La definizione di circolazione stradale alla luce della normativa europea
30 Maggio 2017
È conforme al diritto europeo una interpretazione degli art. 2054 c.c. e 122 Cod. ass. che escluda dall'ambito della circolazione stradale i sinistri provocati da veicoli all'interno di aree private?
La giurisprudenza della Cassazione ha recentemente chiarito, con una decisione a Sezioni Unite del 29 aprile 2015 n. 8620, che nel concetto di circolazione stradale è compresa anche la posizione di arresto del veicolo, sia in relazione all'ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia in relazione alle operazioni eseguite in funzione della partenza o connesse alla fermata, sia ancora con riguardo a tutte le operazioni cui il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade, rimanendo indifferente l'uso che in concreto si faccia del veicolo, sempre che questo uso rientri in quello che il veicolo stesso può avere secondo le sue caratteristiche. La Suprema Corte, però, non ha affrontato anche la questione della circolazione con riferimento al luogo in cui questa avviene, ritenendo di dovere aderire al consolidato orientamento che definisce circolazione stradale, ai fini dell'applicazione dell'art. 2054 e della normativa in materia di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile auto, quella che avviene su “strade di uso pubblico o ad esse equiparate”, intendendosi per aree equiparate anche quelle di proprietà privata che «siano aperte ad un numero indeterminato di persone ed alle quali sia data la possibilità, giuridicamente lecita, di accesso da parte di soggetti diversi dai titolari di diritti su di essa, non venendo meno l'indeterminatezza dei soggetti che hanno detta possibilità pur quando essi appartengano tutti a una o più categorie specifiche e quando l'accesso avvenga per particolari finalità ed in particolari condizioni» (Cass. civ., Sez. Un, sent. 29 aprile 2015 n. 8620). Principio ribadito ancora recentemente per escludere l'applicazione della l. n. 990/1969 (vigente all'epoca dei fatti ma oggi sostanzialmente recepita dal d. lgs. n. 209/2005) ad un sinistro verificatosi su una pista da sci nel quale erano rimasti coinvolti un'autovettura ed uno sciatore. Ha stabilito la Suprema Corte che «la circolazione presuppone quindi una strada o un'area – pubblica o destinata ad uso pubblico – ad essa equiparata; e ciò significa che, se un veicolo senza rotaie viene guidato in una zona priva di tale caratteristica, la circolazione in senso giuridico non sussiste, onde non sono applicabili … né l'art. 2054 c.c. né la normativa attinente all'assicurazione obbligatoria per la conseguente responsabilità» (Cass. civ., sez. III, sent. 20 ottobre 2016 n. 21254). In particolare, hanno ritenuto i giudici di legittimità che «non sono sufficienti né il movimento di un veicolo senza rotaie né la sua presenza in un luogo anche pubblico o a uso pubblico per ricondurre l'eventuale incidente che ne possa derivare nella specifica fattispecie della circolazione stradale e della correlata assicurazione obbligatoria», e ciò perché «la circolazione, quindi, non può essere intesa, su un piano erroneamente soggettivo, come frutto dell'intenzione e della scelta del soggetto che guida il veicolo, bensì oggettivamente, come uso attribuito ad un'area pubblica o ad un'area privata ma destinata appunto a tale uso pubblico» (Cass. civ., sez. III, sent. 20 ottobre 2016 n. 21254). Dunque, per la Suprema Corte è circolazione qualunque uso di un veicolo senza guida di rotaie, pertanto anche la sua sosta e «tutte le operazioni cui il veicolo è destinato a compiere e per il quale esso può circolare nelle strade», purché questo uso avvenga non su qualunque area bensì in spazi destinati alla circolazione nel senso – pur sempre ampio – sopra definito. Conseguentemente un'area privata, e che non abbia le caratteristiche per essere equiparata ad una strada pubblica, non è un luogo dove sia possibile la circolazione stradale perché area nella quale può ben verificarsi il “movimento” di un veicolo ma non destinata a questo uso. Questa definizione di circolazione, pur essendo ampia ed aderente al dato normativo nazionale, potrebbe non essere conforme alla legislazione europea. L'art. 3, paragrafo 1, della Direttiva 72/166/CEE del Consiglio del 24 aprile 1972 stabilisce che «ogni Stato membro adotta tutte le misure necessarie, fatta salva l'applicazione dell'art. 4, affinché la responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli che stazionano abitualmente nel suo territorio sia coperta da un'assicurazione». Ha recentemente affermato la Corte di Giustizia Europea che questa disposizione (e neppure le direttive successive in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli) rinvia al diritto degli Stati membri «ai fini della definizione di circolazione e conseguentemente deve essere oggetto di una interpretazione autonoma ed uniforme che tenga conto non solo dei suoi termini, ma anche del suo contesto e della finalità perseguita dalla normativa di cui è parte» (Corte di Giustizia Europea, sez. III, 4 settembre 2014 che ha deciso la causa C-162/13). Ebbene, ha stabilito la Corte Europea che, tenuto conto «dell'obiettivo di tutela perseguito dalle direttive (…), non si può ritenere che il legislatore dell'Unione abbia voluto escludere dalla tutela accordata da dette direttive le persone lese da un incidente causato da un veicolo in occasione del suo uso, purché uso conforme alla funzione abituale del veicolo medesimo». Dunque, «l'art. 3, paragrafo 1, della prima direttiva (Direttiva 72/166/CEE del Consiglio del 24 aprile 1972) deve essere interpretato nel senso che rientra nella sua nozione di circolazione dei veicoli qualunque uso di un veicolo che sia conforme alla funzione abituale dello stesso». La questione era stata rimessa all'esame della Corte da un giudice sloveno al quale un cittadino di quel paese si era rivolto per ottenere dall'impresa di assicurazione di un trattore il risarcimento dei danni subiti cadendo da una scala contro la quale aveva urtato il suddetto mezzo mentre effettuava, all'interno del cortile di una casa colonica, una retromarcia per immettere il rimorchio nel fienile. Sembrerebbe, pertanto, eccessivamente restrittiva, e dunque penalizzante per le vittime di un sinistro causato dalla circolazione di un veicolo, la legislazione nazionale che subordina l'applicazione dell'art. 2054 c.c. e quella sull'assicurazione obbligatoria alla circostanza che l'uso (nell'ampia accezione preferita dalla giurisprudenza di legittimità) avvenga pur sempre nell'ambito della circolazione stradale, ossia in uno spazio, strada pubblica o ad essa equiparata, che sia destinato a tale scopo. Viceversa, sarebbe decisivo, nell'ottica della normativa europea, il coinvolgimento nel sinistro di un veicolo, indipendentemente dalla tipologia del luogo in cui avvenga la circolazione. È ragionevole attendersi, quindi, che la giurisprudenza possa rivedere l'orientamento prevalente, ultimamente confermato dalle pronunce sopra richiamate, tanto più che «il contrasto tra norme interne e norme della UE dà luogo non ad invalidità o illegittimità delle prime, ma alla semplice loro non applicazione in favore di quelle comunitarie nei limiti e secondo l'ampiezza determinata dalle sentenze della Corte di giustizia» (Cass. civ., Sez. VI, sent. 8 febbraio 2016 n. 2468). |