Vademecum della Suprema Corte per la corretta liquidazione del danno alla salute permanente e temporaneo

Roberta Nocella
01 Marzo 2016

L'Autore prende le mosse dalla Cass., sent., n. 16788/2015, che, a suo giudizio, costituisce una sintesi dell'elaborazione giurisprudenziale in tema di danno non patrimoniale inteso come concetto giuridico unitario ex art. 2059 c.c., posto a presidio del divieto di duplicazioni risarcitorie e distinto da quello patrimoniale previsto dall'art. 2043 c.c.. La sentenza contiene, inoltre, una sorta di vademecum per il giudice del merito per procedere ad una corretta liquidazione del danno biologico.
Il primo grado, l'appello e le censure

La Corte di Appello di Firenze riformava la sentenza del Tribunale di Arezzo, avente ad oggetto il risarcimento di tutti i danni richiesti da soggetto che, in conseguenza di un incidente d'auto per responsabilità altrui, aveva riportato lesioni personali che ne avevano ridotto anche la capacità lavorativa. In particolare, la Corte territoriale diminuiva il quantum del danno patrimoniale e non patrimoniale calcolato dal giudice di prime cure trascurando tuttavia, a proposito di quello alla salute, il risarcimento dell'invalidità temporanea in aggiunta a quella permanente, nonché la necessaria personalizzazione di quest'ultima a fronte della prova di circostanze specifiche; inoltre rigettava la domanda risarcitoria proposta dall'impresa di cui il danneggiato era collaboratore, avente ad oggetto il danno subìto direttamente dalla stessa per aver sopportato dei costi per sostituire l'opera di quest'ultimo. Su tale ultimo punto la Suprema Corte si è limitata a dichiarare inammissibile il motivo d'impugnazione, trattandosi di valutazione di merito.

Le tre questioni giuridiche affrontate: principio di unitarietà, personalizzazione e tabelle

La citata sentenza della Cassazione n 16778/2015 affronta tre punti fondamentali nel processo logico-giuridico-matematico che il giudice si trova ad affrontare quando la richiesta risarcitoria ha ad oggetto il danno non patrimoniale: uno è il principio di unitarietà di tale categoria giuridica e del conseguente credito, che non va confuso con il fatto che il pregiudizio può manifestarsi sotto più forme (“polimorfismo”), da accertarsi in concreto. Pertanto, incorre in errore il giudice che ritenga che, una volta «monetizzato il pregiudizio consistito nella permanente compromissione dell'integrità psicofisica, ogni altro vulnus patito dalla vittima sia stato per ciò solo compensato».

Il secondo attiene alla necessaria personalizzazione (ovviamente alla luce delle allegazioni e delle prove fornite dallo stesso danneggiato) del risarcimento del danno permanente alla salute, essendo del tutto generico e sibillino il riferimento, operato dalla Corte d'Appello nella sentenza censurata, da un lato al “calcolo tabellare” e dall'altro all'età del danneggiato. Al contrario, l'iter logico, giuridico e matematico seguito dal giudice deve essere comprensibile al fine di soddisfare l'obbligo di motivazione a suo carico.

Il terzo punto – che si desume da quello precedente – riguarda l'utilizzo delle tabelle e la loro relazione con la valutazione equitativa prevista dall'art. 1226 c.c..

Il polimorfismo del danno non patrimoniale anche a fronte della lesione del medesimo interesse

Quanto al primo punto di cui al paragrafo che precede, la Suprema Corte censura il giudice di seconde cure per avere il medesimo, dopo aver fatto un richiamo di mero stile alla «natura concettualmente unitaria del danno non patrimoniale» causato da fatto illecito, rigettato in modo implicito la domanda di risarcimento di quello biologico temporaneo, limitandosi a risarcire i soli postumi permanenti del sinistro stradale, nonostante in base alla consulenza tecnica espletata nel corso del giudizio fosse incontestata la sussistenza di un periodo di malattia seguito all'incidente. Afferma la Cassazione nella motivazione: «La permanente compromissione dell'integrità fisica, ed il periodo di malattia che l'avesse eventualmente preceduta, sono ambedue pregiudizi non patrimoniali in diritto, ma sono diversi in fatto»; poiché il danno può manifestarsi in plurime forme, occorre accertare «in concreto cosa e come il danneggiato abbia perduto, e per quanto tempo». Nel caso specifico, presupposto comune di danno biologico permanente e temporaneo è sì la lesione dell'integrità psicofisica, ma un conto è il periodo di malattia, un altro la guarigione con postumi permanenti: «il primo è un danno perché, costringendo la vittima ad una totale o parziale inattività, la costringe temporaneamente ad un modus vivendi diverso da quello usuale. Il secondo è un danno perché, in ragione dell'efficacia invalidante dei postumi, riduce proporzionalmente la possibilità del leso di attendere alle proprie ordinarie attività» (distinzione accolta anche nel Codice delle assicurazioni, artt. 138 e 139 Cos. Ass.). Pertanto, non vi è duplicazione risarcitoria ma solo liquidazione di tutto il danno ex art. 1223 c.c. ove, in fatto, risultino provati sia il periodo di malattia che i postumi permanenti.

Sul punto, la pronuncia in esame prende le mosse da quella delle Sezioni Unite Cass., 11 novembre 2008, n. 26972 che, in tema di inquadramento del danno esistenziale, distingueva quest'ultimo da quelli biologico e morale – classificati tutti sub art. 2059 c.c. letto in modo costituzionalmente orientato, ovvero ferme la necessità della gravità della lesione e della serietà del danno – sotto il profilo descrittivo del “tipo di pregiudizio” subìto dal danneggiato: rispettivamente l'integrità psicofisica, la sfera relazionale della persona e la sofferenza soggettiva conseguente al reato in sé considerato. Ciò che rileva, al di là dei nomi utilizzati, è che il giudice garantisca il ristoro integrale del danno alla persona, verificabile a seguito dell'accertamento, attraverso gli usuali mezzi di prova, dell'effettiva consistenza del pregiudizio allegato dal danneggiato (ad es., il danno alla salute è suscettibile di valutazione medico-legale a mezzo di c.t.u.). È questo il significato dell'onnicomprensività del concetto di danno non patrimoniale, che vale sia in caso di lesione del medesimo interesse ma con conseguenze diverse, sia (tanto più: ad es. patrimoniali e non) di interessi diversi: su tale ultimo punto si veda, ad opera dello stesso relatore (Rossetti), la sentenza della Suprema Corte n. 9320 del 8/05/2015 (in tema di tipologia di danni causati dall'aver subìto un lutto), laddove in motivazione afferma: «È certamente vero che il danno non patrimoniale debba essere liquidato unitariamente, ma a condizione che la “perdita” di cui si è detto (…) abbia inciso su beni od interessi omogenei. Se, invece, l'illecito attinge beni eterogenei, avremo perdite diverse e dunque danni diversi».

A proposito del danno alla salute, distinto in permanente e temporaneo, è opportuno richiamare anche Cass. civ., sez. III, sent., 19 dicembre 2014, n. 26897 (che cita Cass., 25 febbraio 2004, n. 3806 ed altre), secondo cui «in tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente, quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno». Nel caso di specie, proprio in applicazione di tale principio, è stata esclusa la liquidazione del danno da invalidità permanente, non essendosi mai la danneggiata ultranovantenne effettivamente ripresa nel tempo intercorrente tra il sinistro subìto e la sua morte.

Il giudice dunque – ferma l'unica dizione di “danno biologico” - deve commisurare il risarcimento alla reale entità del danno subìto: nel caso di specie, l'attore aveva «dedotto e dimostrato di avere sofferto, a causa delle lesioni, un periodo di malattia», in aggiunta ai postumi permanenti conseguiti. Su tale punto viene implicitamente riaffermato il tema dell'obbligo generale di allegazione e dimostrazione degli elementi portati in giudizio.

La personalizzazione del risarcimento del danno alla salute

Quanto alla personalizzazione del risarcimento del danno permanente alla salute, viene censurato il fatto che la Corte d'Appello si sia limitata ad un generico richiamo all'età del danneggiato nonché ad un non meglio specificato “calcolo tabellare” con annesso risultato matematico.

Il giudice del merito deve prima individuare le conseguenze "ordinarie" inerenti al pregiudizio, cioè quelle che qualunque vittima di lesioni analoghe subirebbe; poi verificare se si siano verificate eventuali conseguenze "peculiari", proprie del caso specifico. È vero che il danno non patrimoniale, non potendo essere provato nel suo preciso ammontare, rientra tra quelli che, secondo l'art. 1226 c.c., va «liquidato dal giudice con valutazione equitativa»; tuttavia neppure può ritenersi sufficiente a soddisfare l'obbligo motivazionale una sorta di responso oracolare né un frettoloso calcolo ragionieristico sganciato dal caso concreto, come avvenuto nella fattispecie in esame. Al contrario, equità significa garanzia di parità di trattamento a parità di lesioni e differenziazione laddove sussistano specificità. Pertanto, il giudice di merito che proceda alla liquidazione secondo il criterio cd. "a punto variabile", nel motivare la propria decisione non può limitarsi a generici richiami alle relative "tabelle", dovendo, invece, specificare (così in motivazione): «a) il valore monetario di base del punto e il grado di invalidità permanente; b) il coefficiente di abbattimento in funzione dell'età della vittima; c) le ragioni per le quali ha ritenuto di variare o non variare il risarcimento standard».

Tali punti erano già stati affermati dalla Cassazione. Si veda la pronuncia della sezione III, n. 6088 del 2006, secondo la cui motivazione «(…) non appare possibile ricostruire adeguatamente l'iter logico- giuridico che ha portato la Corte a modificare le liquidazioni effettuate dal Giudice di primo grado, dato che le argomentazioni esposte, anche quando non sono meramente apodittiche sono comunque non sufficienti. Occorre ricordare in particolare che in tema di liquidazione equitativa del danno biologico, come del danno morale, ed in ipotesi di ricorso ai criteri standardizzati e predefiniti delle cosiddette tabelle, il giudice del merito deve procedere necessariamente ad un'opera di adeguamento delle stesse al caso concreto. Ne consegue che egli, nell'ambito di questa attività di "personalizzazione", deve tener conto di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso specifico (cfr. tra le altre Cass., 4 novembre 2003, n. 16525; Cass., 23 febbraio 2005, n. 03766; Cass., 25 maggio 2004, n. 10035); nella specie tale attività di personalizzazione o non sussiste ovvero, ove sussiste, è insufficiente». Tale pronuncia richiamava, quali criteri utilizzabili, «l'età del danneggiato, l'attività espletata, le condizioni sociali e familiari per "personalizzare" il valore dei punti di invalidità».

Ancora, Cass. civ., sez. III, sent. n. 4447/2011 richiama la necessità della personalizzazione (facendo riferimento a Cass. n. 8827/2003) e, indicando i criteri di apprezzamento a questo scopo, afferma: «evidentemente, dovendo riguardare il singolo danneggiato e l'atteggiarsi dell'evento dannoso nei suoi confronti, contraddicono in modo manifesto l'idea che ciò che si liquida ad un danneggiato debba necessariamente essere uguale a favore di un altro».

La motivazione della sentenza e l'utilizzo delle tabelle

In relazione alle concrete modalità di liquidazione, il danno non patrimoniale, ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c., deve essere quantificato mediante ricorso all'equità; tale concetto serve, nei casi in cui non sia possibile la prova del danno nel suo preciso ammontare, da un lato a garantire la “parità di trattamento”, dall'altro a dettare una “regola del caso concreto”. Una puntualizzazione del concetto di equità è contenuta in Cass. civ., sez, III, 7 giugno 2011, n. 12408, secondo la cui motivazione essa «(…) racchiude in sè due caratteristiche. La prima è l'essere essa uno strumento di adattamento della legge al caso concreto… ha anche la funzione di garantire l'intima coerenza dell'ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale, o viceversa: sotto questo profilo l'equità vale ad eliminare le disparità di trattamento e le ingiustizie. Alla nozione di equità è quindi consustanziale non solo l'idea di adeguatezza, ma anche quella di proporzione». Nel medesimo senso, si veda anche Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2015, n. 10263, secondo cui «In tema di liquidazione del danno l'equità si è infatti in giurisprudenza intesa nel significato di "adeguatezza" e di "proporzione", assolvendo alla fondamentale funzione di "garantire l'intima coerenza dell'ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale", con eliminazione delle "disparità di trattamento" e delle "ingiustizie».

E' sin dal 1986 (motivazione della sentenza 14 luglio 1986, n. 184, citata proprio da Cass. civ., sez, III, 7 giugno 2011, n. 12408) che la Consulta ha chiarito che nella liquidazione del danno alla salute il giudice deve combinare due elementi: da un lato una "uniformità pecuniaria di base", la quale assicuri che lo stesso tipo di lesione non sia valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto; dall'altro elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione all'effettiva incidenza della menomazione sulle attività della vita quotidiana.

Pertanto, tornando alla sentenza Cass. n. 16778/2015, il giudice del merito dovrà anzitutto indicare quale sia il parametro standard adottato nonché indicare se, nel caso di specie, sussista la necessità di variarlo in più o in meno (così anche Cass. civ., sez. III, sent., 8 maggio 2015, n. 9320). Inoltre, egli potrà legittimamente ricorrere al criterio del c.d. “punto variabile”, che in determinate condizioni è stato imposto dalla richiamata Cass. civ., sez. III, sent., 7 giugno 2011 n. 12408, secondo cui «(…) garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la Suprema Corte, in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono (…)».

A proposito dell'utilizzo delle tabelle è opportuno citare Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2015, n. 10263, secondo cui (in motivazione) «(…) il giudice è tenuto a dare conto dell'esercizio dei propri poteri discrezionali e, perché la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che fornisca l'indicazione, anche se sommariamente, delle ragioni del processo logico sul quale essa è fondata… Valida soluzione si è ravvisata essere invero quella costituita dal sistema delle tabelle (v. Cass., 7 giugno 2011, n. 12408; Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972. V. altresì Cass., 13 maggio 2011, n. 10527) (…) Le tabelle, siano esse giudiziali o normative, sono uno strumento idoneo a consentire al giudice di dare attuazione alla clausola generale posta all'art. 1226 c.c. (v. Cass., 19 maggio 1999, n. 4852)».

Ancora, sul valore delle tabelle va richiamata Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2014, n. 4447, che ha affermato: «È sufficiente solo osservare che il valore delle tabelle milanesi riconosciuto dalla sentenza n. 12408 del 2011 va inteso, ad avviso del Collegio, non già nel senso di avallare l'idea che le dette tabelle ed i loro adeguamenti siano divenute esse stesse in via diretta una normativa di diritto, che occorrerebbe necessariamente qualificare all'interno della categoria delle fonti per come regolata, sia pure ormai indirettamente per quanto concerne il concetto di legge, dall'art. 1 preleggi (ma non solo), bensì nel senso che esse integrino i parametri di individuazione di un corretto esercizio del potere di liquidazione del danno non patrimoniale con la valutazione equitativa normativamente prevista dall'art. 1226 c.c.. Le tabelle sono dunque "normative" nel senso che sono da riconoscere come parametri di corretto esercizio del potere di cui all'art. 1226 e, dunque, di corretta applicazione di tale norma. Esse hanno, pertanto, valore normativo nel senso che forniscono gli elementi per concretare il concetto elastico previsto nella norma dell'art. 1226 c.c.». In particolare, in riferimento alle tabelle milanesi la pronuncia richiamata afferma che sono «basate su criteri che, per il fatto stesso che hanno svolto efficacia persuasiva di gran lunga prevalente nelle applicazioni giurisprudenziali, sono idonee a meglio individuare il concetto di liquidazione equitativa di quel danno».

In conclusione

La sentenza Cassazione n. 16778/2015, confermando la precedente giurisprudenza della Suprema Corte, propone una “summa” dei passi logici che il giudice di merito deve compiere per liquidare i danni conseguenti ad illecito aquiliano e, precisamente:

  1. deve determinare se si tratti di danno patrimoniale o non patrimoniale;
  2. in questo secondo caso, quanto a quello biologico, deve verificare se i postumi siano permanenti o temporanei;
  3. nella prima ipotesi, individuare le conseguenze standard del pregiudizio e poi quelle peculiari del caso concreto sulla base delle circostanze allegate e provate dal danneggiato;
  4. ove si avvalga del criterio “a punto variabile” per la liquidazione del danno biologico, deve specificare a quali tabelle si riferisca e motivare le ragioni della variazione/personalizzazione del risarcimento standard.

Ben si comprende la forza dell'affermazione contenuta nella già menzionata Cass. civ., Sez. Un., n. 26972/2008, secondo cui «Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827/2003 e n. 8828/2003; Cass. n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato»: infatti, i sopra richiamati passi che il giudice del merito deve compiere al fine della corretta ed integrale liquidazione del danno conseguente ad illecito si reggono proprio sulla allegazione e prova delle circostanze che determinano poi la differenza nel quantum, così concretizzando il principio di uguaglianza contenuto nella Costituzione.

Guida all'approfondimento
  • F. Rosada, “La liquidazione del danno non patrimoniale tra divieto di duplicazione delle poste di danno e divieto di negazione dell'integrale risarcimento”, in Ri.Da.Re.;
  • D. Spera, “Danno biologico temporaneo”, in Ri.Da.Re.

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