L’autonoma risarcibilità del danno morale

Redazione Scientifica
30 Aprile 2014

Il danno morale è risarcibile in via autonoma rispetto al danno biologico?

Il danno morale è risarcibile in via autonoma rispetto al danno biologico?

È noto che le sentenze di San Martino (Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008, n. 26972, Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008, n. 26973, Cass. civ. S.U. dell'11 novembre 2008, n. 26974, Cass. civ. S.U. 11 novembre 2008, n. 26975) hanno sancito, tra l'altro, il seguente principio: “quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato, spetta alla vittima il risarcimento del danno non patrimoniale nella sua più ampia accezione, ivi compreso il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva causata dal reato. Tale pregiudizio può essere permanente o temporaneo (circostanze delle quali occorre tenere conto in sede di liquidazione, ma irrilevanti ai fini della risarcibilità), e può sussistere sia da solo, sia unitamente ad altri tipi di pregiudizi non patrimoniali (ad es., derivanti da lesioni personali o dalla morte di un congiunto): in quest'ultimo caso, però, di esso il giudice dovrà tenere conto nella personalizzazione del danno biologico o di quello causato dall'evento luttuoso, mentre non ne è consentita una autonoma liquidazione”.

In applicazione di tali coordinate ermeneutiche, buona parte della giurisprudenza di legittimità ha successivamente ribadito il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. (cfr. Cass. civ. sent. n. 21999/2010, Cass. civ. n. 24015/11 e, da ultimo, Cass. civ. sent. n. 11950/2013; Cass. civ. n. 21716/2013; Cass. civ. n. 687/2014).

Nondimeno, deve darsi atto di un orientamento interpretativo diverso, massimamente espresso dalla sentenza Cass. n. 22585/2013, che, nel richiamare una precedente pronuncia ( Cass. n. 18641/2011), ha ritenuto che l'autonomia del danno morale rispetto al danno biologico sia in particolare desumibile da “un preciso indirizzo legislativo”, manifestatosi attraverso l'emanazione di due successivi provvedimenti normativi, il d.P.R. n. 37 del 2009 ed il d.P.R. n. 191 del 2009, “in seno ai quali una specifica disposizione normativa (l'art. 5) ha inequivocabilmente reso manifesta la volontà del legislatore di distinguere, morfologicamente prima ancora che funzionalmente”, all'indomani delle pronunce del 2008, tra la voce del danno biologico e la voce del danno morale (Cass. civ. , sez. III, sent. 3 ottobre 2013 n. 22585). Sulla scorta di tale premessa, la pronuncia in commento ha ravvisato la differenza ontologica del danno morale rispetto (non soltanto al danno biologico, ma anche) al danno “dinamico – relazionale”, essendo il primo relativo alla sofferenza interiore ed il secondo alla significativa alterazione della vita quotidiana, ed ha ritenuto tali “danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili”: la pronuncia in commento è così pervenuta all'accoglimento dei motivi di ricorso con i quali il ricorrente aveva denunciato l'omessa autonoma liquidazione del danno morale soggettivo e l'omessa valutazione delle conseguenze in ambito familiare e relazionale della definitiva compromissione delle potenzialità di esplicazione della propria personalità.

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