D.Lgs. 231/2001: la costituzione di un trust non è una condotta riparatoria

Redazione Scientifica
31 Marzo 2016

La Corte di Cassazione ha stabilito che la costituzione di un trust non può essere ricompresa tra le condotte riparatorie ai sensi dell'art. 17 D.lgs. n. 231/2001, non essendo idonea a dimostrare un'efficace azione diretta al risarcimento del danno.

Con la sentenza n. 11209/2016, la Corte di Cassazione ribadisce il carattere dinamico del concetto di “profitto di rilevante entità” ai fini dell'applicazione delle misure cautelari ex art. 13, D.Lgs. n. 231/2001, aggiungendo per quanto riguarda le condotte riparatorie di cui al successivo art. 17, che la costituzione di un trust non è idonea a dimostrare un'efficace azione diretta al risarcimento del danno e all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato.

La vicenda. Il g.i.p. del Tribunale di Pistoia applicava nei confronti di una s.p.a. la misura cautelare del divieto temporaneo di contrattare con la p.a. in relazione all'imputazione per associazione a delinquere finalizzata al compimento di fatti corruttivi e di turbativa d'asta. La misura era stata sospesa ai sensi dell'art. 49, D.Lgs. n. 231/2001 al fine di consentire alla società di porre in essere gli adempimenti previsti dall'art. 17 inibitivi delle sanzioni interdittive. Il mancato compimento degli adempimenti ivi previsti entro il termine di sospensione aveva portato al successivo ripristino della misura cautelare.

La vicenda era approdata innanzi alla Corte di Cassazione che, con pronuncia rescindente, rimetteva l'esame della questione al giudice territoriale che revocava l'originaria ordinanza cautelare del g.i.p. Il p.m. ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale lamentando plurimi profili di illegittimità del provvedimento.

Il profitto di rilevante entità. La prima questione che viene proposta all'attenzione del Collegio, riguarda la qualificazione del profitto quale condizione legittimante la sanzione interdittiva ai sensi dell'art. 13, D.Lgs. n. 231/2001. La norma si riferisce infatti al “profitto di rilevante entità”, concetto di non facile definizione che è stato delineato con chiarezza solo nei più recenti approdi della giurisprudenza (Cass. Sez..Un. n. 26654/2008).

L'entità del profitto rilevante evoca un concetto “dinamico” e non deve dunque essere limitata al mero dato economico-aziendalistico del margine di guadagno ottenuto dalla società, ma deve valorizzare tutti gli elementi che connotano la condotta in termini di vantaggio. Tra gli indicatori a tal fine rilevanti, rientrano ad esempio l'utile potenziale derivante da altri appalti direttamente acquisiti dall'impresa, l'ottenimento della c.d. attestazione SOA necessaria per partecipare ad altre gare pubbliche, l'incremento del merito di credito dell'impresa presso gli istituti bancari e l'aumento del potere contrattuale nei rapporti con i fornitori.

Il risarcimento del danno. Il p.m. ricorrente censura inoltre la ritenuta sussistenza delle condotte riparatorie ex art. 17, D.Lgs. n. 231/2001, in quanto il Tribunale aveva ritenuto che la costituzione di un trust e di un fondo di accantonamento fossero sufficienti a soddisfare le condizioni previste dalla lettera a) della norma citata, quale forma idonea a dimostrare un'efficace azione diretta al risarcimento del danno e all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato.

Avallando la censura, la Corte sottolinea come il giudice abbia in tal modo consentito alla società di posticipare il risarcimento del danno all'esito del giudizio penale, contravvenendo alla ratio stessa della disposizione e alla finalità special preventiva che connota il sistema punitivo della responsabilità degli enti da reato. Il D.Lgs. 231/2001 delinea infatti un sistema sanzionatorio a carattere preventivo che mira a prevenire la commissione di reati attraverso una particolare strutturazione dell'organizzazione societaria.

Ne consegue che la mera costituzione di un trust non può essere considerata un adempimento dell'obbligo risarcitorio di cui alla lett. a) dell'art. 17 che esige un'anticipazione del risarcimento rispetto all'esito del procedimento penale, oltre all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, presupponendo una determinazione del danno stesso ed un comportamento collaborativo tra le parti contrapposte. Tali condizioni non sono riscontrabili nel caso di specie in cui vi è stata una semplice spedizione di una missiva da parte della società con la quale veniva comunicata ai danneggiati la costituzione del trust.

In conclusione, risultando carente la motivazione fornita dal Tribunale in merito ai profili evidenziati, la Corte di Cassazione annulla con rinvio l'ordinanza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Pistoia per un nuovo esame.

(Tratto da: www.ilsocietario.it)

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.