell'accertamento del danno non patrimoniale correlato alla morte.

Le preclusioni in relazione all'allegazione e alla prova del danno non patrimoniale

L'unitarietà del danno non patrimoniale consente di fare chiarezza in ordine alle possibilità difensive riconosciute al danneggiante nella fase istruttoria. La specificazione di una voce di danno non comporta alcuna modificazione dell'oggetto del giudizio o il passaggio da una all'altra voce di danno, perché essa consegue all'esercizio della potestà ufficiosa ex art. 113 c.p.c. di iura novit curia.

Inoltre, la giurisprudenza riconosce tradizionalmente la possibilità di modificare in senso ampliativo il petitum dell'azione risarcitoria, là dove l'attore abbia indicato nell'atto introduttivo la richiesta di una somma pecuniaria determinata (Cass., sez. III, 19 aprile 2010, n. 9266, in Dir. e giur. agr., 2010, 679; Cass., sez. III, 24 agosto 2007, n. 17977, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2008, 238; Cass., sez. III, 28 giugno 2006, n. 14961, in Giust. civ. Mass., 2006; Cass., sez. III, 6 agosto 1997, n. 7275, in Giust. civ. Mass., 1997). Difatti, ove si ritenga che la definizione dell'entità del risarcimento richiesto non sia necessaria per identificare la causa risarcitoria, tale determinazione pecuniaria ha solo un carattere limitativo in ordine alle potestà giudiziali in sede di liquidazione del danno. Peraltro, proprio in materia di risarcimento del danno non patrimoniale si è ritenuto che possa essere richiesta una somma maggiore di quella inizialmente quantificata nell'atto introduttivo (anche) in sede di precisazione delle conclusioni, almeno quando tale aumento sia dovuto all'applicazione di nuove tabelle riferibili alla liquidazione, purché non vengano alterati i “termini sostanziali della controversia” o introdotti“nuovi temi d'indagine” (Cass., sez. III, 18 gennaio 2011, n. 1083, ove sono contenuti gli incisi appena citati).

In considerazione dell'attenuazione circa gli oneri di allegazione e prova relativi alla condotta del danneggiante si è osservato come nell'ambito di una causa risarcitoria del danno derivato da colpa medica l'attore, dopo avere allegato nell'atto introduttivo che l'errore del sanitario sia consistito nell'imperita esecuzione di un intervento chirurgico, può indicare fino alla precisazione delle conclusioni che l'errore medico è riferibile all'inadeguata assistenza postoperatoria, dovendosi considerare il fatto lesivo, idoneo a delimitare l'ambito dell'indagine, nella sua essenzialità materiale, senza che le specificazioni della condotta, inizialmente allegate dall'attore, possano avere portata preclusiva, attesa la normale mancanza di conoscenze scientifiche da parte del danneggiato (Cass., sez. IV, 26 luglio 2012, n. 13269, in Giust. civ. Mass., 2012). Nel giudizio risarcitorio per diffamazione a mezzo stampa non costituisce domanda nuova la formulazione in appello di motivi di censura sui saggi, sulle parole utilizzate, sulle frasi, sulle affermazioni e sui brani dell'articolo di stampa che si affermano diffamatori, pur quando questi non erano stati dedotti in primo grado (Cass., sez. III, 13 luglio 2010, n. 16387, in Foro it., 2011, I, 1816).

Analogamente, è possibile aggiungere ulteriori voci di danno inizialmente non indicate nell'atto introduttivo, ampliando in tal modo il petitum dell'azione di risarcimento riferito al medesimo evento lesivo, trattandosi pur sempre di una modificazione quantitativa del risarcimento, consentita ai sensi dell'art. 183 c.p.c. o anche successivamente quando si manifestino nel corso del giudizio, in quanto ciò non costituisce domanda nuova (Cass., sez. III, 10 novembre 2003, n. 16819, in Giust. civ. Mass., 2003). Al contrario, deve ritenersi superato il precedente indirizzo minoritario, secondo cui la deduzione di una nuova voce di danno non sarebbe consentita dal divieto di proporre domande nuove né in primo grado ex art. 183 c.p.c. (Cass., sez. III, 23 settembre 2004, n. 19126, in Giust. civ. Mass., 2004; Cass., sez. III, 5 luglio 2001, n. 9090, secondo la quale «in tema di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, non è legittimamente estensibile alla richiesta di liquidazione del danno biologico il principio secondo cui ricorre la fattispecie processuale della mera emendatio libelli - e non anche della, non consentita, mutatio - nella ipotesi di originaria specificazione del danno in determinate voci e di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, di voci ulteriori, con correlativo ampliamento del petitum mediato, ma all'esito di una variazione nella sola estensione del petitum immediato, ferma restandone l'identità e l'individualità ontologica. Mentre le varie voci di danno non integrano, difatti, una pluralità e diversità strutturale di petitum, ma ne costituiscono soltanto delle articolazioni - o “categorie” interne - quanto alla sua specificazione quantitativa, il danno biologico costituisce, per converso, un vero e proprio tertium genus rispetto alle tradizionali categorie del danno civile, sicché la relativa richiesta introduce un nuovo tema di indagine e di decisione in qualunque grado del giudizio intervenga, concretando, per l'effetto, una vera e propria mutatio libelli, anche se formulata nel corso del giudizio di primo grado»), né in grado d'appello (Cass., sez. III, 6 agosto 1997, n. 7275, in Giust. civ. Mass., 1997). Tale indirizzo, infatti, ha alla base una concezione del danno biologico che evidentemente collide con il principio dell'unitarietà del danno non patrimoniale (cfr. supra par. La collaborazione di parti e giudice e i criteri per il riparto degli oneri di allegazione e di prova del danno non patrimoniale).

Si può ammettere, invece, che l'attore, che nell'atto introduttivo abbia domandato il risarcimento di “tutti i danni” derivanti dal fatto illecito, possa successivamente circoscrivere la propria richiesta risarcitoria soltanto in relazione ad alcune voci di danno (Trib. Roma, sez. XIII,16 gennaio 2004, in Giur. romana, 2004, 106).

Nondimeno, alla luce della potestà giudiziale d'interpretazione e qualificazione della domanda giudiziale il giudice deve stabilire se la successiva indicazione di una voce di danno sia effettivamente volta a limitare il petitum risarcitorio, ovvero se essa abbia esclusivamente carattere esemplificativo in ordine all'identificazione delle conseguenze dannose riferibili all'unitario evento lesivo. Peraltro, la S.C. ha ritenuto in più occasioni che l'iniziale richiesta risarcitoria riferita a tutti i danni riferibili ad un dato pregiudizio, seguita dalla specificazione di talune voci di danno abbia normalmente valenza di esemplificazione (Cass., sez. III, 9 marzo 2012, n. 3718, in Giust. civ. Mass., 2012; Cass., sez. III, 17 dicembre 2009, n. 26505, cit.).

La limitazione del petitum risarcitorio ad alcune voci di danno risarcibile può conseguire alla volontà di riservare ad altro separato giudizio la decisione sulle rimanenti voci. In tal caso si pone un problema di coordinamento con il principio dell'unitarietà del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. Il frazionamento della domanda risarcitoria deve, infatti, essere supportato da un idoneo interesse ad agire (G. Verde, Sulla “minima unità strutturale” azionabile nel processo (a proposito di giudicato e di emergenti dottrine), in Riv. proc. civ., 1989, 578 ss.), in mancanza del quale la richiesta di ristoro dovrà riferirsi a qualunque voce di danno riferibile all'evento lesivo in base al principio dell'integralità del risarcimento: pertanto, si ritiene che il giudice si dovrà pronunciare su tutti gli aspetti rilevanti ai fini della risarcibilità del danno, pur naturalmente entro i limiti di quanto risulti dagli atti, senza tener conto della limitazione apposta dall'attore alla propria richiesta di risarcimento. Invece, la Cassazione ha ritenuto che il principio dell'unitarietà del diritto al risarcimento comporti di regola l'impossibilità di frazionare l'oggetto del giudizio risarcitorio, al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore (quale quello di cui all'art. 278 c.p.c.) e ove vi sia una concorde volontà contraria delle parti, in mancanza di tali presupposti l'equivoca volontà di limitare la liquidazione ad alcune voci si tradurrebbe in un abbandono del relativo diritto, che precluderebbe la successiva domanda volta a far valere le voci di danno non comprese nell'originaria domanda (Cass., sez. III, 22 agosto 2007, n. 17873, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2008, 144; Cass., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15823, in Giust. civ. Mass., 2005). Secondo una diversa e più recente posizione della S.C., però, la parcellizzazione dell'azione risarcitoria dovrebbe essere sanzionata con un rigetto in rito per inammissibilità, in quanto comporterebbe un abuso del processo (Cass., sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28286, in Giust. civ., 2012, I, 1823). Tale ricostruzione merita di essere riconsiderata alla luce del rilievo che nel caso di specie la limitazione del petitum in ordine ad alcune delle voci di danno risarcibilenon comporta in realtà la disarticolazione di una situazione giuridica, bensì mira a circoscrivere le prerogative giudiziali riferibili al principio dell'integrale risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale.

Sempre in base ai principi dell'unitarietà del diritto al risarcimento e dell'integralità del risarcimento i danni-conseguenza riferibili alla medesima richiesta risarcitoria possono essere fatti valere anche dopo l'esercizio dell'azione ai sensi dell'art. 183 c.p.c. e possono inoltre emergere in sede istruttoria, così come possono essere autonomamente allegati e provati anche dopo il maturare delle preclusioni di cui all'art. 183 c.p.c., nel caso di sopravvenuto aggravarsi delle conseguenze pregiudizievoli dell'evento cui si collega il sorgere dell'azione risarcitoria (Cass., sez. lav., 15 novembre 2011, n. 10045), con il solo limite del passaggio alla fase decisoria con la precisazione delle conclusioni (Cass., sez. III, 4 settembre 2012, n. 14803, in Diritto e Giustizia online, 2012); riguardo ai danni verificatasi successivamente a tale momento possono essere fatti valere nel giudizio d'appello, poiché non si applica in tal caso il divieto di ius novorum di cui all'art. 345 c.p.c. (Cass., sez. III, 23 luglio 2002, n. 10751 in Giust. civ. Mass., 2002; Cass., sez. III,24 agosto 1998, n. 8364 in Giust. civ. Mass., 1998; Cass., sez. II,2 maggio 1996, n. 4023, in Giust. civ. Mass., 1996). In caso di passaggio in giudicato della sentenza sarebbe comunque possibile la proposizione di un'autonoma domanda in un separato giudizio dei danni successivi a tale momento.

Si è poi affermato che il danno alla vita di relazione, consistente nell'impossibilità o nella difficoltà di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale, costituisce una voce del danno patrimoniale e non una componente del danno non patrimoniale fatto valere dall'attore in primo grado, non toccando aspetti specifici della persona umana, e che, pertanto, non possa essere proposta per la prima volta in appello, ostando a ciò il divieto di cui all'art. 345 c.p.c. (Cass., sez. III, 13 novembre 1989, n. 4791, in Giust. civ. Mass., 1989).

Per contro, la S.C. (Cass., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 23917, in Giur. it., 2014, 835, con nota di A. Vapino, Danno non patrimoniale: unitarietà del risarcimento e unitarietà della domanda) ha osservato come ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione di un familiare deve tenersi conto dell'entità del vincolo parentale e di ogni ulteriore circostanza, quale la consistenza del nucleo familiare, le abitudini di vita, la situazione di convivenza. Una volta esclusa la configurabilità del danno non patrimoniale da morte, perché non risulti provata la sussistenza di un rapporto affettivo e sociale tra fratelli unilaterali, né rapporti di frequentazione e conoscenza, la Cassazione afferma che l'allegazione della perdita della possibilità di un arricchimento affettivo conseguente al sorgere e allo svilupparsi di tale rapporto dia luogo alla proposizione di una domanda inammissibile, perché nuova (Cass., sez. III, 22 ottobre 2013, n. 23917, cit.). A parere di chi scrive tale rilievo in sé non sembra condivisibile, perché rientra nel compito del giudice (e non nell'ambito di applicazione del principio dispositivo) l'apprezzamento di un fatto rilevante sotto il profilo delle conseguenze dell'evento dannoso. È pur vero, però, che, ove tale apprezzamento sia richiesto solo nel ricorso per cassazione, ciò è inammissibile, perché è estraneo alle prerogative del giudice di legittimità.

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