La consulenza tecnica errata: rimedi e soluzioni

Antonino Barletta
29 Settembre 2015

Tizio chiede un risarcimento danni per malpractice sanitaria. Il giudice nomina c.t.u. medico Caio che, nella relazione scritta, riporta innanzitutto gli accertamenti effettuati nella struttura sanitaria. Tizio contesta nel merito la perizia, e ritiene che, nel caso di specie, possa anche configurarsi il reato di falso in perizia ex art. 373 c.p. in quanto il c.t.u. ha riportato affermazioni non corrispondenti al vero. Il c.t.u., infatti, a fronte di un ECG presente in cartella clinica, non firmato da alcun medico e poi refertato dai medici ospedalieri come sola «non segni di sofferenza ischemica», riporta, nella raccolta dei dati: ECG refertato come «non segni di sofferenza ischemica; ritmo sinusale, non blocco di branca, BEV isolato, PQ e QT nei limiti, normale conduzione intraventricolare».

Tizio chiede un risarcimento danni per malpractice sanitaria. Il giudice nomina c.t.u. medico Caio che, nella relazione scritta, riporta innanzitutto gli accertamenti effettuati nella struttura sanitaria. Tizio contesta nel merito la perizia, e ritiene che, nel caso di specie, possa anche configurarsi il reato di falso in perizia ex art. 373 c.p. in quanto il c.t.u. ha riportato affermazioni non corrispondenti al vero. Il c.t.u., infatti, a fronte di un ECG presente in cartella clinica, non firmato da alcun medico e poi refertato dai medici ospedalieri, riporta, nella raccolta dei dati: ECG refertato come «non segni di sofferenza ischemica; ritmo sinusale, non blocco di branca, BEV isolato, PQ e QT nei limiti, normale conduzione intraventricolare».

Per non creare equivoci, si precisa che il c.t.u. non ha mai parlato, nella fase di discussione dell'elaborato peritale, di sua personale valutazione di quell'esame, ma di valutazione fatta in ospedale. In definitiva, il c.t.u. riporta, come fatta dai medici convenuti, una valutazione dell'ECG completamente diversa da quella “documentalmente” riportata in cartella clinica («non segni di sofferenza ischemica»).

È corretto che Tizio, per tutelarsi, denunci il falso in perizia in quanto quella riportata non è la valutazione fatta in ospedale, dove si era parlato di soli «non segni di sofferenza ischemica», ma quella che dovrebbe essere la valutazione di quell'ECG fatta dal c.t.u?

Ai sensi dell'art. 373 c.p. «il perito o l'interprete, che, nominato dall'Autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni mendaci, o afferma fatti non conformi al vero», soggiace alle pene stabilite per il delitto di falsa testimonianza. L'eventuale falsata rappresentazione di “fatti” può consistere nell'artefatto resoconto del contenuto dei documenti prodotti in giudizio, in relazione ai quali il c.t.u. è chiamato a espletare l'incarico ricevuto dal giudice. Nondimeno, come per tutti i reati di falso, anche per quello di falsa perizia è richiesto il dolo, sulla cui configurabilità nel caso di specie non è possibile esprimere alcuna valutazione. È ben possibile, infatti, che nel riportare il contenuto del documento il c.t.u. sia incorso in un errore, e che pertanto la relazione del c.t.u. risulti viziata sotto un profilo meramente processuale.

Per altro verso, nel caso di specie non è necessario proporre querela di falso. La proposizione di tale rimedio è richiesta solo nell'ipotesi in cui il c.t.u. riporti nei verbali delle operazioni peritali informazioni non veritiere rispetto a quelle ricevute e che lo stesso c.t.u. attesta essere state rese alla sua presenza: cfr. Cass. civ., sez. III,24 maggio 2007, n. 12086, secondo cui «La querela di falso civile in via incidentale o principale è consentita contro l'atto pubblico o le scritture private, cioè in genere contro le prove documentali precostituite, in quanto facciano fede ai sensi degli art. 2699 e 2702 c.c., ed è diretta a togliere ai medesimi la fede che dovrebbero avere o hanno nel giudizio. Ne consegue che essa è ammissibile contro il verbale redatto dal consulente tecnico di ufficio – in relazione alla qualità di pubblico ufficiale dal medesimo rivestita – costituente atto pubblico anche riguardo all'efficacia probatoria che esso spiega in ordine ai fatti che il consulente asserisce essersi verificati in sua presenza, ma non anche contro il contenuto della consulenza tecnica d'ufficio, la quale pur se redatta per iscritto si distingue dalla prova documentale e non fa pubblica fede delle affermazioni o constatazioni o giudizi in essa contenuti, potendo essere confutata con tutti i mezzi di prova senza necessità dell'esperimento della querela di falso, né impegnando il giudice, che può approvarla o disattenderla».

Le parti del giudizio sono senz'altro tenute a contestare nella prima udienza successiva al deposito della relazione del c.t.u. l'erroneo riferimento al contenuto dei documenti agli atti. Successivamente il giudice potrebbe convocare il c.t.u. per chiarimenti, anche al fine di valutare l'opportunità di un'integrazione della consulenza tecnica, ovvero se procedere alla nomina di un nuovo consulente ai sensi dell'art. 196 c.p.c..

Nel caso in cui il giudice non tenga in alcuna considerazione le contestazioni della parte interessata e i documenti su cui tali contestazioni si fondano, decidendo la causa nel merito sulla base dell'erronea relazione del c.t.u., la relativa sentenza sarebbe suscettibile d'impugnazione, anche con ricorso per cassazione: sempre ammesso ove si tratti di richiedere il controllo ex actis della veridicità delle conclusioni del c.t.u. (cfr. Cass. civ., sez. II,12 febbraio 2004, n. 2707).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.