La Consulta e il danno alla persona nella r.c. auto: cosi è e così pare

Maurizio Hazan
31 Ottobre 2014

Attesa con brama ed accolta con enfasi, la sentenza C. Cost. n. 235/2014 - con cui la Corte Costituzionale “sdogana” e legittima l'art. 139 Cod. Ass. Sennonché, a voler ben vedere, la Consulta, con quella pronunzia, non innova alcunché, né scompagina le carte. Al contrario, si limita a confermare – certo, con l'autorevolezza che le è propria – quanto, del tutto linearmente, ben si poteva (e si doveva…), ricavare dalla semplice e più naturale lettura critica, e costituzionalmente orientata, del complessivo impianto codicistico di riferimento. Tanto più al filtro dei principi espressi nello statuto del danno non patrimoniale, armoniosamente levigato dalle celebri sentenze di San Martino.
Legittimazione dell'art. 139. Cod. Ass.

Attesa con brama ed accolta con enfasi, la sentenza C. Cost. n. 235/2014 - con cui la Corte Costituzionale “sdogana” e legittima l'art. 139 Cod. Ass. - ha già guadagnato gli onori della ribalta ed il centro di un rinnovato dibattito (v. su Ri.Da.Re. D. Spera, Riverberi sulla tabella milanese della pronuncia costituzionale sull'art. 139 Cod. Ass., e M. Bona, Corte costituzionale n. 235/2014: cestinatela!).

Sennonché, a voler ben vedere, la Consulta, con quella pronunzia, non innova alcunché, né scompagina le carte. Al contrario, si limita a confermare – certo, con l'autorevolezza che le è propria – quanto, del tutto linearmente, ben si poteva (e si doveva…), ricavare dalla semplice e più naturale lettura critica, e costituzionalmente orientata, del complessivo impianto codicistico di riferimento. Tanto più al filtro dei principi espressi nello statuto del danno non patrimoniale, armoniosamente levigato dalle celebri sentenze di San Martino.

Così, mentre un'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 139 Cod. Ass. avrebbe, con tutta probabilità, indotto effetti dirompenti, l'affermazione della sua tenuta si limita a (ri)mettere le cose a posto ed a sancire, con rara chiarezza, come i sistemi delle responsabilità obbligatoriamente assicurate, ed in particolare quello della R.c. auto, vivano di regole proprie; e si modulino in funzione di un contemperamento solidale di tutti gli interessi da quei sistemi, a diverso titolo, coinvolti.

La disciplina codicistica delle lesioni di lieve entità nella R.c. auto regge - dunque - e regge bene, in tutte le sue declinazioni.

Una tanto marcata agitazione tra gli interpreti ed un così intenso “brusio di fondo” tra gli operatori possono, dunque, comprendersi soltanto in ragione della presa d'atto della necessità di porre fine ad ogni precedente, e talvolta bizantino, aggrovigliamento teorico (e sugli stessi temi, per andar a ritroso nel tempo, sia consentito il rinvio ad M. Hazan, Il Nuovo danno patrimoniale nel sistema della R.C. Auto: le difficoltà di accettare la svolta, in Danno e resp., 10, 2009, 919 e ss.).

Il dibattito che sembra invece destinato a rimanere aperto, e che anzi andrà ora a ravvivarsi, riguarda – prospetticamente - ciò che la sentenza non tocca, se non indirettamente: la liquidazione dei danni di non lieve entità e di quelli che neppure trovano spazio all'interno del Codice delle Assicurazioni (danni da perdita o compromissione del rapporto parentale e da morte, siano essi catastrofali o biologici terminali). Qui, vi è da chiedersi come le istanze di certezza e di solidale allocazione dei costi e dei rischi potranno conciliarsi, da un lato, con le diverse, e tra loro differenti, esigenze di tutela dei danneggiati e, dall'altro, con la mano libera di cui il giudice potrà vestire il proprio senso d'equità, in assenza – almeno allo stato dell'arte - di limitazioni di legge.

Ciò posto, riteniamo che la sentenza della Consulta costituisca l'occasione per reinquadrare la disciplina del danno alla persona nella R.c. auto (e, per quanto di interesse, nella responsabilità sanitaria), sotto l'aspetto finalistico, operativo e prospettico.

Non solo: offre lo spunto per allargare la visuale e cercare di tracciare le sempre più frequenti interazioni tra i moderni (sotto)sistemi della responsabilità e quello dell'assicurazione, specie nei contesti in cui tali interazioni divengono obbligatorie e finiscono coll'incidere sui rispettivi modelli privatistici di riferimento, modificandone gli assetti. E proprio da qui muoveremo, giacché la pronunzia in commento recepisce e disegna con mirabile rotondità le coordinate ideologiche e giuridiche di quello che può oggi, senza imbarazzi, definirsi come il nuovo diritto dei sistemi (obbligatoriamente) assicurati.

La R.c. auto: regole proprie e funzione sociale

È noto come le attuali contingenze storico/economiche tendano ad attribuire all'assicurazione funzioni e ruoli sociali sempre più orientati a surrogare lo Stato e ad ovviare alla difficoltà di mantenere il livello di welfare promesso, con poca lungimiranza, in tempi passati.

La riviviscenza di istanze mutualistiche presidiate (anche) da strumenti assicurativi integrativi e di “terzo” pilastro, sembra oggi un corollario naturale della crisi di sostenibilità nella previdenza e nella sanità. Ma la dimensione lato sensu previdenziale dell'assicurazione moderna si rivela, in tutta la sua forza, anche in quei sempre più ampi settori di attività che - socialmente utili, per non dire indispensabili – sono foriere di rischi endemici, ai quali si correlano nuovi bisogni di sicurezza: rischi e bisogni che la leva assicurativa sembra poter, rispettivamente, coprire e soddisfare.

Ed è in quest'ottica che devono essere considerate anche, e forse soprattutto, le regole liquidative stabilite dal Codice delle Assicurazioni per le lesioni da R.c. auto, nell'ambito di una disciplina di sistema dalle forti connotazioni sociali e pubblicistiche.

Di più, una disciplina quasi bifronte, che pone negli avamposti il rapporto diretto che fa dell'assicuratore una sorta di “nuovo responsabile” per il terzo danneggiato e lascia in controluce il rapporto negoziale tra l'impresa ed il proprio assicurato (le cui eventuali patologie potranno, semmai, esser fatte valere in via di rivalsa, ai sensi e per gli effetti dell'art. 144 Cod. Ass., e mai opposte al terzo danneggiato).

Il mantenimento dell'obbligo diretto dell'assicuratore anche in caso di dolo (così come elaborata pacificamente in giurisprudenza – Cass., 21 giugno 2004, n. 11471) dimostra, peraltro, la sostanziale irrilevanza dell'elemento soggettivo (nella condotta dell'assicurato responsabile) rispetto alla finalità eminentemente riparatoria/indennitaria che informa l'intero sistema della R.c. auto. E tale spersonalizzazione, oltre che sul versante assicurativo, emerge sul piano dell'elaborazione giurisprudenziale dei criteri d'imputazione della responsabilità risarcitoria nel settore della sinistrosità stradale: criteri che, di pari passo con l'aumento della circolazione veicolare, si sono progressivamente avvicinati a modelli oggettivi e comunque più stringenti rispetto alla formulazione (per “colpa presunta”) dell'art. 2054 c.c. (v. C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 433).

D'altra parte l'avvento del c.d. “indennizzo diretto” (art. 149, Cod. Ass.) e la previsione di altre azioni dirette - quelle di cui all'art. 141 Cod. Ass., esercitabili dai terzi trasportati - del tutto scollegate tanto dal contratto (di assicurazione del vettore) quanto da qualsivoglia accertamento di responsabilità, estremizzano la deviazione del modello assicurativo dai solchi originari.

Lo strumento dell'assicurazione obbligatoria risulta, in ultima analisi, piegato al perseguimento di interessi affatto eterogenei ma socialmente rilevanti:

  • tutela dei terzi danneggiati e degli utenti;
  • semplificazione delle procedure liquidative, miglior controllo di una diffusa fraudolenza, riduzione dei contenziosi e dei correlati costi;
  • mantenimento del mercato entro livelli di massima economicità e concorrenza, onde consentirne l'accesso all'universalità degli utenti a condizione di premio sostenibile.

E nella medesima direzione vanno lette le specifiche regole liquidative da adottarsi, in tema di danno alla persona, proprio nel settore della R.c. auto: l'introduzione di una autonoma criteriologia liquidativa di tipo tabellare, predeterminata nei valori massimi della personalizzazione dei singoli danni biologici, esprime, infatti, la chiara volontà di porre rimedio a quelle incertezze applicative di fonte giurisprudenziale che tanto pregiudicano la corretta assunzione dei rischi in un settore nevralgico quale quello della circolazione stradale. Ma non solo: la scelta di contenere i risarcimenti entro livelli standardizzati - e comunque limitati entro una soglia di massima risarcibilità - esprime una regola di “equità codificata” volta a determinare una misura unitaria del risarcimento/indennizzo che, pur accordando adeguato ristoro ai danneggiati, non pregiudichi la tenuta generale del sistema né conduca i premi ad alzarsi a livelli tali da impedire - di fatto - a determinate categorie di utenti di accedere alle coperture. Ciò a maggior ragione laddove si consideri che l'alea automobilistica è espressione di un rischio endemicamente connaturato al fenomeno della circolazione stradale, rispetto al quale ciascun utente della strada riveste, di norma, sia il ruolo di potenziale protagonista passivo che di portatore attivo.

Di qui la possibilità di leggere, in quel binomio normativo (artt. 138 e 139 Cod. Ass.), l'espressione di un'equità solidale di cui lo stesso danneggiato è parte, fruendone dei benefici ed al contempo sovvenzionandola attraverso l'accettazione di una convenzione risarcitoria predeterminata nei valori massimi. Convenzione che sola può risolvere quelle difficoltà di ordine tecnico-organizzativo che altrimenti condurrebbero ad un insanabile conflitto, e dunque ad un punto di rottura, tra gli obiettivi di tutela del danneggiato e le esigenze di corretto funzionamento dello strumento assicurativo obbligatorio.

Che all'obbligo assicurativo corrisponda, qui, un sottosistema della responsabilità autonomo e governato da regole proprie, in qualche modo influenzate proprio dalla necessità della stampella assicurativa, è questione che la stessa giurisprudenza di legittimità ha saputo con chiarezza fare propria. Ci riferiamo alla sentenza della Cass. 7 giugno 2011 n. 12408 (v. G. Ponzanelli, Le tabelle milanesi, l'inerzia del legislatore e la supplenza giurisprudenziale, in Danno e Resp., 2011, 504; D. Spera, I criteri di liquidazione del danno non patrimoniale e le questioni aperte dai recenti orientamenti di legittimità, in Giur. It., 2012, 6, 1307; M. Franzoni, Tabelle nazionali per sentenza, o no?, in Corr. Giur., 2011, 1085; M. Hazan, L'equa riparazione del danno (tra R.c. auto e diritto comune), in Danno e Resp., 2011, 946), che ebbe a rimarcare l'evidentissimo fil rouge che lega le sorti del regime della responsabilità a quelle dell'assicurazione (obbligatoria) che la garantisce e che, permeando la ratio legis dell'art. 139 Cod. Ass., sarebbe volto «a dare una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del contenimento dei premi assicurativi, specie se si considera che, nel campo della r.c.a., i costi complessivamente affrontati dalle società di assicurazione per l'indennizzo delle cosiddette micropermanenti sono di gran lunga superiori a quelli sopportati per i risarcimenti da lesioni comportanti postumi più gravi».

E nel solco argomentativo tracciato da quel precedente si inserisce, senza soluzione di continuità, la sentenza in commento, che ammanta quel ragionamento di una superiore dignità costituzionale.

La posizione della Consulta

Da oltre di dieci anni la Consulta era stata, a più riprese, sollecitata a pronunziarsi sulla legittimità costituzionale della disciplina risarcitoria della R.c. auto, che sin dai tempi della Legge 5 marzo 2001, n. 57 (art. 5, comma 4 l. n. 57/2001), era stata da più parti censurata per i limiti introdotti al potere di personalizzazione del giudice e, conseguentemente, per la sua pretesa incompatibilità con il superiore principio di integrale risarcimento del danno (si pensi alle ordinanze del Giudice di Pace di Roma 14 gennaio 2002, Giud. Fazzari, in Giur. It., 2002, 291; Giudice di Pace di Torino 30 novembre 2009, Giud. Polotti di Zumaglia, in Resp. Civ. e Prev., 2010, 920).

Sennonché, in passato, la Corte Costituzionale (C. Cost., ord. 12 febbraio 2004, n. 64; C.Cost. 29 dicembre 2004, n. 434; C. Cost., ord. 28 aprile 2011, n. 157) si era sempre tratta d'impaccio affermando l'inammissibilità delle questioni sottopostele per questioni pregiudiziali e, dunque, senza mai entrare nel merito.

Nel silenzio della Corte si è andato alimentando un vero e proprio contrasto di coscienze e di idee che ha visto contrapporsi una concezione economica del danno e della responsabilità (stigmatizzata dalla citata sentenza di Cass. n. 12408/2011, e recepita anche a livello legislativo) ad una visione antropocentrica ed “umanistica” che si rifiuta di condizionare la tutela dei diritti incomprimibili della persona a logiche di carattere economico. A corroborare quest'ultimo filone, refrattario alle norme e volto a tutelare - senza limiti e senza inquinamenti “paneconomici”- ogni diritto della persona, si sono poste, anche in tempi recenti, alcune importanti pronunzie della Suprema Corte, tra le quali meritano di esser ricordate Cass. civ., 3 ottobre 2013, n. 22585 (rel. G. Travaglino, in Danno e Resp., 2014, 1, 55, con nota di Monateri; in Foro It., 2013, 12 , 3433) e Cass. civ., 23 gennaio 2014, n. 1361 (rel. L. A. Scarano, in Corriere giur., 2014, 6, 761, con nota di Facci; Danno e Resp., 2014, 4, 363, con nota di Ponzanelli, Foffa, Pardolesi, Simone, Giu. It., 2014, 4, 813, con nota di Valore), entrambe volte a ribadire che il pieno ristoro dei pregiudizi morali od esistenziali (ben lungi dall'essere espunti dal sistema del risarcimento del danno non patrimoniale) continuerebbe a costituire il fulcro di una irrinunciabile protezione della dignità umana.

La seconda di tali pronunce alza, poi, e di molto, l'asticella del danno risarcibile, rivestendo una portata quasi deflagrante nella parte in cui ammette il risarcimento del danno tanatologico (o da perdita della vita).

Certo una così marcata contrapposizione generava, a sua volta, una discutibile incertezza sull'effettiva resistenza, o meno, del sistema liquidativo di legge nonché sulla possibilità, da più parti propugnata, di consentire al giudice di potersi liberare dalle strettoie impostegli dal Codice e, così, di personalizzare i risarcimenti anche oltre i limiti stabiliti, per le lesioni di lieve entità, dall'art. 139 Cod. Ass.

Una tale situazione risultava difficile a tollerarsi, aumentando i profili di possibile contesa tra le parti coinvolte ed impattando su di un sistema, quello della R.c. auto, che registra, di per sé, una conflittualità esasperata; una conflittualità alla quale si riconnettono costi (economici ed anche “umani”) talmente elevati da riverberarsi – a livello di scala – sulla stessa sostenibilità generale dell'assicurazione obbligatoria automobilistica (anche per quel che attiene all'elevato livello dei premi ).

Erano, dunque, maturi i tempi per un intervento risolutore, almeno nelle intenzioni.

E come tale va letta la sentenza C. Cost. n. 235/2014, con la quale la Corte Costituzionale perviene a conclusioni nette e tali da tranciare (o almeno così ci pare) i precedenti contrasti e, con essi, il nodo di ogni dubbio sin qui avviluppatosi. E lo fa affrontando le questioni sottopostele muovendo proprio dall'esigenza di considerarne gli impatti e la tenuta, sul piano della legittimità, entro logiche di largo respiro e sistematiche, tenendo conto di tutti i molteplici interessi implicati dalla disciplina legale dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità da circolazione stradale. In sintesi, privilegiando l'approccio economico rispetto a quello “umanista”, al filtro di un principio – quello del contemperamento dei valori e degli interessi – che, alla fine, non si pone in antitesi con le esigenze di superiore tutela della persona, ma anzi le presidia, consentendo di soddisfarle in concreto, sostenendone - con equilibrio - il peso.

In quest'ottica, e con queste premesse, il Giudice delle Leggi sdogana, definitivamente, l'art. 139 Cod. Ass., di cui si afferma, dunque, la piena compatibilità con i valori espressi dalla Carta.

E così, il “nuovo” diritto dei sistemi assicurati, a cui si faceva poc'anzi cenno, trova, in qualche modo, una propria “superiore” consacrazione.

La sentenza: i punti salienti

Provvedendo con unica sentenza, data la sostanziale identità delle questioni prospettate, la Corte Costituzionale ha deciso quattro giudizi aventi ad oggetto la pretesa illegittimità costituzionale dell'art. 139 Cod. Ass., rispettivamente promossi dal Giudice di pace di Torino (G.d.p. Torino 24 ottobre 2011), dal Tribunale ordinario di Brindisi – sezione distaccata di Ostuni (Trib. Brindisi 15 maggio 2012), dal Tribunale ordinario di Tivoli (Trib. Tivoli 21 marzo 2012) ed infine dal Giudice di pace di Recanati (G.d.p. Recanati 24 maggio 2013).

Come detto, il cuore della questione risiedeva, secondo tutti e quattro i giudici (con lievissime modulazioni argomentative) nella sostenuta contrarietà alla Costituzione del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico (permanente o temporaneo) da lesioni di lieve entità derivanti da sinistro stradale, introdotto dal censurato art. 139 Cod. Ass.: un meccanismo che, secondo la corretta sintesi della Consulta, «darebbe luogo ad un sistema indennitario che limiterebbe la piena riparazione del danno, ancorandolo a livelli pecuniari riconosciuti, per via normativa, equi ex ante, ma che – sia per la rigidità dell'aumento percentuale dell'importo nella misura massima del quinto (20%), sia per la (ritenuta) impossibilità di liquidare l'eventuale, non contemplato, danno morale – non consentirebbe una adeguata personalizzazione del danno e determinerebbe, di conseguenza, una disparità di trattamento in relazione al riconoscimento del diritto al suo integrale ristoro, in base al diverso elemento causativo del danno stesso, oltre che un'ingiustificata prevalenza della tutela dell'esercizio dell'attività assicurativa rispetto alla tutela della lesione del diritto inviolabile alla salute».

Di qui il denunciato contrasto con gli evocati parametri costituzionali, ed in particolare con il disposto degli artt. 2, 3, 24, 32 Cost., oltreché art. 76 Cost. (oltre che – secondo i Tribunali ordinari di Brindisi e di Tivoli, ed il Giudice di pace di Recanati – dell'art. 117, in relazione alla violazione di taluni principi fondamentali di diritto europeo, tra i quali l'art. 6 del Trattato sull'Unione europea e gli artt. 2, 3, 6, 8 della CEDU).

Tali essendo i termini della questione, la Consulta è intervenuta con rara decisione affermando conclusivamente che «le questioni sollevate dai rimettenti sono, sotto ogni profilo, non fondate». Il tutto offrendo una lettura del sistema di risarcimento del danno alla persona da lesioni di lieve entità (nella R.c. auto) che riteniamo possa sintetizzarsi nella seguente articolazione:

  1. L'articolo 139 Cod. Ass. non esclude il risarcimento del danno morale, ed anzi lo ammette, sia pur entro il limite della personalizzazione del 20%;
  2. Il bilanciamento tra i diritti inviolabili della persona e il dovere di solidarietà (di cui, rispettivamente, al primo e secondo comma dell'art. 2 Cost.) ammette la non risarcibilità dei danni da lesioni che non superino il "livello di tollerabilità" che ogni persona, inserita nel complesso contesto sociale, deve accettare;
  3. A tale bilanciamento non si sottraggono neppure i diritti della persona, dovendosi operare una valutazione di “sistema” non isolata dai valori coinvolti dalle norme di volta in volta scrutinate;
  4. Il diritto all'integralità del risarcimento del danno alla persona non costituisce un valore assoluto e intangibile, bensì controbilanciabile, con ragionevolezza, da altri valori;
  5. Il sistema vigente della R.c. auto, in quanto obbligatoriamente assicurato, persegue anche fini solidaristici e postula che l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato si misuri con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi;
  6. Il meccanismo legale standardizzato di quantificazione del danno lascia, comunque, al giudice uno spazio di personalizzazione del risarcimento (in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato) il cui limite, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti, risulta ragionevole e non censurabile.

Alcuni passaggi motivazionali meritano, peraltro, nella loro testuale eloquenza, di esser pedissequamente riproposti:

«Manifestamente non fondata è […] la censura di violazione dell'art. 3 Cost. […] perché la prospettazione di una disparità di trattamento − che, in presenza di identiche (lievi) lesioni, potrebbe conseguire, in danno delle vittime di incidenti stradali, dalla applicazione della normativa impugnata, in quanto limitativa di una presunta maggiore tutela risarcitoria riconoscibile a soggetti che quelle lesioni abbiano riportato per altra causa − è smentita dalla constatazione che, nel sistema, la tutela risarcitoria dei danneggiati da sinistro stradale è, viceversa, più incisiva e sicura, rispetto a quella dei danneggiati in conseguenza di eventi diversi.

Infatti solo i primi, e non anche gli altri, possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria, del danneggiante – o, in alternativa, direttamente di quella del proprio assicuratore – che si risolve in garanzia dell'an stesso del risarcimento».

E ancora:

«La norma denunciata non è […] chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3».

E per quel che poi più specificamente attiene alla ricognizione delle logiche di sistema che governano il settore della R.c. auto, si leggano i seguenti, fondamentali, passaggi:

«in relazione all'ulteriore profilo del «limite» all'integrale risarcimento del danno, […] questa Corte (nella occasione, in particolare, della denunciata previsione di limiti alla responsabilità del vettore aereo in tema di trasporto di persone) ha già chiarito come non si configuri ipotesi di illegittimità costituzionale per lesione del diritto inviolabile alla integrità della persona ove la disciplina in contestazione sia volta a comporre le esigenze del danneggiato con altro valore di rilievo costituzionale, come, in quel caso, il valore dell'iniziativa economica privata connesso all'attività del vettore (C. Cost. n. 132/1985). A sua volta, la Corte di cassazione, con la già ricordata sentenza Cass. n. 26972/2008, ha puntualizzato come il bilanciamento tra i diritti inviolabili della persona ed il dovere di solidarietà (di cui, rispettivamente, al primo e secondo comma dell'art. 2 Cost.) comporti che non sia risarcibile il danno per lesione di quei diritti che non superi il «livello di tollerabilità» che «ogni persona inserita nel complesso contesto sociale [...] deve accettare in virtù del dovere di tolleranza che la convivenza impone […] A differenza della Corte EDU, questa Corte [...] opera una valutazione sistemica e non isolata dei valori coinvolti dalle norme di volta in volta scrutinate» (C. Cost. n. 264/2012).

[…] Orbene, in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza».

Fine del dibattito e nuovi – ma diversi – terreni di confronto

La Consulta accoglie, dunque, senza incertezze ciò che, in verità, era già ben desumibile, con assoluta evidenza, dalla semplice analisi degli attuali assetti legislativi: il moderno vivere civile postula (quasi impone) l'entrata in gioco della leva assicurativa, quale strumento di garanzia (anche pubblicistica) a tutela di situazioni di rischio diffuse, e ciò non dimeno socialmente utili e in quanto tali accettate. Così, il sempre più frequente ricorso ad assicurazioni obbligatorie (si pensi alla sanità) configura sistemi in cui le distanze tra finalità risarcitorie e previdenziali si attutiscono, pur senza confondersi, dando vita a regole proprie che devono anzitutto mirare alla soddisfazione di interessi generali. E che, in quanto tali, possono ammettere un affievolimento (non certo un'elisione) delle tutele individuali. Tanto più al cospetto della conclamata inefficienza dello Stato sociale, incapace di assumere su di sé buona parte dei nuovi danni, e della sempre maggiore tendenza a supplirne le carenze mediante il trasferimento al comparto privato. E si consideri, infine, come la vocazione sociale dell'assicurazione della R.c. auto si riveli anche dal fatto che il relativo premio comprenda un contributo, più che mai solidale, a sostegno del S.S.N.

Peraltro, come altrove preconizzato (D. Spera, cit.) – e già dimostrato (M. Bona, cit.)-, è lecito attendersi le vivaci reazioni dei sostenitori delle concezioni più garantiste dei diritti individuali della persona. E se ne possono talora comprendere, da un punto di vista politico prima che giuridico (ma anche fattuale), le ragioni: il sistema virtuoso delle responsabilità obbligatoriamente assicurate, così come virtualmente rappresentato dal legislatore, sovente non incontra, nei soggetti chiamati a gestirlo (le imprese assicurative), una chiara consapevolezza dell'importanza del ruolo che sono tenute a svolgere, e della necessaria trasparenza e correttezza del loro operato. Ciò non attiene a questioni di diritto, ma semmai di (mal) costume, altrove e diversamente censurabile. E non si deve, peraltro, dimenticare come l'impianto ordinamentale della R.c. auto, complessivamente considerato, attribuisca agli aventi diritto numerosi strumenti per “educare” le imprese al rispetto delle – davvero cogenti e soventi costrittive – regole stabilite per la gestione (sia) del rapporto contrattuale (che) della fase liquidativa: strumenti (ad esempio, l'accesso agli atti e i reclami, questi ultimi diretti a far emergere eventuali infrazioni ed alla conseguente irrogazione di sanzioni amministrative) poco utilizzati, in concreto, da molti degli operatori che si dolgono della pretesa iniquità di fondo che inquinerebbe il sistema.

Rimane il fatto che, a parere di chi scrive, l'impostazione di diritto, e l'imbastitura dell'ordinamento speciale della R.c. auto, almeno per quanto attiene all'art. 139 Cod. Ass., non possono e non devono più essere messe in discussione con pretestuose discussioni e nuovi avvitamenti teorici: la posizione della Consulta, se ancora “alberghiamo” (i costi a carico dei consociati giustificano l'espressione…..) in uno stato di diritto, non lascia spazi, nella sua perentoria formulazione, ad interpretazioni di fantasia. Tanto meno se appoggiate al diritto comunitario, in relazione al quale la Corte di Giustizia era già pervenuta, come sottolineato nella sentenza in commento, a conclusioni ferme (sentenza 23 gennaio 2014, nella causa C-371/12).

Ciò non significa che il settore della responsabilità civile automobilistica abbia davvero trovato una sua definitiva composizione. Al di fuori dell'art. 139 Cod. Ass., altre problematiche si affacciano, da tempo, e paiono ancora lontane dall'essere risolte. Di più, con riferimento alle lesioni di non lieve entità, quelle di cui all'art. 138 Cod. Ass., la posizione espressa dalla Consulta solleva – qui sì, sia pur indirettamente – importanti dubbi ermeneutici. Ed infatti la logica di “sistema”, e il principio dell'equo e solidale contemperamento di interessi, viene oggi affermato dalla Corte con specifico riferimento all'articolo 139 Cod. Ass.e alla tipologia delle lesioni di lieve entità (sino al limite del 9%). Ma non sembra farlo soltanto perché quella è la norma sottoposta al suo vaglio. Al contrario, la motivazione della Consulta segna un confine strutturale, ed una netta cesura “ideologica”, tra i diversi campi di inferenza dell'art. 139 Cod. Ass., dedicato alle lesioni lievi, e dell'art. 138 Cod. Ass., che si occupa invece dei casi più gravi: secondo la testuale indicazione della Corte «l'introdotto meccanismo standard di quantificazione del danno» attinente al solo specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità e quindi alle «conseguenze pregiudizievoli registrate dalla scienza medica in relazione ai primi (nove) gradi della tabella».

Vien dunque da chiedersi se a partire dal decimo grado, ed a salire, quelle esigenze sistematiche di certezza, e di solidale tolleranza, vengano meno. E se quindi l'articolo 138 Cod. Ass. (la cui diversa formulazione letterale rispetto all'art. 139 Cod. Ass., quanto ai criteri di personalizzazione, giustifica il dubbio) consenta al giudice di sottrarsi a qualsiasi limite o, comunque, di liquidare eventuali poste di danno morale in aggiunta, e non entro, i limiti di personalizzazione stabiliti dalla norma.

Sul punto l'attuazione dell'art. 138 Cod. Ass., la cui tardività pare davvero inaccettabile, dovrà fare chiarezza. Diviene comunque difficile comprendere come, esemplificando il tema, la liquidazione di danni del 9% o del 10%, pur sostanzialmente omogenei, possano rispondere a logiche tra loro differenziate.
E ancora vi è da chiedersi perché la Corte costituzionale, nel trattare proprio di danno morale ne abbia fornito una rappresentazione in qualche modo antica, riconducibile alla primigenia impostazione del Codice Civile del 1942 e definita come «la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato».

Rimane aperto, dipoi, il delicato tema afferente ai danni non disciplinati dal Codice delle assicurazioni (non patrimoniali da lutto o da morte) e, in taluni casi, affidati all'anarchia liquidativa delle Corti (danno catastrofale o biologico terminale). Per tali sinistri, l'assenza di parametri e limiti di legge - e la stessa difficoltà di comprendere da un punto di vista ontologico la dimensione di fattispecie (quali il danno da lucida agonia) restituisce al giudice un così libero esercizio del proprio equo potere discrezionale da rischiare di annichilire qualsiasi possibilità di previsione assicurativa dei costi, e così di condurre ad un innalzamento finale dei costi delle garanzie R.c. auto.

Spostando ancora l'obiettivo, deve, infine, deve darsi atto del fatto che la Consulta, sia pur incidentalmente e in modo niente affatto cristallino, interviene anche sul contenuto dell'articolo 32 commi 3-ter e 3-quater del d.l. n. 1/2012 (convertito in legge n. 27/2012), non risolvendone il tema della tenuta costituzionale ma fornendone un'interpretazione tale da escludere che si tratti di una norma dai contenuti meramente esortativi, come da taluno in passato sostenuto. Al contrario, secondo la Corte «tali nuove disposizioni – che, in quanto non attinenti alla consistenza del diritto al risarcimento delle lesioni in questione, bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto, si applicano, conseguentemente, ai giudizi in corso (ancorché relativi a sinistri verificatisi in data antecedente alla loro entrata in vigore) – comporterebbero:

  • la necessità di un “accertamento clinico strumentale” (di un referto di diagnostica, cioè, per immagini) per la risarcibilità del danno biologico permanente;
  • la possibilità anche di un mero riscontro visivo, da parte del medico legale, per la risarcibilità del danno da invalidità temporanea».
E la sanità?

Difficile comprendere se i ragionamenti svolti per la R.c. auto possano replicarsi, tout court, per la nuova assicurazione obbligatoria della responsabilità sanitaria, la quale, introdotta dall'art. 3 del d.l. n. 158/2012, c.d. Decreto Balduzzi (conv. in Legge n. 189/2012), sembra ricalcare medesime finalità ed intenzioni e riproporre analoghi modelli ordinamentali. La nuova norma ha, invero, certamente inteso perseguire obiettivi ambiziosi e mirati a porre le basi per superare almeno alcuni tra i vari fattori di crisi che - da più di qualche tempo – hanno progressivamente ed endemicamente eroso i già claudicanti assetti del comparto sanitario. Un settore che, anziché vacillare, dovrebbe costituire uno dei più solidi sostegni di qualsiasi società civile e che invece vive, oggi, lo strabiliante paradosso del proprio stesso progresso, sino a flettersi davanti a sempre più asettiche aspettative collettive ed individuali di benessere, longevità e guarigione certa.

Tuttavia il regime della nuova assicurazione - ora posta anche a carico delle strutture (d.l. 24 giugno 2014, n. 90 c.d. Decreto Madia, conv. con L. 11 agosto 2014, n. 114 – su Ri.Da.Re. M. Hazan- D. Zorzit, I nuovi obblighi assicurativi in sanità del Decreto legge n. 90/2014) - non risulta ancora attuato né, quindi definito; in ogni caso, non sembra prevedere né l'azione diretta, né la regola dell'inopponibilità al danneggiato delle eccezioni contrattuali e nemmeno l'obbligo, a carico delle imprese, di rispettare procedure liquidative dettate a tutela degli aventi diritto. In altri termini, quel principio di corrispettività che certamente pervade la R.c. auto non sembra – almeno oggi – infiltrare il sistema assicurativo della sanità.

Si potrebbe, dunque, opinare che i limiti di personalizzazione di cui agli artt. 138 e 139 Cod. Ass. non siano de plano importabili nel comparto della sanità; e ciò anche considerando:

- la non del tutto chiara portata letterale del rinvio alle tabelle degli artt. 138 e 139 Cod. Ass., contenuto nell'art. 3, comma 3, del d.l. n. 158/2012 Decreto Balduzzi;

- l'ambito applicativo, ancor meno chiaro, del potere di adeguamento del risarcimento concesso al giudice in funzione dell'ultimo capoverso dell'art. 3,comma 1, d.l. n. 158/2012.

Più generalmente le problematiche relative alla condivisione solidale dei rischi ed alla stessa possibilità di evidenziare poste di danno (sia esso morale od esistenziale) che si affianchino al biologico, risultano, nei rapporti medico – struttura – paziente certamente più complesse rispetto a quelle proprie della circolazione stradale. Ma trattasi di tema che richiederà, prossimamente, un separato approfondimento.

In conclusione

Il costante riferimento ai valori espressi dalla Costituzione non può essere in alcun modo rinunziato, ma merita di essere condotto tenendo conto dell'elasticità dei supremi riferimenti della Carta: «La fertilità della Costituzione risiede nell'essere rigida e aperta nello stesso tempo» (E. Fassone, Una Costituzione Amica, Garzanti, 2012) e tale da potersi plasmare e riempirsi di nuovi contenuti, man mano che evolve la sensibilità collettiva. È proprio in forza di tale flessibilità che l'ombrello protettivo dei diritti della persona ha potuto, nel corso degli anni, allargarsi, consentendo il ristoro di poste di danno non patrimoniali che, in altra epoca, erano ritenute ontologicamente irrisarcibili, non potendo che essere soddisfatte - eticamente e, forse, stoicamente - da valori diversi dalla pecunia.

Ma riconoscere naturale flessibilità alla Costituzione non significa postularne una capacità soltanto espansiva: il termometro della coscienza sociale, nel tempo di riferimento, può far ritenere tutelabile ciò che ieri non lo era e viceversa.

In tal ragionamento non vi è germe di provocazione, ovviamente, e nessun dubbio sulla evidente e prioritaria tutela del diritto inviolabile della salute.

Si tratta, però, di comprendere quale sia, secondo la coscienza sociale dei nostri tempi il “nucleo” irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana. Quale sia il diritto fondamentale dell'individuo alla salute, almeno nel suo contenuto minimo “essenziale”, e quali invece siano le lesioni dell'integrità psicofisica tanto lievi da non costituire pregiudizio serio e danno giuridicamente tutelabile.

Se si privilegiasse un concetto di “salute” assoluto e incomprimibile, anche nelle sue più sottili e futili declinazioni, nessuna limitazione risarcitoria potrebbe essere mai ammessa. Neppure in relazione al graffio superficiale dell'epidermide od a consimili fattispecie, che pure le celebri sentenze gemelle del 11 novembre 2008 hanno relegato al livello di danni bagatellari, immeritevoli di tutela.

A nostro parere, invece, il filtro della “serietà” del danno (prima ancora che della gravità dell'offesa), costituisce principio che incide trasversalmente l'intero nostro ordinamento, autentica soglia di demarcazione di quanto possa ritenersi giuridicamente qualificato (rispetto ad ambiti di indifferente irrilevanza).

In quest'ottica, forse, non ogni segno, graffio od altra minimissima alterazione psicofisica deve considerarsi alla stregua di un vero e proprio danno alla persona risarcibile.

Se è vero, poi, che entrambi i requisiti della serietà e della gravità «devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico» (Cass., S.U., n. 26972/2008, alinea 3) vi è da chiedersi perché non possa essere lo stesso legislatore, in luogo del magistrato, a stabilire la soglia di risarcibilità di taluni danni che, in un'ottica globale ed equa di sistema, ben potrebbero rimanere dove cadono.

Il tutto, poi, si armonizzerebbe perfettamente con il tessuto dell'art. 2059 c.c., nella sua funzione, dopo tutto, limitatrice del risarcimento dei danni non patrimoniali.

È con queste consapevolezze che, riteniamo, l'approdo della Consulta sia un porto sicuro, da cui non si dovrebbe tornare indietro ma, semmai, procedere verso un complessivo riassetto del sistema del danno non patrimoniale nella R.c. auto e delle regole – etiche e giuridiche - che ne devono presidiare il virtuoso ed effettivo funzionamento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario