Diffamazione a mezzo stampa: 30,000 € per falsa notizia di una perquisizione domiciliare
29 Luglio 2014
La perquisizione domiciliare può costituire, al pari delle misure cautelari personali e reali, una “macchia” per la reputazione, non scriminata dall'interesse pubblico alla conoscenza della notizia quando la stessa non sia vera, anche se riferita a soggetto sottoposto ad indagini.
Cass. civ, sez. III, 28 luglio 2014, n. 17082
I fatti. La società editrice e il direttore responsabile di un quotidiano venivano condannati – in entrambi i giudizi di merito - al risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa - pari a 30mila euro più accessori - in favore di un uomo che era stato indicato come direttamente coinvolto nello scandalo del c.d. lotto truccato. I soccombenti, però, hanno proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione di merito nella parte in cui ha ritenuto mancante il requisito della “verità” dei fatti narrati, «quale uno dei requisiti della scriminante del diritto di cronaca».
Non sussistenza del requisito della “verità”. Tuttavia, la S.C. ha confermato la decisione dei colleghi di merito, i quali avevano ritenuto non provata l'effettuazione di perquisizioni domiciliari, riportate nell'articolo come avvenute in danno dell'attore, «pure certamente indagato». Secondo i giudici, infatti, l'affermazione non veritiera, anche quanto – come nella fattispecie - alle modalità di svolgimento e alla presenza di persona, ha valenza diffamatoria, atteso che «nella pubblica opinione di piccoli centri la reputazione di un indagato, che abbia subito misure cautelari restrittive personali ovvero reali, subisce un pregiudizio, trattandosi di una “macchia”, che trova giustificazione nell'interesse pubblico solo se effettivamente subita».
Reputazione lesa. I giudici di legittimità, in conclusione, rigettando il ricorso, hanno affermato che «non si può dubitare che la perquisizione domiciliare, quale mezzo di ricerca della prova del corpo del reato o di cose pertinenti al reato e come luogo dove possa eseguirsi l'arresto (art. 247 c.p.p.), possa costituire, al pari delle misure cautelari personali e reali, una “macchia”, usando la terminologia del giudice di merito, per la reputazione, non scriminata dall'interesse pubblico alla conoscenza della notizia quando la stessa non sia vera, anche se riferita a soggetto sottoposto ad indagini».
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