Il contatto sociale è un istituto di derivazione dottrinaria, ormai recepito dalla giurisprudenza interna (anche se non con la stessa ampiezza delle elaborazioni dottrinali), con cui si indica un tipo di fonte dell'obbligazione, che comprende le situazioni accomunate dall'esistenza di un rapporto qualificato tra le parti, in virtù del quale sorgono per entrambe – o anche per una sola di esse – obblighi di comportamento a contenuto specifico, pur in assenza della conclusione di un contratto.
Inquadramento
Il contatto sociale è un istituto di derivazione dottrinaria (sviluppatosi in Germania, dove sembra ormai aver ricevuto – in seguito alla riforma del diritto delle obbligazioni del 2001 – una positivizzazione nel § 311 BGB [codice civile tedesco], ove il legislatore inserisce quale fonte di obblighi di protezione l'ähnliche geschäftliche Kontakte) e ormai recepito dalla giurisprudenza interna (anche se non con la stessa ampiezza delle elaborazioni dottrinali), con cui si indica un tipo di fonte dell'obbligazione, che comprende le situazioni accomunate dall'esistenza di un rapporto qualificato tra le parti, in virtù del quale sorgono per entrambe – o anche per una sola di esse – obblighi di comportamento a contenuto specifico, pur in assenza della conclusione di un contratto.
In Italia, prima dell'elaborazione dell'istituto in esame, si sosteneva che la disciplina in materia di responsabilità contrattuale (artt. 1218 ss. c.c.) si applicasse unicamente all'inadempimento delle obbligazioni nascenti da contratto, mentre tutte le fattispecie in cui non sussisteva un rapporto contrattuale venivano accomunate nella figura dell'illecito extracontrattuale e nella relativa regolamentazione (art. 2043 c.c.). Erano, per questa via, disciplinate sotto la medesima regolamentazione fattispecie molto differenti tra loro, alcune delle quali più vicine, nei fatti, ai rapporti negoziali.
Il riferimento corre, in particolare, a quelle situazioni in cui la relazione tra danneggiante e danneggiato non è configurabile come quella, tipica dell'illecito extracontrattuale, fra due sconosciuti, ma è caratterizzata da un rapporto più profondo, come ad esempio avviene nel caso intercorrente fra due soggetti nella fase delle trattative precontrattuali oppure di chi entra in contatto con soggetti che svolgono un'attività di tipo professionale.
Tali rapporti, infatti, più che assoggettati al principio a contenuto generico e negativo del neminem laedere che governa le relazioni tra individui sconosciuti, così come imposto dagli artt. 2043 e ss. c.c., sono caratterizzati dall'esistenza di doveri positivi di comportamento, in capo ad una o ad entrambe le parti, stabiliti dall'ordinamento e operanti a prescindere dalla presenza di un contratto.
La sottoposizione di queste fattispecie nella sfera applicativa della disciplina della responsabilità extracontrattuale ha prodotto, pertanto, problemi di inadeguatezza della tutela offerta, creando un'irragionevole penalizzazione rispetto al caso in cui si faccia valere in giudizio la violazione di un altrettanto specifico obbligo, ma di derivazione contrattuale, con particolare riferimento al tema dell'onere probatorio e della prescrizione dell'azione. Prendendo le mosse da ciò, la dottrina ha sviluppato la teoria del contatto sociale, quale fonte di un'obbligazione di tipo contrattuale.
In Italia, il cammino giurisprudenziale verso l'affermazione della responsabilità da contatto sociale è passato attraverso importanti fasi interpretative che, partendo dal riconoscimento dell'esistenza di obblighi di prestazione connessi al contratto ma non da questo disciplinati (obblighi di protezione, obblighi di protezione in favore del terzo), è approdato all'ammissione della categoria degli obblighi di protezione senza prestazione, cioè dei doveri che gravano su una parte o su entrambe senza che sia necessario, per il loro sorgere, la stipulazione di un contratto.
In questa direzione, si è sostenuto che i rapporti retti dai doveri di comportamento in esame non qualificabili come fonte contrattuale, ma neppure riconducibili alla clausola generale dell'art. 2043 c.c., rientrino, invece, nel tertium genus di fonti delle obbligazioni rappresentato dai «fatti idonei a produrle in conformità con l'ordinamento giuridico» ai sensi dell'art. 1173 c.c..
In particolare, si è detto, il fatto che due soggetti entrino in contatto tra loro è – in presenza di alcune circostanze – fonte di obblighi comportamentali specifici imposti dall'ordinamento (per lo più, declinazione del dovere di agire secondo il metro della diligenza professionale e nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza) quando:
-per un verso, una delle parti di questo contatto (spesso quella dotata di qualifiche professionali) si trova nella posizione di potere incidere nella sfera giuridica dell'altra;
-per l'altro verso, quest'ultima matura, simmetricamente, un oggettivo affidamento circa il rispetto di detti obblighi comportamentali e la correlata tutela degli interessi che quegli obblighi mirano a proteggere. Secondo quanto, infatti, stabilito dalla Cassazione, con la nota sentenza in materia di responsabilità del medico dipendente della struttura ospedaliera nei confronti del paziente, che ha aperto il varco al riconoscimento dell'istituto: «si ammette che le obbligazioni possano sorgere da rapporti contrattuali di fatto, nei casi in cui taluni soggetti entrano in contatto, senza che tale contatto riproduca le note ipotesi negoziali, e pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso» (Cass. civ., sez. III, sent., 22 gennaio 1999, n. 589).
Occorre specificare, tuttavia, che al fine di individuare la responsabilità da contatto sociale la relazione tra le parti deve essere di natura qualificata: non tutti i rapporti, seppur non strettamente riconducibili a quelli tra estranei, conducono al sorgere di una tale obbligazione, ma solo quelli socialmente tipici, cioè i rapporti già sottoposti alla valutazione dell'ordinamento, a seguito della quale sono state enucleate particolari regole di comportamento attivo, con il relativo affidamento della loro osservanza.
In dottrina - anche tenendo conto dell'esempio dell'ordinamento tedesco - la responsabilità da contatto sociale è stata sviluppata prendendo le mosse dai doveri comportamentali durante le trattative contrattuali, mentre la giurisprudenza ha fatto applicazione dell'istituto perlopiù nel caso di rapporti in cui un soggetto svolge una attività di natura professionale, pur in assenza di un contratto di prestazione d'opera.
Del resto, punto dolente della ricostruzione interpretativa appena fornita è proprio l'individuazione di un criterio oggettivo volto a stabilire con certezza quali relazioni qualificate possono generare responsabilità da contatto sociale e quali, invece, seppur più evolute rispetto a quelle tra estranei, non si erigono a fonti di obblighi specifici. Sul problema dell'individuazione di un rapporto qualificato la Cassazione ha da ultimo stabilito che: «non è invero sufficiente, per l'affermazione di una responsabilità contrattuale da "contatto sociale", la sola circostanza di fatto di essere investiti [omissis] da conseguenze riflesse di un'attività svolta su incarico conferito da altri [omissis]. L'applicazione del disposto dell'art. 1218 c.c. oltre i confini propri del contratto ad ogni altra ipotesi in cui un soggetto sia gravato da un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte, si giustifica considerando che quando l'ordinamento impone a determinati soggetti, in ragione della attività (o funzione) esercitata e della specifica professionalità richiesta a tal fine dall'ordinamento stesso, di tenere in determinate situazioni specifici comportamenti, sorgono a carico di quei soggetti, in quelle situazioni previste dalla legge, obblighi (essenzialmente di protezione) nei confronti di tutti coloro che siano titolari degli interessi la cui tutela costituisce la ragione della prescrizione di quelle specifiche condotte. Dire che, in tali situazioni, la responsabilità deriva dal mero "contatto" serve ad evidenziare la peculiarità della fattispecie distinguendola dai casi nei quali la responsabilità contrattuale deriva propriamente da contratto (cioè dall'assunzione volontaria di obblighi di prestazione nei confronti di determinati soggetti), ma non deve far dimenticare che essenziale per la configurabilità della responsabilità in esame è la violazione di obblighi preesistenti di comportamento posti a carico di un soggetto dalla legge per la tutela di specifici interessi di coloro che entrano in contatto con l'attività di quel soggetto, che la legge stessa regola, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità in esame si individui - come da taluni si ritiene - nel riferimento, contenuto nell'art. 1173 c.c., agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico» (Cass. civ., sez. I, sent., 11 luglio 2012, n. 11642).
In assenza di una positivizzazione dell'istituto, la categoria resta legata all'ondivaga interpretazione giurisprudenziale, per lo più ancorata al caso concreto, piuttosto che ad una definizione sistematica. Questa, infatti, è la critica più profonda che viene mossa alla categoria, soprattutto ove in Germania il recepimento dell'istituto sembra aver sugellato il principio per cui in tanto si può parlare di responsabilità da obbligazione in quanto vi sia una base negoziale o normativa che ne disponga il fondamento e il contenuto. Ammettere che esista una fonte ulteriore di responsabilità e lasciare che la giurisprudenza stabilisca quando e come la stessa si debba applicare è, per la dottrina più critica, un'abdicazione del sistema giuridico in favore di componenti extraordinamentali inaccettabile in quanto del tutto rischiosa.
Per un più approfondito inquadramento della relazione qualificata presupposto del contatto sociale in Italia si rimanda, quindi, all'analisi della casistica giurisprudenziale di cui ai paragrafi che seguono.
Come si è anticipato, il riconoscimento dell'esistenza dell'istituto del contatto sociale ha avuto, quale risvolto applicativo, il pregio di assoggettare la violazione degli obblighi scaturenti dalla relazione qualificata alla tutela offerta dalle norme di cui agli artt. 1218 e ss. c.c..
Ciò non solo per motivi di opportunità, ma soprattutto per ragioni sistematiche, in quanto la responsabilità da contatto sociale condivide con la responsabilità contrattuale il presupposto della propria esistenza, la violazione, cioè, di un obbligo prestabilito. Si tratta, pertanto, di un'ipotesi di responsabilità da obbligazione e, come tale, disciplinata dalle norme richiamate.
Giova precisare, infatti, che la responsabilità degli artt. 1218 e ss. c.c. viene impropriamente indicata come responsabilità contrattuale, mentre dovrebbe più rigorosamente parlarsi di responsabilità per violazione di obbligazioni. Tale considerazione discende dall'analisi dell'impianto sistematico del codice civile, che disciplina l'istituto in parola nel titolo I del libro IV, dedicato, appunto, alle obbligazioni in generale e non al contratto in particolare, trattato nel successivo titolo II del medesimo libro. In tale ottica, la responsabilità degli artt. 1218 e ss. c.c. si applica in tutti i casi di violazione di obbligo preesistente, mentre l'impianto degli artt. 2043 e ss. c.c., quale eccezione al principio generale, va applicato unicamente alle obbligazioni nascenti da fatto illecito.
Onere della prova
Si è detto che trattandosi di responsabilità da violazione di obbligazioni preesistenti, le norme di riferimento per la distribuzione degli oneri processuali probatori sono quelle proprie della responsabilità contrattuale.
L'annosa questione di interpretazione delle regole probatorie in materia di contratto a seconda della distinzione tra obbligazioni di mezzi o di risultato, è ormai superata dalla nota sentenza della Cassazione a Sezioni Unite che ha dettato precise regole di riparto delle incombenze probatorie tra attore e convenuto, a cui la giurisprudenza è andata via via uniformandosi (Cass. civ., S.U., sent., 30 ottobre 2001, n. 13533).
Secondo quanto stabilito dalla citata sentenza spetta all'attore l'onere di provare l'esistenza del contratto (e quindi la preesistenza di una fonte di obbligazione) e di allegare il mancato, ritardato o inesatto adempimento, mentre il convenuto dovrà provare, di contro, di aver tempestivamente e diligentemente adempiuto alla prestazione su di lui gravante.
Tanto stabilito, applicando i principi esposti al caso della responsabilità da contatto sociale spetta all'attore provare l'esistenza del contatto sociale con riferimento:
alla relazione qualificata sorta tra le parti,
all'esistenza di obblighi di comportamento attivo imposti dall'ordinamento e gravanti sulla controparte
all'affidamento ingenerato sull'adempimento di tali prescrizioni, anche alla luce dell'interesse perseguito dagli obblighi stessi.
Dopodiché basterà a quest'ultimo allegare l'inadempimento dell'altra parte e fornire la prova in relazione all'an e al quantum del danno subito. Resta a carico del convenuto l'individuazione degli obblighi specifici discendenti dalla sua professionalità: provando di essersi diligentemente uniformato alle regole imposte dall'ordinamento si libererà dalla responsabilità.
Casistica
Responsabilità dei prestatori d'opera professionale
Medico dipendente della struttura ospedaliera nei confronti del paziente
Il terreno che ha visto nascere nella giurisprudenza italiana la categoria in esame è quello della responsabilità del medico dipendente della struttura ospedaliera nei confronti del paziente (v.Responsabilità del medico dipendente di struttura pubblica eResponsabilità del medico dipendente di struttura privata, in Ri.Da.Re.).
In considerazione del fatto che non vi è un contratto che disciplina la relazione tra medico e paziente, esistendo unicamente il rapporto di lavoro tra medico e struttura ospedaliera e il contratto di “spedalità” tra struttura ospedaliera e paziente, la Corte di Cassazione ha ammesso per la prima volta, in relazione al suddetto rapporto medico-paziente, l'esistenza di un contatto qualificato idoneo a far sorgere un'obbligazione, la cui violazione è fonte di responsabilità ex artt. 1218 e ss. c.c. Si veda sul punto la già citata sentenza Cass. civ., sez. III, sent., 22 ottobre 1999, n. 589, confermata da Cass. civ., sez. III, sent., 29 settembre 2004, n. 19564, Cass. civ., sez. III, sent., 19 aprile 2006, n. 9085, Cass. civ., S.U., sent., 11 gennaio 2008, n. 577, da Cass. civ., sez. III, sent., 13 aprile 2007, n. 8826, nonché da Cass. civ., sez. III, sent., 13 luglio 2010, n. 16394, con particolare riferimento all'obbligazione di risultato.
In tema di oneri probatori, applicando i principi affermati in relazione alla responsabilità contrattuale, la Cassazione ha stabilito che spetta al paziente provare l'esistenza del contatto sociale «e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del medico, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato». Per liberarsi da responsabilità il medico deve dimostrare «o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante» (Cass. civ., S.U., sent., 11 gennaio 2008, n. 577, preceduta nello stesso senso da Cass. civ., sez. III, sent., 24 maggio 2006, n. 12362 e da Cass. civ., sez. III, sent., 26 febbraio 2013, n. 4792 confermata, da ultimo, da Cass. civ., sez. III, sent., 30 settembre 2014, n. 20547).
In tema di responsabilità del medico, tuttavia, è intervenuta la L. 8 novembre 2012, n. 189 che ha convertito con modificazioni il D.l. 13 settembre 2012, n. 158 (c.d. Legge Balduzzi) che, all'art. 3, recita: «l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'art. 2043 c.c.. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo». Tale disposizione normativa è oggetto di ampio dibattito sia giurisprudenziale che dottrinale, posto che il preciso riferimento all'art. 2043 c.c. è stato interpretato da alcuni come un superamento legislativo dell'ormai consolidato impianto di responsabilità del medico in termini di contatto sociale. Mentre la Corte di Cassazione sembra aver accantonato la questione in termini di errata formulazione della lettera della norma (vedi Cass. civ., sez. VI, ord., 17 aprile 2014, n. 8940 in cui in parte motiva si legge: «deve, pertanto, ribadirsi che alla norma nessun rilievo può attribuirsi che induca il superamento dell'orientamento tradizionale sulla responsabilità medica come responsabilità da contatto sociale e sulle sue implicazioni»), la giurisprudenza di merito ha creato due orientamenti contrapposti riassumibili, da una parte, nella pronuncia Trib. Rovereto 29 dicembre 2013 e, dall'altra, in quella Trib. Torino del 26 febbraio 2013 e Trib. Milano 17 luglio 2014.
Mediatore
Un caso peculiare dove, da ultimo, la giurisprudenza ha ravvisato l'esistenza di un contatto sociale è la relazione che sorge tra mediatore e soggetti in favore dei quali la sua opera viene prestata, qualora non siano legati da un rapporto di mandato (v. La responsabilità del mediatore, in Ri.Da.Re.).
Secondo la Cassazione «a) l'attività di mediazione prescinde da un sottostante obbligo a carico del mediatore stesso, perché posta in essere in mancanza di un apposito titolo (costituente rapporto subordinato o collaborativo); b) "la messa in relazione" delle parti ai fini della conclusione di un affare è dunque qualificabile come di tipo non negoziale ma giuridica in senso stretto; c) detta attività si collega al disposto di cui all'art. 1173 c.c., in tema di fonti delle obbligazioni, e, specificamente, al derivare queste ultime, oltre che da contratto, da fatto illecito, o fatto, da "ogni altro atto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico" (nel senso, quindi, che l'attività del mediatore è dallo stesso legislatore individuata come fonte del rapporto obbligatorio nel cui ambito sorge il diritto di credito alla provvigione di cui all'art. 1756 c.c.)». La violazione degli obblighi imposti al mediatore dal codice civile e dalla specifica disciplina in materia darà luogo, quindi, a responsabilità contrattuale da contatto sociale (Cass. civ., sez. III, sent., 14 luglio 2009, n. 16382, ma vedi anche più superficialmente Cass. civ., sez. I, sent., 6 marzo 1999, n. 1925 e Cass. civ, sez. III, sent., 22 ottobre 2010, n. 21737).
Avvocato
La Corte di Cassazione ha stabilito che, qualora l'avvocato (v. Responsabilità dell'avvocato, in Ri.Da.Re) spenda la propria qualifica personale al fine di compiere una data prestazione, che esula dal mandato professionale, in favore di un soggetto che, proprio a causa della qualifica ricoperta dal professionista maturi un affidamento sull'esecuzione diligente e deontologicamente corretta della prestazione stessa, sorge tra le parti un contatto sociale qualificato (Cass. civ., S.U., sent., 23 marzo 2005, n. 6216).
Notaio
Una pronuncia del 2002, così come è stato statuito per l'avvocato, ha ritenuto che «non vi è dubbio che l'attività professionale del notaio rientra tra quelle protette e crei un alto affidamento nel soggetto che riceve la prestazione, per cui se il notaio svolge la propria attività professionale in favore di un soggetto, essa deve sempre avere le stesse caratteristiche e qualità, previste dalle norme di varia natura che presiedono alla sua attività, non potendosene prescindere nei casi in cui la prestazione non sia effettuata sulla base di un contratto di prestazione d'opera professionale intellettuale, poiché ciò determina in ogni caso una sua responsabilità». Con ciò si è sottolineato che nell'esercizio della propria professione il notaio risponde contrattualmente per violazione dei doveri di diligenza qualora esista un mandato e per contatto sociale laddove un vero e proprio mandato non sia stato conferito (Cass. civ., sez. III, sent., 23 ottobre 2002, n. 14934).
Advisor
Pur ravvisando l'esistenza di un rapporto qualificato intercorrente tra l'advisor in una operazione di pubblico risparmio e il soggetto che usufruisce delle informazioni raccolte e divulgate da quest'ultimo su mandato di un terzo, la Corte di Cassazione ha recentemente escluso che sorga in capo al consulente una responsabilità da contatto sociale per violazione del generico principio costituzionale di tutela del risparmio. Sul punto, infatti ha stabilito che: «non è invero sufficiente, per l'affermazione di una responsabilità contrattuale da "contatto sociale", la sola circostanza di fatto di essere investiti [omissis] da conseguenze riflesse di un'attività svolta su incarico conferito da altri. L'applicazione del disposto dell'art. 1218 c.c. oltre i confini propri del contratto ad ogni altra ipotesi in cui un soggetto sia gravato da un'obbligazione preesistente, quale che ne sia la fonte, si giustifica considerando che quando l'ordinamento impone a determinati soggetti, in ragione della attività (o funzione) esercitata e della specifica professionalità richiesta a tal fine dall'ordinamento stesso, di tenere in determinate situazioni specifici comportamenti, sorgono a carico di quei soggetti, in quelle situazioni previste dalla legge, obblighi (essenzialmente di protezione) nei confronti di tutti coloro che siano titolari degli interessi la cui tutela costituisce la ragione della prescrizione di quelle specifiche condotte. Dire che, in tali situazioni, la responsabilità deriva dal mero "contatto" serve ad evidenziare la peculiarità della fattispecie distinguendola dai casi nei quali la responsabilità contrattuale deriva propriamente da contratto (cioè dall'assunzione volontaria di obblighi di prestazione nei confronti di determinati soggetti), ma non deve far dimenticare che essenziale per la configurabilità della responsabilità in esame è la violazione di obblighi preesistenti di comportamento posti a carico di un soggetto dalla legge per la tutela di specifici interessi di coloro che entrano in contatto con l'attività di quel soggetto, che la legge stessa regola, tanto più ove il fondamento normativo della responsabilità in esame si individui - come da taluni si ritiene - nel riferimento, contenuto nell'art. 1173 c.c., agli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico» (Cass. civ., sez. I, sent., 11 luglio 2012, n. 11642).
Responsabilità della banca negoziatrice di assegno “non trasferibile”
La giurisprudenza ha individuato una fattispecie di responsabilità da contatto sociale nell'ipotesi di violazione dell'art. 43, R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, in materia di pagamento di assegni. La norma prevede, infatti, la responsabilità di colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso.
La Cassazione sul punto ha stabilito che la banca negoziatrice dell'assegno con clausola di non trasferibilità, qualora abbia pagato in maniera irregolare, risponda per la violazione di obblighi nascenti dal contatto sociale instaurato tra bancario e prenditore (Cass. civ., S.U., sent., 26 giugno 2007, n. 14712).
Responsabilità dell'insegnante nei confronti dell'alunno per il danno autoinferto
In tema di responsabilità dell'insegnante nei confronti dell'alunno per il danno che lo stesso si è autoinferto (v. Responsabilità dei precettori, in Ri.Da.Re.), la Cassazione ha stabilito che trattasi, anche in questo caso, di responsabilità da contatto sociale, stabilendo che: «tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona. Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c., sicché, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile ne' alla scuola ne' all'insegnante» (Cass. civ., S.U., sent., 27 giugno 2002, n. 9346, confermata da Cass. civ., sez. III, sent., 18 novembre 2005, n. 24456; Cass. civ., sez. III, sent., 3 marzo 2010, n. 5067).
Responsabilità dell'ex datore di lavoro
Ipotesi particolare in cui la giurisprudenza ha fatto applicazione della categoria del contatto sociale è quella della responsabilità del datore di lavoro per informazioni inveritiere circa la posizione previdenziale di un ex dipendente. Sul punto la Cassazione ha stabilito che: «il datore di lavoro possiede informazioni concernenti il lavoratore, rilevanti per la posizione previdenziale di questi, che debbono essergli fornite in modo corretto anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Ove ciò non accada ed in conseguenza dell'errore del datore di lavoro successivo alla cessazione del rapporto il lavoratore patisca un pregiudizio alla propria posizione previdenziale, la responsabilità del primo va qualificata come responsabilità da "contatto sociale", in funzione da un lato della posizione qualificata rivestita dall'ex datore di lavoro, quale detentore delle informazioni relative ad un rapporto contrattuale ormai concluso, e dall'altro della tutela costituzionale del lavoratore, garantita dall'art. 35 Cost., con la conseguenza che a tale responsabilità debbono essere applicate le regole dettate, quanto al regime probatorio, dall'art 1218 c.c. in tema di inadempimento contrattuale» (Cass. civ., sez. III, sent., 21 luglio 2011, n. 15992)
Responsabilità della Pubblica Amministrazione per i danni cagionati in conseguenza dell'attività provvedimentale
Una copiosa giurisprudenza amministrativa, ma anche civile, ha statuito che la responsabilità della Pubblica Amministrazione per attività provvedimentale illegittima, con riferimento agli oneri procedimentali imposti dalla riforma attuata dalla L. n. 241/1990, deve essere ricondotta nella categoria della responsabilità da contatto sociale, detta anche da contatto amministrativo (v. Responsabilità della P.A., in Ri.Da.Re.).
Dopo la citata riforma, infatti, la P.A. è tenuta, anche quando agisce iure imperium, all'osservanza di determinate regole pubblicistiche di condotta che non possono essere ridotte al paradigma del neminem laedere. Pertanto, secondo alcune pronunce amministrative «il rapporto tra amministrazione procedente e privato va ricostruito in termini di “contatto sociale”, in ragione della presenza di una fitta rete di obblighi che gravano sull'amministrazione in costanza di un procedimento amministrativo. Situazione quest'ultima che non consente di ricondurre l'illecito dalla stessa commesso al paradigma aquiliano, quanto piuttosto ad un modello che presenta tratti della responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento delle obbligazioni» (si veda sul punto ex multis Cons.
St., sez. VI, sent., 15 aprile 2003, n. 1945
,
Cass. Civ., sez. I, sent.
10 gennaio 2003, n. 157 e più di recente TAR Lazio, sez. III-ter, sent. n. 1527/2007, TAR Veneto, sez. I, sent. n. 625/2009 e Cons. St., sez. V, sent., 27 marzo 2013, n. 1833)
Responsabilità precontrattuale
Uno degli ambiti in cui si è sviluppata maggiormente, a livello internazionale, la teoria del contatto sociale – oggi recepita come detto nel 311 BGB – è sicuramente la responsabilità precontrattuale. Seppur disciplinata all'interno del Titolo II del Libro IV (art. 1337 c.c.) del codice civile dedicata ai contratti, la dottrina tradizionale italiana e la giurisprudenza meno recente collocano la responsabilità del promittente nell'alveo della responsabilità aquiliana, sulla scorta della considerazione secondo cui tra le parti non può dirsi sorto, in fase di trattative, un vicolo contrattuale e che, pertanto, il dovere di comportarsi secondo buona fede, indicato nella citata norma, deve agganciarsi direttamente al generale principio del neminem laedere. Con una sentenza del 2011 la Cassazione per la prima volta statuisce, invece, che il rapporto particolare «che con la trattativa s'istituisce tra le parti, alle quali è normativamente imposto un obbligo di comportamento in buona fede costituisce una fattispecie ben distinta dalla responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., in cui la lesione precede l'instaurazione di un qualsiasi rapporto particolare tra le parti. La violazione di quest'obbligo particolare, dunque, costituisce un caso di responsabilità compreso tra quelli indicati dall'art. 1173 c.c. Per tale ragione, continua la Corte, la responsabilità precontrattuale, nella quale v'è certamente un contatto sociale qualificato dallo stesso legislatore, con la previsione specifica di un obbligo di buona fede, presenta tutti gli elementi dell'art. 1173 c.c., sicché deve ritenersi che l'attore, il quale intenda far valere tale responsabilità, abbia l'onere di provare solo l'antigiuridicità del comportamento (la violazione dell'obbligo di buona fede) e il danno» (si veda sul punto: Cass. civ., sez. I, sent., 20 dicembre 2011, n. 27648)