Giudicato penale e risarcimento del danno

Vito Di Nicola
16 Aprile 2014

Il giudicato penale si forma quando le decisioni del giudice diventano irrevocabili. Con l'irrevocabilità, le decisioni penali acquistano infatti efficacia esecutiva producendo effetti preclusivi sia endoprocessuali che extraprocessuali. Il più importante degli effetti preclusivi è costituito dal divieto di un secondo giudizio (ne bis in idem), quale effetto tipico del giudicato, il quale vale perciò ad identificare il provvedimento che abbia assunto i caratteri della irrevocabilità e dell'esecutività.L'art. 648 c.p.p. regola la irrevocabilità delle sentenze emesse in giudizio e dei decreti penali di condanna, disciplinando tre casi.Sancisce (primo caso) che sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non é ammessa impugnazione diversa dalla revisione (art. 648, comma 1, c.p.p.). Se l'impugnazione è ammessa, stabilisce (secondo caso) che la sentenza è irrevocabile (a) quando è inutilmente decorso il termine per proporre il gravame, (b) o quello per impugnare l'ordinanza che lo dichiara inammissibile o, nel caso in cui sia stato proposto il ricorso per cassazione, (c) dal giorno in cui è pronunciata l'ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso (art. 648, comma 2, c.p.p.). Infine prevede (terzo caso) che il decreto penale di condanna è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre l'opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile (art. 648, comma 3, c.p.p.). Tuttavia esistono provvedimenti che acquistano efficacia esecutiva indipendentemente dall'irrevocabilità della pronuncia, tra questi le condanne esecutive, non definitive, in materia di restituzione e di risarcimento del danno ( artt. 540, comma 1, e 605 c.p.p. ). Siccome è l'irrevocabilità che rende “giudicato” la decisione, il dictum può essere inciso unicamente per via di eccezioni (revisione, art. 629 c.p.p. , abolitio criminis, art. 673 c.p.p., applicazione del concorso formale o della continuazione, art. 671 c.p.p. ).
Nozione

Il giudicato penale si forma quando le decisioni del giudice diventano irrevocabili.

Con l'irrevocabilità, le decisioni penali acquistano infatti efficacia esecutiva producendo effetti preclusivi sia endoprocessuali che extraprocessuali.

Il più importante degli effetti preclusivi è costituito dal divieto di un secondo giudizio (ne bis in idem), quale effetto tipico del giudicato, il quale vale perciò ad identificare il provvedimento che abbia assunto i caratteri della irrevocabilità e dell'esecutività.

L'art. 648 c.p.p. regola la irrevocabilità delle sentenze emesse in giudizio e dei decreti penali di condanna, disciplinando tre casi.

  • Sancisce (primo caso) che sono irrevocabili le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non é ammessa impugnazione diversa dalla revisione (art. 648, comma 1, c.p.p.).
  • Se l'impugnazione è ammessa, stabilisce (secondo caso) che la sentenza è irrevocabile (a) quando è inutilmente decorso il termine per proporre il gravame, (b) o quello per impugnare l'ordinanza che lo dichiara inammissibile o, nel caso in cui sia stato proposto il ricorso per cassazione, (c) dal giorno in cui è pronunciata l'ordinanza o la sentenza che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso (art. 648, comma 2, c.p.p.).
  • Infine prevede (terzo caso) che il decreto penale di condanna è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre l'opposizione o quello per impugnare l'ordinanza che la dichiara inammissibile (art. 648, comma 3, c.p.p.).

Tuttavia esistono provvedimenti che acquistano efficacia esecutiva indipendentemente dall'irrevocabilità della pronuncia, tra questi le condanne esecutive, non definitive, in materia di restituzione e di risarcimento del danno ( artt. 540, comma 1, e 605 c.p.p. ).

Siccome è l'irrevocabilità che rende “giudicato” la decisione, il dictum può essere inciso unicamente per via di eccezioni (revisione, art. 629 c.p.p. , abolitio criminis, art. 673 c.p.p., applicazione del concorso formale o della continuazione, art. 671 c.p.p. ).

Il giudicato si forma solo sui capi e punti della sentenza e dunque esclusivamente sui profili decisori come espressi nel dispositivo e non si forma sulla motivazione ossia sugli elementi logico-argomentativi riferiti a circostanze di fatto o a valutazioni di diritto (Cass. pen, sez. IV, 24 maggio 1993 n. 8825 e Cass. pen. sez. IV, 15 dicembre 1999, n. 1147).

L'irrevocabilità di una sentenza penale non dipende dal suo contenuto, ma discende solo dal fatto che essa sia stata pronunziata in giudizio e non sia impugnabile (Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2007,n. 22883).

Nella previsione dell'art. 648 c.p.p. sono comprese le sentenze emesse a seguito di dibattimento (art. 529 c.p.p. e ss. e art.533 c.p.c. e ss.) di giudizio con rito abbreviato (art. 442 c.p.p.) e di applicazione di pena su richiesta delle parti (artt. 446 e 447 c.p.p.).

Sulla base del principio della immediata precettività delle norme della CEDU firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, è stata affermata l'ineseguibilità del giudicato quando la CEDU abbia accertato che la condanna sia stata pronunciata in violazione delle regole sul processo equo sancite dall'art. 6 CEDU e abbia riconosciuto il diritto del condannato alla rinnovazione del giudizio, anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell'ordinamento il mezzo idoneo a instaurare il nuovo processo (Cass. pen., sez. I, 01 dicembre 2006, n. 2800).

Gli articoli 651, 652, 653 e 654 c.p.p. disciplinano la materia dedicata alla efficacia del giudicato penale nei giudizi extrapenali.

Le prime due disposizioni, delle quali ci occuperemo, regolano rispettivamente l'efficacia della sentenza penale di condanna o di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno.

A differenza del codice abrogato, ispirato al principio del primato della giurisdizione penale e della sua pregiudizialità sugli altri processi, i rapporti tra il processo penale e gli altri giudizi è ispirato al principio della parità tra i riti, cui consegue l'autonomia e la separazione dei giudizi.

Gli art. 651 e 652 c.p.p. disciplinano gli effetti del giudicato penale nel giudizio civile amministrativo in un contesto normativo che, diversamente da quanto prevedeva il codice precedente, esclude la validità erga omnes dell'accertamento dei fatti effettuato in sede penale e riduce fortemente l'area di efficacia del giudicato penale nei giudizi civili e amministrativi, introducendo sostanzialmente il principio della separatezza tra i giudizi (C. conti sez. riunite 5 febbraio 1990 n. 648).

Si tratta di una linea guida che trova tuttavia un limite nella possibilità di riconoscere un valore preclusivo al giudicato penale in circoscritte, particolari, ipotesi che riguardano le sentenze di condanna o di assoluzione nel giudizio di danno ( artt. 651 e 652 c.p.p.) azionato nei processi civili o amministrativi.

Le disposizioni soggiacciono tuttavia ad un doppio limite: costituzionale, dovendo trovare obbligatorio riconoscimento il diritto di difesa e della connessa esigenza di un effettivo e reale contraddittorio (Corte cost., 17 giugno 1975, n. 165) e di interpretazione restrittiva, ponendosi come eccezione al principio di autonomia dei diversi tipi di giurisdizione.

L'ambito di operatività delle disposizioni ex art. 651 e 652 c.p.p. è condizionato dall'esistenza di due imprescindibili presupposti ossia che l'azione risarcitoria:

  1. abbia ad oggetto il medesimo fatto, preveduto dalla legge come reato, per il quale è stata esercitata l'azione penale e pronunciata la relativa condanna (requisito di carattere oggettivo);
  2. che verta tra gli stessi soggetti (requisito di carattere soggettivo).

L'efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno

L'efficacia del giudicato è limitata all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale, all'affermazione che fu l'imputato a commetterlo.

L'accertamento di un fatto penalmente rilevante, in quanto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, legittima la pronuncia della sentenza di condanna generica al risarcimento dei danni, senza che il danneggiato provi l'effettiva sussistenza dei danni stessi ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito (Cass. pen.,sez. VI, del 26 febbraio 2009n. 14377), essendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose in quanto la suddetta pronuncia costituisce una mera “declaratoria juris” da cui esula ogni accertamento relativo alla esistenza del danno ed alla sua stessa misura, rimessa al giudice della liquidazione (Cass. pen., sez. VI, del 11 marzo 2005 n. 12199).

Ed infatti la condanna generica al risarcimento del danno, anche se contenuta in una sentenza penale e pur consistendo in una mera “declaratoria juris”, richiede il semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose o pregiudizievoli, a prescindere dall'esistenza e dalla misura del danno. Pertanto, ogni affermazione della sentenza penale che non sia funzionale alla condanna generica è insuscettibile di acquistare autorità di giudicato e non impedisce che nel giudizio di liquidazione sia riconosciuta l'infondatezza della pretesa risarcitoria, ove si accerti che in realtà nessun danno, anche per profili diversi da quelli contemplati nel giudicato penale e da questo non esclusi, si sia verificato o che quello esistente non sia eziologicamente ricollegabile al fatto illecito accertato in sede penale (Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 2005, n. 27723).

Ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale, il giudice civile, allorquando non sia vincolato dal giudicato penale di condanna ai sensi dell'art. 651 c.p.p. è tenuto ad accertare “incidenter tantum” l'effettiva sussistenza del reato, in tutti i suoi elementi costitutivi, incluso l'elemento soggettivo, pur non ostando al risarcimento il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno se essa, come nel caso di cui all'art. 2054 c.c., debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato; ne consegue che non è sufficiente alla parte attrice, che si affermi danneggiata dall'altrui fatto illecito costituente reato, la mera allegazione del fatto, ma è necessario che la parte stessa ne fornisca la prova, documentale nel caso di cui all'art. 651 c.p.p. o soltanto orale, nei casi in cui il reato si sia estinto per una delle cause previste dalla legge, o non si sia proceduto per difetto di querela o di imputabilità, prova che dovrà essere valutata dal giudice civile al fine dell'accertamento soltanto incidentale della sussistenza del reato in tutti i suoi elementi costitutivi (Cass. civ, sez. III, 30 giugno 2005, n. 13972).

L'efficacia di giudicato è attribuita alla sentenza penale irrevocabile di condanna, pronunciata in seguito a dibattimento. Nella previsione rientrano sia le sentenze emesse secondo l'iter tipo (procedimento ordinario), sia quelle emesse in seguito a definizione del giudizio direttissimo e del giudizio immediato, che la celebrazione del dibattimento necessariamente richiedono.

La ragione della limitazione del riconoscimento dell'efficacia di giudicato alle sole sentenze dibattimentali risiede nell'esigenza, costituzionalmente imposta (cd. limite di costituzionalità), di escludere le decisioni assunte in procedimenti nei quali non sia stato pienamente garantito alle parti il diritto di difesa ed il contradditorio.

Pertanto, come si vedrà, non partecipano alla disciplina dell'art. 651 c.p.p. gli epiloghi decisori conseguenti all'emanazione del decreto penale di condanna ed alla sentenza di patteggiamento.

Nondimeno il secondo comma dell'art. 651 c.p.p. stabilisce che anche la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata ai sensi dell'art. 442 c.p.p., ha efficacia di giudicato, facendo tuttavia salva, in tal caso, l'opposizione della parte civile che non abbia voluto accettare il rito abbreviato.

Infatti, sotto tale ultimo profilo, l'art. 441,comma 4, c.p.p. faculta la parte civile a non accettare il rito abbreviato che, per la sua esperibilità, non è più condizionato dal parere vincolante del pubblico ministero, sicché radica un diritto potestativo per l'imputato di accedervi.

Il tal modo, la mancata accettazione del giudizio abbreviato della parte civile produce l'effetto di paralizzare, con epilogo omologo a quanto espressamente previsto anche per il patteggiamento (art. 444, comma2, c.p.p.), la disposizione di cui all'art. 75, comma 3, c.p.p. che, in caso azione proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la pronuncia della sentenza penale di primo grado, dispone che, di regola, il processo civile sia sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta ad impugnazione.

Va infatti ricordato che, a differenza che nella procedura abrogata, l'azione civile risarcitoria, fondata su fatto illecito sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 2043 c.c., che, allo stesso tempo, costituisca fattispecie penalmente rilevante, può essere esperita dal danneggiato sia mediante costituzione di parte civile nel processo penale, sia con la proposizione di una azione civile, da esperire innanzi al giudice civile competente prima dell'inizio dell'azione penale o, se l'azione penale sia stata promossa, quando la costituzione di parte civile non gli è più consentita, ma anteriormente alla pronunzia di una sentenza penale di primo grado.

Cosicché i processi rimangono separati e l'azione civile prosegue, ai sensi dell' art. 75 c.p.p., nonostante la possibilità di giudicati contraddittori e la duplicazione di attività giudiziarie. Al contrario, il giudizio civile rimane sospeso sino alla pronuncia della sentenza irrevocabile in sede penale, ai sensi dell'art. 75, comma 3, c.p.p. allorquando l'azione civile venga proposta dopo la costituzione di parte civile, che si intende conseguentemente revocata, o dopo la pronuncia della sentenza penale di primo grado.

La disposizione dell'art. 75 c.p.p. ha quindi abolito la regola dell'obbligatoria sospensione del processo civile di danno sino all'esito di quello penale, già prevista dall'art. 3 c.p.p. del 1930, per cui è consentita la loro parallela prosecuzione.

Tuttavia va ricordato che, in materia di rapporto tra giudizi civili e processo penale, fuori dal caso in cui i giudizi di danno possono proseguire davanti al giudice civile ai sensi dell'art. 75, comma 2, c.p.p., la sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale, ai sensi dell'art. 295 c.p.c. o nei casi in cui la sospensione sia prevista da altra specifica norma, è subordinata - se alla commissione del reato oggetto dell'imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile - alla duplice condizione che la sentenza penale esplichi efficacia di giudicato nell'altro giudizio, ai sensi degli artt. 651, 652 e 654 c.p.p. e della contemporanea pendenza dei due processi, civile e penale, e, quindi, dell'avvenuto esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero nei modi previsti dall'art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell'imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio (Cass. civ.sez. VI, 28 giugno 2012, n. 10974; Cass. civ. sez. 2, 12 luglio 2007, n. 15657; Cass. civ. sez. III, 22 marzo 2005, n. 6149).

L'espresso riferimento nell'art. 651 c.p.p. alla sola sentenza di condanna esclude l'efficacia extrapenale del giudicato in relazione alle condanne che conseguono all'emanazione del decreto penale, esclusione testualmente enunciata dal quinto comma dell'art. 460 c.p.p. , ed alle sentenze di applicazione della pena, anche se emesse nella fase del giudizio (art. 445, comma 1 bis, c.p.p.).

Nondimeno la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. - pur non implicando un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile - contiene pur sempre una ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare (Cass. civ. sez. VI, 06 dicembre 2011, n. 26263).

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha dato continuità all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite civili secondo cui la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre un'ammissione di colpevolezza, esonera la controparte dall'onere della prova (Cass. civ. S.U., 31 luglio 2006, n. 17289).

Chi abbia interesse a far valere in giudizio le disposizioni penali di una sentenza straniera, per conseguire le restituzioni o il risarcimento del danno o altri effetti civili, può domandare il riconoscimento della sentenza alla competente Corte d'appello (art. 732 c.p.p., come modificato ex art. 53 d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313).

Sentenza penale di condanna: l'ambito soggettivo

L'art. 10 d.P.R. 22.09.1988 n. 448 stabilisce che le sentenze emesse dal giudice minorile, italiano o straniero (comma 3), non hanno efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno (comma 2) sicché, fatta eccezione per gli imputati minorenni, sono soggetti all'efficacia del giudicato penale il condannato ed il responsabile civile. Mentre per il condannato, in ordine al quale sia stato regolarmente integrato il contraddittorio, non rileva la mancata costituzione di parte civile del danneggiato, il responsabile civile, che non sia stato invece citato o non sia intervenuto nel processo penale, non può invece subire alcun pregiudizio giuridico dalla sentenza penale di condanna del soggetto del cui illecito egli debba rispondere in sede civile, sicché, nei suoi confronti (diversamente da quanto stabilito dal previgente art. 27 c.p.p. del 1930 come risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 99 del 1973), gli accertamenti di fatto compiuti dal giudice penale possono essere autonomamente valutati in sede civile (Cass. civ., sez. 3, 28 settembre 2004, n. 19387).

Sentenza penale di condanna: l'ambito oggettivo

Al giudicato penale di condanna è riconosciuta efficacia limitata all'accertamento della sussistenza del fatto (comprensivo della condotta, dell'evento e del nesso di causalità), della sua illiceità penale (assenza di cause di giustificazione) ed all'attribuibilità del fatto all'imputato.

In altri termini, l'efficacia vincolante del giudicato penale di condanna nel giudizio di responsabilità civile o amministrativa deve ai sensi dell'art. 651 c.p.p. limitarsi all'accertamento dei fatti che hanno formato oggetto del relativo giudizio, intesi nella loro realtà fenomenica ed oggettiva (comprensivi, quindi, della condotta, dell'evento e del nesso di causalità materiale), ed assunti a presupposto logico-giuridico della pronuncia penale, restando, quindi, preclusa al giudice civile o amministrativo ogni statuizione che venga a collidere con i presupposti, le risultanze e le affermazioni conclusionali di quel pronunciamento (C. conti sez. I, 22 luglio 1993, n. 117).

La rilevanza del giudicato penale di condanna investe soltanto i giudizi di restituzione e risarcimento del danno perché il sistema trova la norma di chiusura nell'art. 654 c.p.p. dedicato ai giudizi civili ed amministrativi aventi un oggetto diverso.

L'art. 651 c.p.p. si applica anche alle fattispecie di danno indiretto, a nulla rilevando in contrario che, in esse, i fatti che abbiano formato oggetto del giudizio penale assumano un rilievo solo mediato non essendovi coincidenza fra fatto illecito amministrativo e fatto reato; ciò in quanto la responsabilità amministrativa ha natura unitaria, senza che sia possibile distinguere a seconda che i danni siano stati cagionati direttamente o indirettamente (cioè in seguito a risarcimento da parte della p.a. a terzi danneggiati), essendo sufficiente che l'erario abbia subito comunque una menomazione patrimoniale per omesso o irregolare adempimento degli obblighi di servizio da parte del suo dipendente (C. conti sez. I, 29 gennaio 1995, n. 9).

L'efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno

Il giudicato di assoluzione è idoneo a produrre effetti preclusivi nel giudizio civile, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima (art. 652, comma 1, c.p.p.)

In tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile - come disciplinato dal vigente codice di procedura penale del 1988 (ai sensi degli artt. 652 e 654 c.p.p.), a differenza di quello previgente (art. 25 c.p.p. del 1930)- l'azione civile per danni è preclusa dal giudicato penale che contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato. Tuttavia, l'autorità del giudicato (anche penale) copre sia il dedotto che il deducibile, ovvero non soltanto le questioni di fatto e di diritto investite esplicitamente dalla decisione (c.d. "giudicato esplicito"), ma anche le questioni che - sebbene non investite esplicitamente dalla decisione - costituiscano comunque presupposto logico essenziale ed indefettibile della decisione stessa (c.d "giudicato implicito"), restando salva ed impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove, che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o, quantomeno, che non fossero deducibili nel giudizio, in cui il giudicato si è formato. Pertanto, alla stregua dei suddetti principi, il giudicato penale di assoluzione - con la formula "perché il fatto non sussiste" - preclude la proposizione, nel giudizio di civile di risarcimento del danno derivante dal medesimo fatto-reato, di una ricostruzione della vicenda che postuli, sotto altra prospettazione, l'esistenza di elementi di fatto, che risultino esclusi - sia pure implicitamente - dal giudicato penale (Cass. civ., 20 aprile 2006, n. 9235).

E' pertanto richiesto che il giudicato penale, per produrre un effetto preclusivo nel giudizio civile, contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della sua commissione da parte dell'imputato, situazione non ricorrente nel caso in cui l'assoluzione sia determinata dal diverso accertamento della mancanza di sufficienti elementi di prova in ordine all'uno o all'altro (Cass. civ. sez. II, 30 agosto 2004, n. 17401) sicché sono esclusi dall'ambito di operatività della fattispecie tutte quelle ipotesi descritte nell'art. 530 cpv. c.p.p. in cui manchi, sia insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo abbia commesso.

Ne deriva che, per accertare se la decisione penale abbia l'idoneità ad innescare gli effetti preclusivi, è necessario prendere in considerazione sia il dispositivo e sia la motivazione della sentenza assolutoria, sul rilievo che soltanto in quest'ultima il giudice avrà indicato se sia stato accertato che il «fatto non sussiste» o che l'imputato non lo abbia commesso oppure se sia stata riconosciuta insufficiente o contraddittoria la prova della sua sussistenza della sua commissione, dovendo il dispositivo necessariamente contenere una formula corrispondente agli epiloghi assolutori indicati nell'art. 652 c.p.p.

Ed infatti, ai fini di stabilire l'incidenza del giudicato penale nel giudizio civile, il giudice civile deve tenere conto anche della motivazione della sentenza penale per individuare la effettiva ragione dell'assoluzione dell'imputato, eventualmente anche prescindendo dalla formula assolutoria utilizzata in dispositivo, ove tecnicamente non corretta (Cass. civ. 09 marzo 2004, n. 4775).

La sentenza penale di assoluzione, per avere il giudice escluso il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento, preclude l'azione civile per il risarcimento del danno, non essendo consentito al giudice civile ricostruire gli accadimenti in modo da postulare l'esistenza di detto elemento, ancorché sotto altra prospettiva (Cass. civ. sez. III, 2 marzo 2001, n. 3006) .

La formula assolutoria perché “il fatto non sussiste” implica la mancanza dell'elemento materiale o oggettivo del reato per difetto di uno degli elementi costitutivi di esso (azione, evento, nesso di causalità); la formula assolutoria di non commissione del fatto determina l'esclusione della oggettiva riconducibilità del fatto all'imputato.

Quanto alle cause di giustificazione («il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima»), l'inserimento nella disposizione ex art. 652 c.p.p., come emerso nel orso dei lavori preparatori, fonda sulla considerazione che, in presenza di una causa di giustificazione, «difetterebbe il requisito della ingiustizia del danno».

L'espressione utilizzata abbraccia sia le ipotesi previste nell'art. 51 c.p., sia tutte le fattispecie negative del fatto in quanto cause di esclusione dell'antigiuridicità (consenso dell'avente diritto, legittima difesa, uso legittimo delle armi), del tutto sussumibili nell'ambito della locuzione «esercizio di una facoltà legittima».

Quanto allo “stato di necessità” (art. 54 c.p.) se si ritiene che lo stesso non rientri tra le ipotesi di “non punibilità” indicate con la locuzione “esercizio di una facoltà legittima”, allora si deve conseguentemente ritenere che il giudice civile sia abilitato a decidere in merito, condannando l'imputato prosciolto in sede penale, all'indennità di cui all'art. 2045 c.c.

Secondo l'unica risalente massima della giurisprudenza di legittimità, è sempre imputabile all'autore il comportamento di colui che, costretto dalla necessita di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un grave danno alla persona, da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, cagiona un evento di danno ad un terzo, essendo detto comportamento comunque frutto di una libera determinazione di volontà di commettere una violazione di norme giuridiche o di condotta per evitare il danno alla persona sua o di altri. Ciò spiega come in materia civile, anche in caso di azione necessitata (a differenza di quanto si verifica in materia penale, nella quale viene meno l'antigiuridicità del fatto), sussiste una forma di responsabilità, sia pure attenuata quale l'obbligo del pagamento di un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice (Cass. civ. sez. III, 13 dicembre 1966, n. 2913)

Sono ovviamente privi di efficacia penale le sentenze irrevocabili di assoluzione «perché il fatto non costituisce reato» e «perché il soggetto non è imputabile».

Sotto il primo profilo, è stato ritenuto che l'accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perché il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate dall'esito del processo penale (Cass. civ., Sez. III 30 ottobre 2007, n. 22883).

Infatti, a fronte di una sentenza assolutoria irrevocabile pronunciata a seguito di dibattimento, il confine della cognizione del giudice civile è definito da effetti extrapenali del giudicato assolutorio secondo gli epiloghi descritti e le condizioni espressamente contenute nell'art. 652 c.p.p., con la conseguenza che fuori da questi casi, il giudizio civile, anche ove segua ad un annullamento disposto dalla Corte di cassazione in sede penale per accoglimento di un ricorso della parte civile contro una sentenza di proscioglimento, non subisce alcun tipo di condizionamento e pertanto deve estendersi all'intera pretesa risarcitoria, e dunque sia all'an che al quantum debeatur (Cass. pen. sez. III, 04 dicembre 2013).

Ad analoga conclusione si deve pervenire anche per la formula assolutoria «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato».

Tuttavia le sentenze emesse con formule “fatto non costituisce reato” e “fatto non previsto dalla legge come reato”, non escludono la possibilità per il giudice civile di tenere conto, nella ricostruzione del fatto, degli elementi di prova ritualmente acquisiti nel processo conclusosi con detta sentenza e di valutare il fatto come causa di danno civilmente risarcibile.

Sotto il secondo profilo, la formula assolutoria non influisce sul giudizio di danno perché imperniata su regole di giudizio attinenti alla capacità di intendere e di volere dell'autore del comportamento illecito del tutto diversi da quelli utilizzabili dal giudice civile.

Allo stesso modo che per la disposizione di cui all'art. 651 c.p.p., anche l'art. 652 c.p.p. riconosce l'efficacia di giudicato limitatamente alle sentenze penali pronunciate a seguito di dibattimento e si adegua al costante indirizzo della giurisprudenza costituzionale che ha escluso il principio della preclusione dell'azione civile nei confronti di soggetti rimasti estranei al giudizio penale, perché non legittimati a costituirsi parte civile o, comunque, di fatto, non posti in grado di parteciparvi.

L'

art. 652, comma 2, c.p.p.

estende l'efficacia del giudicato penale alle sentenze emesse a norma dell'art. 442 c.p.p , nei confronti della parte civile che abbia accettato il rito abbreviato.

Quanto alle disposizioni penali di una sentenza straniera, analogamente all'art. 651 c.p.p., il caso è regolato dall'art. 732 c.p.p., come modificato ex art. 53 d.P.R. 14 novembre 2002 n. 313, sicché, per conseguire le restituzioni o il risarcimento del danno o altri effetti civili, occorre richiedere il riconoscimento della sentenza alla Corte d'appello competente.

Sono escluse dall'ambito di operatività di cui all'art. 652 c.p.p., perché in esse non si riscontra la garanzia del diritto al contraddittorio, (a) le sentenze assolutorie emesse in base ad una prova assunta con incidente probatorio al quale il danneggiato non sia stato posto in grado di partecipare (art. 404 c.p.p.), (b) le sentenze di non luogo a procedere, emesse a chiusura dell'udienza preliminare, nelle ipotesi tassative previste dall' art. 425 c.p.p. , essendo insuscettibili di divenire cosa giudicata in quanto revocabili (art. 424 c.p.p.), (c) le sentenze pronunciate nella fase predibattimentale (art. 469 c.p.p.); (d) le sentenze di improcedibilità per mancanza di una condizione di procedibilità o per estinzione del reato, emesse a termine del dibattimento, perché prive, in tutto o in parte, di accertamento sul fatto.

Sentenza penale di assoluzione: l'ambito soggettivo

Sotto tale aspetto, la disposizione riguarda essenzialmente il danneggiato dal reato e ciò in considerazione della posizione soggettiva passiva conseguente alla sentenza ampiamente assolutoria per l'imputato.

Occorre ricordare come sia tuttavia necessario, per l'opponibilità della decisione penale nel processo civile o amministrativo, che sia stato assicurato alla persona danneggiata il suo diritto al contraddittorio nel processo penale.

Nella sfera personale del vincolo vanno ricompresi anche i soggetti (imputato e responsabile civile) avvantaggiati dall'efficacia del giudicato assolutorio che è opponibile sia al danneggiato che a chi agisce nell'interesse dello stesso.

Ricordando l'impossibilità per la persona danneggiata di subire, nel giudizio civile, un qualsiasi pregiudizio dall'esito del processo penale nel quale non ha preso parte, la Corte di cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, e 110 Cost., delle disposizioni (art. 491 c.p.p. e art.568 c.p.p.), che prevedono la non impugnabilità dell'ordinanza che rigetta la richiesta di costituzione di parte civile (Cass. pen. sez. II, 07 novembre 2001 n. 432489).

Il danneggiato dal reato deve essere posto in condizione di costituirsi parte civile nel processo penale, mediante notifica degli avvisi ex art. 419, comma 1, c.p.p., art. 429, comma 4, c.p.p., art. 456, comma 4, art. 552, comma 3, c.p.p., essendo insufficiente la mera comunicazione dell'informazione di garanzia (ex art. 369 c.p.p.).

Il responsabile civile potrà avvalersi della sentenza penale, anche se non ha partecipato al relativo processo.

Sentenza penale di assoluzione: l'ambito oggettivo

Quanto all'ambito di operatività oggettivo è sufficiente richiamare alcuni principi già enunciati: (a) l'efficacia di giudicato è limitata alla sentenza irrevocabile pronunciata in determinati casi e solo in seguito a dibattimento; (b) al medesimo regime partecipa anche la sentenza emessa in seguito al giudizio abbreviato, sempre che vi sia stata l'accettazione del rito ad opera della parte civile; (c) le formule assolutorie alle quali viene collegato il vincolo per il giudice civile o amministrativo sono riferite all'insussistenza ed alla mancata commissione del fatto o all'assenza di determinate cause di giustificazione; (d) non può essere attribuita rilevanza alle sentenze di improcedibilità, ivi comprese quelle emesse nella fase antecedente al dibattimento, anche per motivi di merito (art. 425 c.p.p., art.469 c.p.p.), sia a quelle di proscioglimento per mancanza di una condizione di procedibilità o di estinzione del reato emesse all'esito del dibattimento (artt. 529 c.p.p., art.531 c.p.p.)

Oneri probatori

L'efficacia del giudicato deve essere eccepita dalla parte interessata, a carico della quale è posto anche l'onere di provare che la parte avversa è stata posta in condizioni di partecipare al processo penale.

La questione dei limiti soggettivi del giudicato penale nel giudizio civile in cui si controverta sulla sussistenza degli stessi fatti, non è rilevabile d'ufficio dal giudice, ma deve essere introdotta in causa con eccezione della parte che l'invoca (se già non costituisce oggetto della domanda). Detta eccezione, tuttavia, pur dovendo essere espressa, non deve essere necessariamente esplicita, ben potendosi trarre la volontà della parte interessata dal contenuto sostanziale delle deduzioni e delle richieste avanzate (Cass. civ. sez. I, del 17 gennaio 1995, n. 482).

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