Responsabilità civile
RIDARE

Stato di necessità

09 Gennaio 2017

Al danneggiato spetta un'indennità ove chi ha compiuto il fatto dannoso vi sia stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non sia stato da lui volontariamente causato, né fosse altrimenti evitabile.

Inquadramento

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

In materia di responsabilità extracontrattuale, l'art. 2045 c.c. prevede che al danneggiato spetti un'indennità, la cui entità è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, ove chi ha compiuto il fatto dannoso vi sia stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona e il pericolo non sia stato da lui volontariamente causato, né fosse altrimenti evitabile.

Per quanto riguarda la nozione di stato di necessità, si ritiene che la norma in esame sia integrabile con gli elementi desumibili dalla corrispondente norma dell'art. 54 c.p., per cui lo stato di necessità postula, in primis, l'immanenza di un pericolo grave alla persona, che non possa altrimenti evitarsi se non attraverso la commissione di un illecito. Tuttavia, mentre la norma penale esclude la punibilità dell'agente, nel sistema civilistico il legislatore ha previsto l'obbligo di pagamento di un indennizzo, invece che del risarcimento. Se, dunque, la formulazione delle due norme è sostanzialmente sovrapponibile, assai diversi sono gli effetti.

Circa la natura giuridica dello stato di necessità, tradizionalmente si ritiene che l'art. 2045 c.c., al pari dell'art. 2044 c.c. sulla legittima difesa, escluda non la colpevolezza, bensì l'antigiuridicità, andando a configurare una di quelle ipotesi eccezionali di fatto dannoso non illecito, che fa sorgere il diritto non al risarcimento del danno, ma ad un'indennità. È una forma di responsabilità“soggettiva” basata sulla colpa.

Altri ritengono che l'azione, pur necessitata, configuri un vero e proprio illecito per fatto proprio, in cui, però, lo stato di necessità assume un valore di causa parzialmente esoneratrice di responsabilità. Il fatto che la norma preveda la differenza tra danno effettivo e danno risarcibile, in un giudizio comparativo tra opposti interessi, non varrebbe ad escludere la natura di illecito civile del fatto necessitato.

Altri ancora hanno configurato la norma in esame come autonoma fattispecie di responsabilità fondata sul principio dell'ingiustificato arricchimento, inteso come vantaggio di natura non necessariamente patrimoniale e che si individua nella propria o altrui salvezza, perseguita attraverso la lesione di interessi di un soggetto terzo.

Sotto altro profilo, per alcuni si tratta di responsabilità per colpa, per altri di responsabilità oggettiva.

Indubbiamente il legislatore ha effettuato un bilanciamento di interessi, ma nell'indagare la natura giuridica dello stato di necessità non si può prescindere dal considerare che la condotta del necessitato è pur sempre cosciente e volontaria e che, pertanto, l'elemento della regola generale aquiliana che pare essere derogato è l'ingiustizia del danno. Il comportamento necessitato è sempre imputabile al suo autore, perché frutto di una libera determinazione di volontà di commettere una violazione di norme giuridiche o di condotta per evitare il danno alla persona. Inoltre, l'atto necessitato è oggettivamente contrario a norme di legge o a regole di prudenza. Se non ricorresse nella fattispecie l'elemento soggettivo dell'illecito aquiliano (imputabilità e colpevolezza), non si potrebbe parlare a monte di responsabilità del soggetto agente e la regola in esame di “responsabilità attenuata” non potrebbe neppure venire in considerazione.

È stato, infatti, ritenuto che l'obbligazione dell'autore del fatto necessitato di corrispondere l'indennità di cui all'art. 2045 c.c. trova fondamento non già in una responsabilità oggettiva, ma in una responsabilità, sia pure attenuata, per fatto proprio del danneggiante, a lui imputabile perché volontario e consapevole, sicché la predetta indennità non cessa di costituire una forma di risarcimento del danno (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 1972, n. 3464, in Giust. civ., 1974, I, 170; Cass. civ., sez. III, 28 settembre 1971, n. 2660, in Mass. giur. it., 1971, 1493; in tema di danni da sinistro stradale, Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 2016, n. 3428, che porta la valutazione della manovra di emergenza non sul piano dell'accertamento nel nesso di causa, ma sul piano della valutazione della colpa del conducente necessitato in ordine alla scelta del tipo di manovra).

Indubbiamente l'affermazione è tutt'altro pacifica, a seconda che si valorizzi l'aspetto equitativo nettamente distinto dal risarcimento (nell'ottica dell'atto lecito dannoso che esclude il danno ingiusto), oppure si evidenzi la funzione di reintegrazione, sia pure parziale, dell'interesse leso dell'indennità, che mantiene così un carattere latamente risarcitorio.

A differenza della legittima difesa, lo stato di necessità presuppone che non vi sia un'altrui aggressione l'estraneità del terzo danneggiato, mentre la legittima difesa presuppone la reazione ad un'altrui lesione; lo stato di necessità presuppone, altresì, che vi sia un danno grave alla persona, per cui non è invocabile in caso di aggressione di un diritto patrimoniale; infine, diversi sono gli esiti, poiché lo stato di necessità obbliga al pagamento di un'indennità, la legittima difesa esclude la responsabilità.

Quanto all'onere della prova, spetta a chi invoca l'esimente provarne gli elementi costitutivi.

In evidenza

Per ravvisare lo stato di necessità, previsto dall'art. 2045 c.c., è richiesta la sussistenza della necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona in relazione al quale non è comunque possibile pretendere dall'agente un comportamento diverso (Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21918).

Ai fini dell'attribuzione dell'indennità prevista dall'art. 2045 c.c., che costituisce un minus rispetto all'ordinario risarcimento, occorre che esista pur sempre un nesso di causalità fra l'atto necessitato e l'evento dannoso, che il danno sia cioè conseguenza immediata e diretta della condotta nel caso dall'agente mantenuta, il che è da escludersi qualora si ritenga che il danno lamentato si sarebbe egualmente verificato anche in assenza dell'azione necessitata (Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 2004, n. 23696).

L'obbligo di corrispondere un'equa indennità, previsto, ai sensi dell'art. 2045 c.c., a carico di colui che arreca un danno agendo in stato di necessità, anche se questo sia stato determinato dal comportamento colposo di un terzo, presuppone, in ogni caso, che la condotta del soggetto necessitato sia stata non solo cosciente e volontaria, ma anche oggettivamente contraria ad una norma di legge o di comune prudenza (Cass. civ., sez. III, 03 aprile 1980, n. 2206).

Pertanto, l'atto necessitato, pur non potendo essere considerato soggettivamente colpevole (integrando, altrimenti, a pieno la regola generale di responsabilità aquiliana), deve, per costituire fonte di responsabilità, da un lato, essere contrario in senso obiettivo a norme di legge o a regole di prudenza e, dall'altro, essere in rapporto causale con il danno.

Elementi e disciplina della fattispecie

La fattispecie di cui all'art. 2045 c.c. vede delinearsi nella sua formulazione precisi elementi, oggettivi e soggettivi. Innanzitutto occorrono due fatti giuridici legati da nesso di causa: una situazione di necessità in cui si trova involontariamente un soggetto e il comportamento necessitato di costui, che reca un danno. La situazione di necessità è poi ulteriormente qualificata dal pericolo di grave danno alla persona.

Lo stato di necessità postula un danno grave alla persona e non di un diritto patrimoniale. La previsione si giustifica pensando che il danneggiato è terzo, al quale la situazione di pericolo è estranea.

La gravità andrà valutata in concreto, come pregiudizio di notevole entità.

È discusso se l'art. 2045 c.c. possa essere invocato per la tutela degli interessi diffusi. A stretto rigore, il pericolo di grave danno non può essere riferito agli interessi diffusi, in quanto di essi non è portatore un singolo individuo, ma una collettività. Nessuno dei singoli portatori ha legittimazione ad agire per la tutela giudiziaria. D'altra parte, proprio la ratio e la formulazione della norma può consentire l'applicazione dell'art. 2045 c.c. nel caso di pericolo di un interesse diffuso, in quanto l'atto necessitato rileva anche per i terzi esposti al pericolo e la salvaguardia di un bene collettivo è pur sempre apprezzabile individualmente, sia pure in un'ottica collettiva.

Altrettanto discussa è l'applicabilità della norma alle persone giuridiche. Riconosciuto, infatti, che il danno alla persona di cui alla norma in esame possa riguarda non solo l'incolumità fisica, ma anche altri aspetti della personalità del soggetto, non si può escludere che le persone giuridiche possano essere titolari di diritti della personalità, che però si atteggiano in modo diverso rispetto ai diritti delle personalità degli individui, essendo funzionali al perseguimento dei fini istituzionali del soggetto collettivo. Da qui le condizioni e i limiti di applicazione della norma agli enti collettivi.

Tra azione necessitata e danno deve sussistere il nesso di causalità adeguata, con la conseguenza di escludere l'obbligo di indennizzo ove il danno si fosse egualmente prodotto anche in assenza dell'azione necessitata.

È imprescindibile la sussistenza della necessità di salvare sé o altri da un pericolo attuale di un danno grave alla persona.

Lo stato di necessità richiede il pericolo di danno, che consiste in un'elevata probabilità che un evento con conseguenze dannose accada. Questo pericolo è ulteriormente contraddistinto da tre caratteristiche, ossia deve essere attuale ed involontario, oltre che inevitabile. Al di là che ovviamente il danno non deve essersi già verificato, l'attualità del pericolo esclude la rilevanza della minaccia di un danno futuro, che consentirebbe all'agente di apprestare i mezzi necessarî per evitare il pericolo senza ledere interessi di terzi. In questo senso attualità ed involontarietà sono due elementi svettamenti connessi tra loro.

Il comportamento del soggetto necessitato può consistere sia in un'azione, sia in un'omissione e potrà assumere il contenuto più ampio a seconda della natura e delle circostanze del fatto concreto. Come detto nel §1, la necessità è intesa come inevitabilità, nel senso di immanenza di un pericolo grave alla persona che non si può evitare altrimenti, se non con la commissione dell'illecito. Si tratta di un criterio, quello della inevitabilità, astratto, che deve essere valutato ex ante e in concreto.

Non viene riconosciuto il diritto all'indennità se l'azione sia diretta non a cagionare un danno, ma esclusivamente a giovare al soggetto in pericolo, salvo non si giudichi l'azione necessitata difforme dalle regole dell'ordinaria diligenza.

Lo stato di necessità non è invocabile da colui che volontariamente si sia posto nella situazione di pericolo di grave danno personale in dipendenza di un proprio comportamento colposo. Neppure lo stato di necessità pare invocabile se frutto di un errore (salvo quanto si vedrà in tema di c.d. stato di necessità putativo).

Non ricorre lo stato di necessità se l'evento è attribuibile anche al comportamento colposo dell'autore del danno, in quanto tale comportamento, integrando un elemento determinante (esclusivo o no) della situazione di pericolo, esclude l'inevitabilità del pericolo stesso. In tema di circolazione stradale, si pensi al caso in cui il conducente necessitato fosse già al momento del fatto in contravvenzione a norme del codice stradale (eccesso di velocità, velocità non adeguata alle condizioni di luogo e di tempo, etc.).

Se il soggetto necessitato deve essere, di regola, estraneo alla creazione del rischio/pericolo, si deve tener presente che, per consolidata giurisprudenza, nel caso in cui il pericolo di danno venga causato dal fatto colposo o doloso di terzo, allora il danneggiato può agire alternativamente contro il danneggiante necessitato e contro il terzo, col limite dell'integrale soddisfacimento della pretesa risarcitoria. Ove non integralmente soddisfatto nei confronti del terzo, potrà agire nei confronti del danneggiante necessitato per ottenere il pagamento dell'indennità, salvo il diritto di rivalsa di quest'ultimo verso il terzo.

Con riguardo al profilo soggettivo, non si può escludere che, sussistendone le condizioni di applicabilità, lo stato di necessità possa essere invocato anche dall'incapace.

Quanto alla gravità del danno, questa andrà valutata caso per caso, fermo che il danno recato dall'atto necessitato deve essere proporzionato al pericolo evitato, analogamente a quanto previsto dall'art. 54 c.p.

Ancora in analogia con l'art. 54 c.p., si ritiene, ma non pacificamente, che il titolare del diritto minacciato non debba avere un particolare dovere di esporsi al pericolo. Come si vedrà nella casistica, spesso il problema si intreccia col con l'applicazione di altre norme, riguardanti l'eccesso colposo di uso delle armi.

Stato di necessità e contratto

Assai dibattuto è se lo stato di necessità possa essere applicato anche in ambito di responsabilità contrattuale.

È stato, infatti, ritenuto che nel caso di contratto a prestazioni corrispettive avverrebbe una risoluzione con effetti intermedî tra quelli della risoluzione per inadempimento e quelli per risoluzione per impossibilità sopravvenuta, essendo dovuto non un risarcimento pieno, ma un'equa indennità.

Altri, invece, riconducono l'ipotesi al problema della teorica dell'inesigibilità, con applicazione specifica e completa dell'art. 1218 c.c.

A livello generale, lo stato di necessità, essendo legato ad un diritto della persona posto in pericolo, opera su un piano diverso rispetto al rapporto obbligatorio, in cui viene in considerazione un obbligo di adempiere ad un precedente vincolo. In questo senso l'impossibilità della prestazione assume un contorno autonomo ed oggettivo, essendo irrilevante lo stato di pericolo, che non incide direttamente sulla prestazione che rimane possibile.

Ciò non di meno si osserva che l'inadempimento potrebbe essere evitato solo ricorrendo ad un'attività illecita o col sacrificio dell'integrità della persona. Tale concetto di impossibilità della prestazione deve essere equiparato a quello di impossibilità naturale della prestazione che non può essere vinta con le forze umane.

In tal modo, lo stato di necessità viene ricondotto nella disciplina dell'art. 1218 c.c. e si pone come limite di sforzo richiesto al debitore nell'adempimento, oltre il quale la prestazione diviene impossibile.

Si precisa che occorre effettuare una distinzione: se lo stato di necessità/pericolo riguarda esclusivamente la persona del debitore senza ripercussione sulla prestazione oggetto dell'obbligazione, il debitore non è liberato; se, viceversa, il pericolo investe la persona del debitore in quanto parte del rapporto obbligatorio ossia collegata col contenuto dell'obbligazione, la prestazione diviene impossibile. Per il caso di pericolo non liberatorio, si fa l'esempio del bene affidato in deposito ceduto per sottrarsi agli esiti nefasti dell'aggressione di un rivale.

Diverso, poi, è lo stato di necessità che si rinviene in ambito contrattuale nella disciplina della rescissione del contratto concluso in stato di pericolo ex art. 1447 c.c., pur avendo il presupposto comune della necessità «di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona».

Innanzitutto, per la rescissione non è richiesta né l'involontarietà, né l'inevitabilità.

In secondo luogo, lo stato di necessità nella rescissione rileva in tanto in quanto vi siano condizioni inique, giocando ruolo determinante il regolamento contrattuale lesivo del sinallagma contrattuale. Inoltre è necessario che l'altro contraente, a cui tutela soccorre il principio dell'affidamento, fosse a conoscenza della particolare situazione di necessità che ha determinato quel regolamento contrattuale.

Pertanto, per struttura e funzione lo stato di necessità in ambito contrattuale è strumento di correzione del contratto iniquo, mentre nell'illecito extracontrattuale è esso stesso che determina conseguenze dannose e il fulcro della norma.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Art. 2045 c.c. e responsabilità contrattuale. Applicabilità

Lo stato di necessità, che incide tanto sull'illecito extracontrattuale, quanto sull'inadempimento contrattuale, ha sempre l'effetto di attenuare e non già di escludere la responsabilità per l'atto necessitato; pertanto, il vettore, che abbia cagionato un danno al viaggiatore per salvare un terzo, è tenuto a corrispondere al danneggiato l'indennità prevista dall' art. 2045 c.c., ancorché la situazione di pericolo sia stata determinata colpevolmente dal terzo stesso (Cass. civ. sez. II, 7 febbraio 1952, n. 287, in Foro it., 1952, I, 301; C.A. Napoli, 22 luglio 1950, in Foro it., 1951, I, 1302).

Art. 2045 c.c. e responsabilità contrattuale. Inapplicabilità.

L'art. 2045 c.c. disciplina la responsabilità di chi arreca un danno agendo in stato di necessità. L'agente in tal caso è tenuto ad una equa indennità nei confronti del danneggiato, la cui misura è rimessa all'apprezzamento del giudice. La norma è applicabile soltanto in materia di responsabilità extracontrattuale e trova applicazione anche nel caso in cui lo stato di necessità sia provocato dal comportamento colposo di un terzo (Cass. civ., sez. III, 28 settembre 1971, n. 2660, in Mass. giur. it., 1971, 1493).

Il debitore della prestazione (nella specie vettore) che sia rimasto inadempiente, per essersi trovato nella necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla propria o altrui persona, non incorre in responsabilità contrattuale per inadempimento. (…) Il danneggiato può rivolgersi contro il danneggiante necessitato per ottenere l'indennità e contro il terzo necessitante per la differenza tra l'integrale risarcimento e la indennità ovvero agire esclusivamente contro il terzo necessitante (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1953, n. 427, in Foro it., 1953, I, 798).

L'occupazione dell'azienda ad opera di una parte delle maestranze, con impedimento frapposto da queste alla prosecuzione dell'attività aziendale, quale causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa dei dipendenti non occupanti, non imputabile al datore di lavoro, libera quest'ultimo dall'adempimento della obbligazione retributiva. Né tale difetto di imputabilità può disconoscersi in base alla sola circostanza che l'occupazione costituisce una forma di ritorsione contro un comportamento illegittimo dell'imprenditore, poiché, da un lato, è necessario accertare se la causa prossima abbia o non potuto interrompere il rapporto fra quella remota (condotta del datore di lavoro) e l'evento, ponendosi eventualmente come esclusiva rispetto a questo; e dall'altro lato la rilevanza della causa prossima (occupazione) non è preclusa dall'esimente dello stato di necessità, poiché l'occupazione non costituisce l'unico mezzo per la tutela dei diritti disconosciuti dal datore di lavoro, ottenibile in via giurisdizionale (Cass. civ., sez. lav., 13 maggio 1982, n. 2994; Cass. civ., sez. lav., 02 dicembre 1985, n. 6032).

Il c.d. soccorso necessitato

La norma in esame prevede non solo l'ipotesi che il soggetto necessitato agisca per salvare sé dal pericolo, ma anche terzi, ossia prevede l'ipotesi del terzo che arreca danno a sua volta per soccorrere la persona in pericolo.

Anche in questo caso la disposizione riecheggia un'altra norma penale. L'art. 593, comma 2 c.p. prevede il dovere di soccorso per chi trovi un corpo umano che sia o sembri inanimato ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo.

Il soccorritore è sollevato da responsabilità, civile e penale, avendo agito in adempimento del dovere previsto dalla legge.

Le due norme, quella civile e quella penale, tuttavia mantengono una loro diversità operativa: se il dovere di soccorso opera nei casi di pericolo per l'integrità fisica di una persona, l'art. 2045 c.c. mantiene un proprio spazio di applicazione nelle ipotesi residuali nelle quali il pericolo di danno riguarda gli altri diritti della personalità morale.

Come nel caso più generale di azione necessitata diretta a giovare al danneggiato, si è proposto che anche nel caso di soccorso necessitato e nel caso in cui il soccorritore stesso subisca un danno, a questi sia applicabile l'istituto della gestione d'affare e in particolare l'art. 2031, comma 1, c.c. fermo che, qualora lo stato di necessità sia stato causato dal fatto di un terzo, sarà quest'ultimo a rispondere dei danni.

Lo stato di necessità putativo

L'espressione indica la particolare situazione del soggetto che si ritiene minacciato per effetto di una falsa rappresentazione della realtà e, a causa di questa, compie l'atto necessitato cagionante il danno. Vi è la questione, quindi, di stabile se si debba applicare l'art. 2045 c.c. o la regola generale di cui all'art. 2043 c.c.

A stretto rigore, lo stato di necessità è una regola eccezionale e, pertanto, una situazione putativa non potrebbe essere assimilata allo stato di necessità reale e non potrebbe derogare alla regola generale del risarcimento integrale.

Tuttavia, si osserva che, in aderenza al principio generale dell'apparenza e senza che vi sia contrasto con alcun altro principio ispiratore della norma de quo, non si può escludere la rilevanza dello stato di necessità putativo.

Tendenzialmente si opera una distinzione: è applicabile l'art. 2045 c.c. se l'agente, adoperando la normale diligenza, ha creduto di trovarsi in stato di necessità; al contrario è applicabile l'art. 2043 c.c. se l'erronea supposizione è da ascrivere alla colpa dell'agente.

Analogamente all'ordinamento penale (art. 59 c.p.), si potrà invocare l'esimente dello stato di necessità putativo limitatamente all'ipotesi in cui l'erronea opinione sulla sussistenza del pericolo si basi su dati di fatto concreti, tali da giustificare la presunzione inesatta, pur non integrando le condizioni necessarie per l'applicazione dell'esimente. Viceversa, si esclude la scriminante, ove l'errore derivi da un generico timore dell'agente fondato su una valutazione meramente soggettiva.

In passato la giurisprudenza ha ritenuto necessaria l'esistenza effettiva del pericolo.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

C.d. stato di necessità putativo. Ammissibilità.

La necessità del consenso del paziente alle cure sanitarie viene meno sia in presenza di uno stato di necessità effettivo, sia in presenza di uno stato di necessità presunto o putativo, il quale ricorre allorché il medico, senza colpa, abbia ritenuto in base a circostanze scusabili l'esistenza di un pericolo di danno grave alla salute del paziente (Cass. civ., sez. III, 15 novembre 1999, n. 12621; in materia di circolazione stradale, Cass. civ., sez. II, 2 luglio 1954, n. 2279, in Resp. civ. prev., 1955, 57).

C.d. legittima difesa putativa e c.d. stato di necessità putativo. Applicazione analogica, ammissibilità.

L'art. 2045 c.c. (il quale prevede che l'autore del fatto dannoso commesso in stato di necessità è tenuto a corrispondere una indennità al danneggiato) è applicabile, per analogia, nel caso di danno cagionato da persona non punibile per aver agito in stato di cosiddetta legittima difesa putativa: Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1991, n. 8772; Cass. civ., sez. III, 6 aprile 1995, n. 4029.

C.d. stato di necessità putativo. Inammissibilità.

A far considerare necessitato un comportamento imprudente o colposo non basta che il pericolo da evitare fosse meramente putativo, ma occorre che esso effettivamente sussistesse e che fosse ragionevolmente prevedibile (Cass. civ., sez. III, 2 luglio 1954, n. 2279).

Stato di necessità, c.d. manovra di fortuna e art. 2054. Rinvio

In tema di circolazione stradale, ove il conducente necessitato ponga in essere la c.d. manovra di fortuna, la norma sullo stato di necessità può venire in relazione con l'art. 2054 c.c., che pone la presunzione di concorso di colpa in caso di scontro tra veicoli.

Su questo particolare aspetto si rinvia all'approfondimento sull'art. 2054 c.c. , limitandoci in questa sede a qualche cenno.

La manovra di fortuna o di emergenza è una manovra anormale, spesso contraria ai comuni criterî tecnici e di comportamento. Tuttavia, deve essere doverosamente compiuta ove ricorra la necessità di ovviare ad un pericolo e questa necessità trovi la sua origine in una condotta colposa altrui.

Ai fini del riconoscimento dei presupposti di applicazione dello stato di necessità, è utile considerare anche la giurisprudenza penale, stante la vista omogeneità tra l'art. 2045 c.c. e l'art. 54 c.p., ferme le profonde differenze sugli effetti.

Se la manovra di emergenza è doverosa, il conducente necessitato non può rispondere, a titolo di colpa, se la manovra non ha successo. Naturalmente, come già visto, è necessario che la situazione di pericolo non fosse stata volontariamente causata dal soggetto necessitato e non fosse altrimenti evitabile ovvero che il conducente, a causa di una sua precedente condotta illegittima, non sia stato costretto a tentare la manovra di emergenza.

Di regola, si esclude la responsabilità per colpa per la mancata scelta della manovra di fortuna più opportuna in una situazione di pericolo per fatto improvviso addebitabile ad altri.

L'equa indennità

Come detto, il danno cagionato in stato di necessità non fa sorgere il diritto al risarcimento integrale, ma ad una indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice. Si tratta di un bilanciamento operato dal legislatore tra la posizione dell'autore del danno e quella del danneggiato.

Il principio ispiratore della norma risulta più apprezzabile dal confronto con la previsione della legittima difesa (art. 2044 c.c.). In questo caso il sacrificio dell'altrui diritto è giustificato a pieno col principio generale dell'autotutela. Nel caso di stato di necessità, al contrario, oltre al pur lecito fine di salvare la persona dal pericolo occorre considerare un altro aspetto, ossia che colui che ha subito il danno è completamente estraneo/innocente.

Da qui la scelta di riconoscere al danneggiato un'indennità.

La determinazione di tale indennità avverrà caso per caso, in considerazione del comportamento del danneggiante e del danneggiato, dell'entità del pregiudizio sofferto, della gravità del danno evitato e del grado di incombenza del pericolo. Discutibile è se possa trovare applicazione il criterio contenuto nella diversa norma di cui all'art. 2047 c.c. («in considerazione delle condizioni economiche delle parti»). Se, infatti, l'art. 2047, comma 2, c.c. trova applicazione nel caso in cui non sia possibile ottenere il risarcimento dal sorvegliante (vuoi perché insolvente, vuoi perché abbia fornito la prova liberatoria, vuoi perché mancante), fa emerge la natura sussidiaria della responsabilità dell'incapace, strutturalmente diversa da quella in esame e non livellabile alla c.d. responsabilità sociale dell'incapace (in forza della quale sarebbe iniquo che il patrimonio dell'autore del danno non subisca diminuzione per l'incapacità del suo titolare che pure ha cagionato il danno con fatto proprio). Letteralmente, poi, la formulazione è assai diversa, al punto tale che l'art. 2047 c.c. attribuisce in realtà al giudice un potere discrezionale di apprezzamento non solo sul quantum, ma anche sull'an: l'art. 2045 c.c. sancisce che «al danneggiato è dovuta un'indennità»; l'art. 2047 c.c. stabilisce che «il giudice … può condannare …». In dottrina è stato rilevato che il danneggiato come tale non ha, nell'ipotesi di cui all'art. 2047 c.c., una pretesa giuridica diretta alla prestazione risarcitoria.

Circa il cumulo con alte provvidenze, è stato deciso che le speciali elargizioni previste dalla l. 13 agosto 1980 n. 466, a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche, non riducono il credito di indennità, a norma dell'art. 2045 c.c., nel caso di danno cagionato in stato di necessità (Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1991, n. 8772).

Occorre ricordare che presupposto dello stato di necessità è che la condotta necessitata sia stata cosciente e voluta, ossia si tratti di un'azione diretta a cagionare danno. Pertanto, andrà escluso il dritto all'indennità ove l'azione del danneggiante fosse diretta solo a giovare al soggetto in pericolo e se questo ha subito un danno non dissimile da quello che avrebbe ricevuto in assenza dell'azione necessitata, salvo riconoscere una condotta non conferme all'ordinaria diligenza.

Nel caso di azione diretta a giovare al soggetto in pericolo, è stata ritenuta applicabile la disciplina della gestione d'affari altrui, con la conseguenza che il soccorritore, non tenuto all'indennità, dovrebbe essere tenuto lui stesso indenne dai danni a sé arrecati.

Con riguardo alla responsabilità solidale, in specie del proprietario del veicolo ex art. 2054 c.c., v'è da chiedersi se a costui, convenuto in giudizio, sia applicabile la norma sullo stato di necessità, anche quando il conducente che ha commesso il fatto dannoso in stato di necessità fosse persona diversa.

In contrario a tale applicabilità, si è osservato che la solidarietà è condizionata alla colpa del conducente, la quale è elemento costitutivo della responsabilità stabilita dall'art. 2054, comma 3, c.c.

Se, tuttavia, si considera, come in giurisprudenza al § 1, l'indennità come una forma di risarcimento e il danno prodotto come da atto illecito proprio, l'applicazione della regola sulla responsabilità solidale non trova ostacolo.

Indennità, prescrizione, proposizione in appello

Di regola il termine di prescrizione dell'azione per ottenere l'indennità ex art. 2045 è lo stesso termine di prescrizione dell'azione di risarcimento.

Si tenga presente che l'azione diretta ad ottenere l'indennità ex art. 2045 c.c. soggiace alla disciplina della prescrizione biennale di cui all'art. 2947, comma 2, c.c., qualora il danno tragga origine da un qualunque fatto collegato alla circolazione di veicoli (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 1972, n. 3464, in Mass. giur. it., 1972, 1253).

Costituendo l'indennizzo un minus rispetto al risarcimento, si ritiene che la domanda di indennizzo proposta per la prima volta in appello non costituisca domanda nuova, se l'appellante aveva proposto in primo grado rituale domanda di risarcimento del danno, ritenendosi la prima implicita in quest'ultima.

Casistica

CASISTICA

Responsabilità medica. Trasfusione ematica. Stato di necessità. Esclusione.

In tema di responsabilità medica, la struttura ospedaliera che esegua un intervento chirurgico d'urgenza non può invocare lo stato di necessità di cui all'art. 2045 c.c., il quale implica l'elemento dell'imprevedibilità della situazione d'emergenza, la cui programmazione rientra nei compiti di ogni struttura sanitaria e, con riguardo alle risorse ematiche, deve tradursi in un approvvigionamento preventivo o nella predeterminazione delle modalità per un rifornimento aggiuntivo straordinario, sicché grava sulla struttura la prova di aver eseguito, sul sangue pur somministrato in via d'urgenza, tutti i controlli previsti all'epoca dei fatti. (Nella specie, il paziente aveva contratto epatite post-trasfusionale in conseguenza di emotrasfusioni alle quali era stato sottoposto con particolare urgenza, essendo giunto in ospedale con una ferita da arma da fuoco e con una grave emorragia in corso): Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2016, n. 13919.

Circolazione stradale, vettore, stato di necessità, onere della prova, colpa e nesso di causa.

L'art. 2045 c.c., il quale prevede che l'autore del fatto dannoso commesso in stato di necessità è tenuto a corrispondere una indennità al danneggiato, è applicabile anche nel caso di danno cagionato da incidente stradale, purché l'autore del fatto dimostri gli elementi costitutivi dell'esimente: Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2002, n. 10571.

Ai fini dell'attribuzione dell'indennità prevista dall'art. 2045 c.c., che costituisce un minus rispetto all'ordinario risarcimento, occorre che esista pur sempre un nesso di causalità fra l'atto necessitato e l'evento dannoso, che il danno sia cioè conseguenza immediata e diretta della condotta nel caso dall'agente mantenuta, il che è da escludersi qualora si ritenga che il danno lamentato si sarebbe egualmente verificato anche in assenza dell'azione necessitata. (Nell'affermare il suindicato principio la Corte cass., nel rigettare le doglianze del ricorrente, ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva negato la corresponsione dell'indennità di cui all'art. 2045 c.c. richiesta dalla passeggera di un autobus dell'Atac per i danni subiti in conseguenza delle lesioni riportate all'esito di una caduta avvenuta in ragione di una frenata operata dal conducente, per prevenire l'urto con un'autovettura che ne aveva intralciato repentinamente la traiettoria): Cass. civ., sez. III, 21 dicembre 2004, n. 23696.

Presupposto per il riconoscimento del diritto all'indennità, che, ai sensi dell'art. 2045 c.c., il giudice può (nella misura ritenuta equa) attribuire al danneggiato nel caso in cui l'autore del fatto dannoso abbia agito in stato di necessità, è che la condotta di quest'ultimo sia consistita in un'azione diretta a cagionare danno; pertanto, tale indennità è correttamente negata quando - alla stregua della valutazione di tutti gli elementi della fattispecie concreta - risulti che l'azione del danneggiante sia stata invece diretta soltanto a giovare al soggetto in pericolo, il quale dall'opera di salvataggio tentata a suo favore abbia accidentalmente ricevuto un danno sostanzialmente non dissimile da quello che gli sarebbe derivato in mancanza di detta azione. (Nella specie, l'indennità era stata richiesta dalla passeggiera di un'automobile rimasta ferita per la brusca frenata che il conduttore di tale veicolo era stato costretto a compiere per evitare la collisione con altro veicolo improvvisamente immessosi sulla strada): Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1981, n. 2238.

Circolazione stradale, responsabilità del vettore, rapporto tra azione di risarcimento e di indennizzo.

Qualora la responsabilità del vettore per i danni subiti dal trasportatore esclusa dallo stato di necessità determinato dal fatto colposo del terzo, l'azione indennitaria ex art. 2045 c.c., contro il soggetto necessitario (vettore) e quella risarcitoria ex art. 2043 contro il terzo necessitante sono autonome, per la sostanziale diversità dei presupposti delle due ragioni di credito (l'una diretta al conseguimento di un'equa riparazione in termini di tutela sociale del danno subito e l'altra volta alla totale reintegrazione del patrimonio leso) e, pertanto, non cumulabili e solo alternativamente proponibili, altrimenti il danneggiato conseguendo due ragioni di credito potrebbe ottenere con evidente indebito profitto sia il risarcimento che l'indennizzo. Tuttavia, l'art. 2045 c.c. ha anche una funzione surrogatoria od integratrice, avendo lo scopo di assicurare, comunque, al danneggiato un'equa riparazione, sicché il predetto può rivolgersi contro il danneggiante necessitato per ottenere l'indennità e contro il terzo necessitante per la differenza tra l'integrale risarcimento e l'indennità, qualora attraverso quest'ultima non consegua una riparazione soddisfacente, ovvero agire contro il terzo necessitante per ottenere il risarcimento integrale e contro il necessitato per ottenere l'indennità anche per l'eventuale differenza, qualora il primo non adempia in tutto o in parte: Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1995, n. 1323; Cass. civ., sez. III, 8 settembre 1978, n. 4074.

Circolazione stradale e c.d. manovra d'emergenza

In tema di danni da sinistro stradale, nell'ipotesi di lesioni patite dal terzo trasportato a seguito di una manovra di emergenza che abbia comportato la fuoriuscita del veicolo dalla sede stradale, l'apprezzamento della possibilità, per il conducente, di tenere una condotta alternativa idonea ad evitare l'evento dannoso, o a produrne altro meno grave, non incide sull'accertamento del nesso di causalità tra la condotta tenuta e l'evento dannoso, ma, eventualmente, sul piano della verifica della colpa del conducente, potendo in particolare comportare — qualora la situazione di pericolo risulti ascrivibile solamente al contegno di un terzo — l'operatività dell'esimente dello stato di necessità ex art. 2045 c.c. (Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 2016, n. 3428).

Qualora all'accadimento di un incidente stradale abbia contribuito, sotto il profilo causale, il conducente di una delle autovetture coinvolte nel sinistro, con una manovra di fortuna posta in essere in stato di necessità, costui ed il suo assicuratore sono tenuti a corrispondere al danneggiato a norma dell'art. 2045 c.c. un'indennità rimessa all'equo apprezzamento del giudice, la quale è coperta dalla garanzia assicurativa obbligatoria di cui alla l. n. 990 del 1969, fermo restando che nella determinazione di tale indennizzo non può essere computato il danno morale non dovuto, non ricorrendo, nella condotta dello stesso conducente, gli estremi del reato (Trib. Roma, 7 maggio 1991).

In tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, il conducente di un veicolo non può essere chiamato a rispondere delle conseguenze lesive di uno scontro per non avere posto in essere una manovra di emergenza, qualora si sia venuto a trovare dovuta all'altrui condotta di guida illecita, non utilmente ed agevolmente percepibile, tenuto conto dei tempi di avvistamento, della repentinità della condotta del soggetto antagonista, dei concreti spazi di manovra, dei necessari tempi di reazione psicofisica (Cass. pen., sez. IV, 24 giugno 2008, n. 29442).

In tema di responsabilità penale per eventi lesivi connessi alla circolazione stradale, non può ritenersi in colpa il conducente il quale, a fronte di una situazione di improvviso pericolo a lui non addebitabile, ponga in essere una manovra di emergenza diversa da quella che, presumibilmente, sarebbe stata idonea a scongiurare l'evento (principio affermato, nella specie, con riguardo ad un caso in cui si era addebitato all'imputata, conducente di un'autovettura che aveva urtato un ciclomotorista il quale, proveniente dall'opposto senso di marcia, aveva improvvisamente invaso la semicarreggiata di pertinenza di detta autovettura, di aver azionato i freni sterzando nel contempo sulla sinistra, laddove la manovra corretta sarebbe stata quella di mantenere il proprio assetto di marcia ovvero sterzare sulla destra): Cass. pen., sez. IV, 4 marzo 2008, n. 20588.

In tema di circolazione stradale, i conducenti dei veicoli antagonisti sono tenuti ad effettuare una manovra di emergenza per evitare il sinistro. Infatti, in applicazione del principio di solidarietà desumibile dagli art. 2 Cost. e 1175 c.c., il conducente del veicolo antagonista deve cooperare ad evitare che il sinistro si verifichi, non potendo trincerarsi dietro la circostanza che egli non versa in una violazione delle norme comportamentali. L'unico caso in cui detto soggetto non è tenuto alla manovra di emergenza si verifica allorché, attese le circostanze del caso concreto, una qualche manovra astrattamente idonea di emergenza risulta impossibile (Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2000, n. 5671; Trib. Roma, sez. XIII, 13 gennaio 2015, n. 526; Trib. Monza, 6 marzo 2013; App. Roma, 8 settembre 2009).

Circolazione stradale, manovra d'emergenza e art. 2054 c.c.

L'invasione della corsia riservata ai veicoli provenienti dalla direzione opposta della strada, ove non attuata per una cogente e scusabile necessità, ma determinata, invece, dal mancato adeguamento della velocità alle particolari condizioni di luogo e di tempo, comporta la colpa esclusiva del conducente che abbia oltrepassato la propria linea di mezzeria, ponendo l'altro conducente nell'impossibilità di attuare una qualsiasi manovra di fortuna per evitare la collisione, e, conseguentemente, libera quest'ultimo dalla presunzione di colpa stabilita dall'art. 2054, comma 2, c.c. (Trib. Bari, sez. III, 30 maggio 2011, n. 1896; Trib. Modena, sez. I, 7 novembre 2005; Cass. civ., sez. III, 5 maggio 2000, n. 5671; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1984, n. 3929).

Il principio di solidarietà sociale - desumibile, in generale, oltre che dall'art. 2 Cost., dagli artt. 1175 e 1227 c.c., e, specificamente, dall'art. 523, comma 3, d.P.R. 30 giugno 1959 n. 420, che obbliga a facilitare il sorpasso - impone anche al conducente che proceda nel rispetto di tutte le norme del c. strad. di attivarsi, a fronte della violazione altrui, al fine di evitare il sinistro, compiendo la manovra di emergenza che, con riferimento alla situazione concreta, per il guidatore medio, appare "ex ante" più idonea ad evitare il danno (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 1998, n. 2639).

In tema di danni prodotti dalla circolazione di veicoli, la prova a carico del conducente di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, quale condotta esimente da responsabilità ai sensi dell'art. 2054 c.c., comprende anche quella di avere fatto ricorso, sussistendone le condizioni, a manovre di fortuna, che si presentino le più opportune ed efficaci nel caso concreto, e di averle attuate con perizia e diligenza, e dell'esito negativo di tali manovre, stante l'incertezza e l'aleatorietà dell'esito medesimo, il conducente non può essere ritenuto responsabile (Cass. civ., sez. III, 30 agosto 1984, n. 4737).

Stato di necessità e codice della strada.

Per ravvisare lo stato di necessità, previsto dall'art. 2045 c.c., è richiesta la sussistenza della necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona in relazione al quale non è comunque possibile pretendere dall'agente un comportamento diverso. Il disagio provocato dalla mancanza o insufficienza delle aree destinate a parcheggio è quindi inidoneo a costituire uno stato di necessità, anche nel caso di non osservanza da parte del comune della disposizione dell'art. 7, comma 8, del d.lg. n. 285 del 1992, in quanto la norma, tipicamente di azione e diretta alla regolamentazione della circolazione nei centri abitati, non attribuisce alcun diritto soggettivo agli utenti della strada e in particolare non giustifica l'inosservanza dei divieti di fermata e di sosta di cui all'art. 158 c. strad. (Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21918).

Procedura civile. Domanda nuova. Esclusione.

Non costituisce domanda nuova, ai fini di cui all'art. 345 c.p.c., la proposizione per la prima volta in appello della domanda di corresponsione dell'indennizzo ex art. 2045 c.c., quando l'appellante abbia proposto in primo grado domanda di risarcimento del danno, dovendo la prima ritenersi implicita nella seconda, tanto che il giudice può provvedere su di essa persino "ex officio" (Cass. civ., sez. III, 17 aprile 2013, n. 9239).

In tema di illecito, qualora l'attore abbia chiesto il risarcimento dei danni e sia stato accertato che il convenuto aveva agito in stato di necessità, il giudice deve applicare d'ufficio l'art. 2045 c.c., essendo implicita nella domanda di risarcimento quella di corresponsione di un equo indennizzo, anche in assenza di un esplicito richiamo, da parte del danneggiato, alla ricordata norma ex art. 2045 c.c. (Cass. civ., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12100; Cass. civ., 3 febbraio 1995, n. 1323).

Sanzioni amministrative. Violazione di disposizioni. Stato di necessità. Insussistenza.

Per ravvisare lo stato di necessità, previsto dall'art. 2045 c.c., è richiesta la sussistenza della necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona in relazione al quale non è comunque possibile pretendere dall'agente un comportamento diverso. Il disagio provocato dalla mancanza o insufficienza delle aree destinate a parcheggio è quindi inidoneo a costituire uno stato di necessità, anche nel caso di non osservanza da parte del comune della disposizione dell'art. 7, comma 8, d.lgs. n. 285 del 1992, in quanto la norma, tipicamente di azione e diretta alla regolamentazione della circolazione nei centri abitati, non attribuisce alcun diritto soggettivo agli utenti della strada e in particolare non giustifica l'inosservanza dei divieti di fermata e di sosta di cui all'art. 158 c. strad. (Cass. civ., sez. I, 12 ottobre 2006, n. 21918).

In tema di sanzioni amministrative, la responsabilità dell'autore dell'illecito può essere esclusa anche in caso di erronea supposizione della sussistenza degli elementi concretizzanti una causa di esclusione della responsabilità, in quanto l'art. 3 l. n. 689 del 1981 esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche l'erroneo convincimento della sussistenza di una causa di giustificazione. Qualora, però, l'interessato deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente reale o putativa deve provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la sussistenza dell'invocato stato di necessità, effettivo o putativo, per avere l'interessato dedotto l'assoluta necessità di recarsi in ospedale per eseguire degli accertamenti clinici, in quanto non era stata provata la necessità di salvare sé o ad altri dal pericolo attuale ed immediato di un danno alla persona, con l'unico mezzo della commissione dell'illecito): Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2008, n. 15195; Cass. civ., sez. I, 24 marzo 2004, n. 5877.

Tutela possessoria, animus spoliandi, stato di necessità. Insussistenza.

A norma dell'art. 1145, comma 2, c.c. il possesso dei beni appartenenti al demanio dello Stato e di quelli appartenenti alle province ed ai comuni e soggetti al regime dei beni demaniali è, in via eccezionale e per ragioni di ordine pubblico, tutelato, nei rapporti fra privati, con l'azione di spoglio quando sui beni stessi si esplichino atti di godimento analoghi a quelli che si eserciterebbero su cose di pertinenza esclusiva; nè, ai fini della negazione della tutela predetta, ha rilievo che il godimento del bene demaniale sia esercitato in mancanza di un atto di concessione per una particolare forma di utilizzazione o, nel caso di accesso ad una strada pubblica, in mancanza di relativa licenza dell'autorità amministrativa a norma dell'art. 4 del r.d. 8 dicembre 1933 n. 1740, restando altresì escluso, nella stessa ipotesi di accesso ad una strada pubblica, che la sussistenza dell' "animus spoliandi" possa - ove non sia configurabile uno stato di necessità ai sensi dell'art. 2045 c.c. - essere negata per il fine, perseguito dall'autore dello spoglio, di eliminare uno stato di fatto pericoloso (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 1991, n. 12022).

Stato di necessità e tutela di altri diritti. Questione di legittimità costituzionale. Insussistenza.

È manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 2045 c.c., censurato, in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto consente di attribuire un indennizzo al danneggiato solo qualora la condotta necessitata abbia consentito di evitare un danno grave ad un soggetto umano, mentre non prevede alcun ristoro indennitario nel caso in cui la condotta non riprovevole del danneggiato abbia avuto di mira la salvaguardia di un essere animato diverso dall'uomo ovvero di un interesse di rango meno elevato. La questione è infatti sollevata sulla base di una erronea premessa interpretativa, in quanto il remittente riferisce gli asseriti vizi di incostituzionalità della norma alla mancata inclusione, nell'ambito dei presupposti per la sua operatività, della condotta del danneggiante che miri ad «evitare di travolgere e ferire un animale», senza verificare se tale norma fosse in concreto applicabile, ossia se la manovra necessitata dal conducente fosse idonea a salvare sé e la persona trasportata dal pericolo attuale di un danno di maggiore gravità derivante dalle possibili conseguenze dell'investimento dell'animale (C. Cost., 28 marzo 2006, n. 130).

Stato di necessità, adempimento di un dovere, uso delle armi, proporzionalità.

L'art. 2044 rinvia sostanzialmente, per la nozione di legittima difesa quale situazione idonea ad escludere la responsabilità civile per fatto illecito, all'art. 52 c.p., che richiede, a tal fine, la sussistenza, nella fattispecie, della necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta (sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa). Parimenti, perché sia ravvisabile lo stato di necessità, previsto dall'art. 2045 c.c., è richiesta la sussistenza della necessità di salvare sè od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Nessuna di tali situazioni è ravvisabile nel fatto dell'agente di polizia che, sopraggiunto immediatamente dopo la commissione di una rapina in una farmacia, mentre il rapinatore si stava allontanando, per sottrarsi alla cattura, impugnando una pistola a scopo difensivo, abbia esploso all'indirizzo dello stesso, che si proteggeva con il corpo del farmacista, un colpo di arma da fuoco il quale abbia attinto anche un cliente. Tale ipotesi rientra piuttosto nella previsione di eccesso colposo nell'uso legittimo di armi, per avere l'agente superato per errore i limiti imposti dall'art. 53 c.p., che legittima tale uso solo nel caso in cui l'agente vi sia costretto dalla necessità di vincere una resistenza all'autorità. Infatti, i requisiti della costrizione e della necessità presuppongono la proporzione tra l'interesse che l'adempimento del dovere di ufficio tende a soddisfare e l'interesse che viene offeso per rendere possibile tale adempimento. Detta proporzione va esclusa nella specie, in presenza di una situazione in cui la tutela dell'incolumità fisica e della vita delle persone presenti nella farmacia - beni di cui, secondo la valutazione del giudice del merito, era ben prevedibile la lesione in caso di uso dell'arma - avrebbe dovuto prevalere sull'interesse alla cattura del rapinatore ed al recupero della refurtiva: Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2000, n. 2091.

In tema di responsabilità civile della p.a. per danno causato dai dipendenti nell'esercizio delle loro funzioni, la legittimità dell'uso delle armi, che, escludendo l'ingiustizia del danno, fa mancare il presupposto dell'azione di risarcimento del danno, suppone la proporzione tra l'interesse che l'adempimento del dovere di ufficio tende a soddisfare e l'interesse che viene offeso per rendere possibile tale adempimento; proporzione che va esclusa in presenza di una situazione in cui la tutela dell'incolumità fisica e della vita delle persone presenti possa prevalere sull'interesse alla cattura del rapinatore ed al recupero della refurtiva: Cass. civ. sez. III, 8 giugno 2005, n. 11998.

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