Responsabilità civile
RIDARE

Padroni e committenti (responsabilità dei)

27 Maggio 2014

La fattispecie di responsabilità definita “dei padroni e dei committenti” è prevista dall'art. 2049 c.c., che pone a carico degli stessi una responsabilità risarcitoria per i danni cagionati a terzi dai rispettivi “domestici e commessi” nell'esercizio delle incombenze loro assegnate. La fattispecie rientra nel genus delle ipotesi specifiche di responsabilità extracontrattuale disciplinate nel titolo IX “Dei fatti illeciti” (artt. 2043 c.c. e ss.). Si tratta di una responsabilità per un fatto illecito altrui (c.d. responsabilità indiretta), che si aggiunge a quella del danneggiante e sorge in capo a chi si avvale dell'attività di quest'ultimo, in ossequio al principio cuius commoda eius et incommoda (Cass. civ., Sez. III, 26 giugno1998, n. 6341).

Nozione

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

La fattispecie di responsabilità definita “dei padroni e dei committenti” è prevista dall'art. 2049 c.c., che pone a carico degli stessi una responsabilità risarcitoria per i danni cagionati a terzi dai rispettivi “domestici e commessi” nell'esercizio delle incombenze loro assegnate.

La fattispecie rientra nel genus delle ipotesi specifiche di responsabilità extracontrattuale disciplinate nel titolo IX “Dei fatti illeciti” (artt. 2043 c.c. e ss.).

Si tratta di una responsabilità per un fatto illecito altrui (c.d. responsabilità indiretta), che si aggiunge a quella del danneggiante e sorge in capo a chi si avvale dell'attività di quest'ultimo, in ossequio al principio cuius commoda eius et incommoda (Cass. civ., Sez. III, 26 giugno1998, n. 6341).

Primo e fondamentale presupposto per l'applicazione dell'art. 2049 c.c. è dunque l'esistenza di un danno causato da un fatto illecito del “commesso” (Cass. civ., Sez. III, sent. 6 marzo 2008, n. 6033; Cass. civ., Sez. III, sent. 20 giugno 2001, n. 8381), di cui il “committente” (ricorrendo gli ulteriori presupposti di seguito descritti) deve ritenersi responsabile in solido col danneggiante.

La natura solidale di tale responsabilità rende applicabile la previsione di cui all'art. 2055, comma 2,c.c.; sicché, una volta risarcito il danno al terzo, il committente vanterà nei confronti del proprio commesso un'azione di regresso per l'intera somma pagata al danneggiato (salve le debite riduzioni in caso di concorso nella produzione dell'evento dannoso) (Cass. civ., Sez. III, sent. 8 ottobre 2008, n. 24802).

Elemento oggettivo

Affinché un soggetto possa ritenersi responsabile ex art. 2049 c.c. dei danni cagionati da fatto illecito altrui, è necessario che sia legato al danneggiante da un “rapporto di preposizione” (Cass.

civ., Sez.

III, sent. 16

marzo

2010,

n. 6325

;

Cass. civ., Sez. III, sent.

6 marzo 2008, n. 6033; Cass. civ., Sez. III, sent. 20 giugno 2001, n. 8381) e che quest'ultimo abbia realizzato il fatto illecito nell'esercizio delle incombenze a lui affidate.

Il primo requisito deve ritenersi soddisfatto, secondo l'interpretazione giurisprudenziale, non solo quando fra il committente e il danneggiante sussista un rapporto di lavoro subordinato, ma ogni volta in cui, anche solo temporaneamente o occasionalmente, il danneggiante abbia agito per conto del committente e sotto la vigilanza di quest'ultimo (Cass. civ., Sez.lav., 22 giugno2012, n. 10421; Cass. civ., Sez. III, sent.

22

marzo

2011, n. 6528

; Cass. civ., Sez. III, sent. 09 novembre 2005, n. 2005

n. 21685

;

Cass.

civ., Sez.

III, sent.

19 dicembre 2003, n. 19553).

Quanto al secondo requisito, la giurisprudenza ritiene che fra il fatto dannoso del dipendente o del commesso e le mansioni a questi assegnate dal datore di lavoro o committente debba esistere un collegamento, che non deve assumere necessariamente i connotati di un nesso di causalità, ma può concretizzarsi anche solo in un rapporto di “occasionalità necessaria”: si ritiene così sufficiente che “l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso” (Cass. civ., Sez.

III, sent. 14

gennaio

2014, n. 531

;

Cass.

civ., Sez. III, sent. 31

agosto

2009,

n. 18926

;

Cass. civ., Sez. III, sent. 12

marzo

2008, n. 6632

;

Cass. civ., Sez. III, sent. 6

marzo

2008, n. 6033

;

Cass.

civ., Sez. III, sent.

29

settembre

2005

,

n. 19167

;

Cass.

civ., Sez. lav.,

sent.

6 aprile 2002, n. 4951; Cass. civ., Sez. III, 26 giugno 1998, n. 6341). Ne consegue la sussistenza della responsabilità ex art. 2049 c.c. in capo al datore di lavoro o committente anche allorché il danneggiante, agendo nell'ambito dell'incarico a lui affidato, abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze o in violazione delle direttive a lui impartite, “sempre che il dipendente abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie, cui il datore di lavoro non sia, neppure mediatamente, interessato o compartecipe” (Cass.

civ., Sez.

III, sent. 14

gennaio

2014, n. 531

;

Cass. civ., Sez. III, sent. 26

gennaio

2010, n. 1530

;

Cass. civ., Sez. III, sent. 12

marzo

2008

, n. 6632

;

Cass. civ., Sez. III, sent.

6 marzo 2008, n. 6033; Cass. civ., Sez. III, 26 giugno 1998, n. 6341).

Elemento soggettivo

L'art. 2049 c.c. configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che non ammette prova liberatoria. Per la giurisprudenza il preponente è infatti tenuto a rispondere dei danni cagionati dal preposto anche allorché nessuna colpa possa essergli addebitata, né sotto il profilo della “culpa in eligendo” (ossia nella scelta del preposto), né sotto quello della “culpa in vigilando” (ossia nel controllo del suo operato) (Cass. civ., Sez. III,16 marzo 2010 n. 6325; Cass. civ., Sez. III, 31 agosto 2009, n. 18926; Cass. civ., Sez. III, sent. 6 marzo 2008 n. 6033Cass. civ., Sez. III, sent. 20 giugno 2001, n. 8381; Cass. civ. Sez. III, sent. 29 agosto 1995, n. 9100). Tali profili di colpa consentono semmai di ravvisare una responsabilità ex art. 2049 c.c. in presenza di rapporti contrattuali che di regola la escludono (ad es. in capo all'appaltante per i danni cagionati da fatto illecito dell'appaltore.

Se la responsabilità del preponente ha natura oggettiva, non può tuttavia definirsi tale la responsabilità del preposto: l'art. 2049 c.c. presuppone infatti un illecito colpevole dell'autore immediato del danno. Perché sussista una responsabilità in capo al committente si rende quindi necessaria la colpa del commesso (Cass. civ., Sez. III, sent. 24 maggio 2006, n. 12362Cass. civ., Sez. III, sent. 8 maggio 2001, n. 6386Cass. civ., Sez. III, sent.6 maggio 1986, n. 3025).

Nesso di causalità

Ai fini della sussistenza di una responsabilità ex art. 2049 c.c., il nesso di causalità, inteso come rapporto eziologico fra fatto illecito ed evento lesivo, deve essere valutato con riferimento alla condotta del preposto. Il nesso di causalità fra l'evento lesivo e la condotta del preposto costituisce infatti un presupposto della responsabilità di quest'ultimo, che è a sua volta presupposto della responsabilità solidale ex art. 2049 c.c. del preponente.

In un'accezione più ampia, un nesso di causalità (sia pure attenuato) è quello che deve legare il fatto illecito imputabile al commesso con le mansioni a lui assegnate dal preponente.

Onere della prova

In ossequio al criterio generale fissato dall'art. 2697 c.c., colui che, danneggiato da un fatto illecito imputabile al commesso o dipendente di un determinato soggetto, intenda fare accertare in giudizio la responsabilità solidale di quest'ultimo per il danno subito, è chiamato a provare i presupposti che fondano tale responsabilità ex art. 2049 c.c.

L'attore dovrà quindi provare anzitutto, secondo lo schema generale della responsabilità civile ex art. 2043 c.c., il fatto illecito del preposto, il danno subito ed il nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso, nonché il dolo o la colpa del danneggiante.

Graverà inoltre sull'attore l'onere di provare la sussistenza di un rapporto di preposizione fra danneggiante e relativo committente, nonché la connessione esistente fra il fatto illecito imputabile al commesso e le incombenze allo stesso affidate dal preponente.

Tuttavia, una volta che il danneggiato sia riuscito a dimostrare l'inserimento del danneggiante in un'organizzazione del lavoro predisposta da un terzo, sarà quest'ultimo, per essere esentato da responsabilità, a dover provare che il danneggiante non stesse agendo nel suo interesse e all'interno della sua sfera di controllo (il che è peraltro impossibile qualora i due siano legati da un rapporto di lavoro subordinato). Parimenti, qualora il danneggiato sia riuscito a dimostrare che il fatto illecito è stato compiuto dal danneggiante nell'ambito dell'incarico a lui affidato, il preponente potrà esimersi da responsabilità solo provando l'assoluta estraneità delle finalità perseguite dal commesso mediante la condotta illecita rispetto a quelle per cui lo stesso era stato adibito a determinate mansioni, senza che sia sufficiente a tal fine la violazione delle direttive ricevute.

Il committente non potrà in ogni caso esimersi da responsabilità dimostrando la propria assenza di colpa, giacché, come chiarito in precedenza, quella prevista dall'art. 2049 c.c. è una responsabilità oggettiva.

Aspetti processuali

In ragione della natura solidale della loro responsabilità, il danneggiante e il relativo committente non sono litisconsorti necessari nel processo instaurato dal danneggiato: quest'ultimo potrà dunque agire per ottenere il risarcimento dei pregiudizi subiti anche solo nei confronti di uno dei due (Cass. civ., Sez. lav., sent. 16 marzo 1990, n. 2154).Tuttavia, ove il danneggiato abbia convenuto in giudizio entrambi i soggetti e la causa sia stata definita con sentenza, potrà verificarsi un “rapporto di subordinazione logica o di pregiudizialità nella fase dell'impugnazione”, tale da “da(re) luogo alla necessaria integrazione del contraddittorio nei confronti del coobbligato non appellante”. E' quanto avviene, secondo la Suprema Corte, laddove il preposto impugni la sentenza che abbia accertato la responsabilità risarcitoria sua e (ai sensi dell'art. 2049 c.c.) del preponente: se la causa promossa nei confronti del preposto non venisse ritenuta inscindibile rispetto a quella promossa nei confronti del preponente, quest'ultimo potrebbe infatti trovarsi a rispondere da solo (in forza di sentenza passata in giudicato) del fatto di un soggetto mandato assolto dalla sentenza del giudizio di impugnazione (Cass. civ., Sez. III, sent. 8 febbraio 2012, n. 1771;  Cass. civ., Sez. III, sent. 14 luglio 2009, n. 16391).

Il giudizio deve essere instaurato in base ai normali criteri di competenza per valore e territorio, ai sensi degli artt. 7-40 c.p.c., salva l'ipotesi in cui la causa rientri fra quelle indicate all'art. 409 c.p.c. (si tenga conto a tal fine che, secondo l'interpretazione giurisprudenziale sono controversie relative a rapporti di lavoro subordinato “tutte le controversie in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto, nel senso che questo, pur non costituendo la causa petendi di tale pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario, e non già meramente occasionale, della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale, essendo irrilevante l'eventuale non coincidenza delle parti in causa con quelle del rapporto di lavoro”: ex plurimis, Cass. civ., Sez. lav., 8 ottobre 2012, n. 17092). In quest'ultimo caso, la causa andrà promossa con ricorso ex art. 414 c.p.c. dinanzi al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro, nel rispetto dei criteri di competenza per territorio fissati dall'art. 413 c.p.c.

L'attore dovrà: in primo luogo enucleare la causa petendi ed è altresì opportuno il richiamo espresso dell'art. 2049 c.c.; allegare tutti gli elementi atti a fondare la responsabilità del commesso (fatto, illeceità del fatto, nesso di causalità fra fatto illecito e danno, dolo o colpa del danneggiante), l'esistenza del rapporto di preposizione fra commesso e committente e la connessione fra il fatto illecito e le incombenze assegnate al commesso, nonché tutti i fatti da cui possa emergere la prova del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Per converso, il convenuto dovrà, già nel primo atto difensivo: negare (ove possibile) la sussistenza del rapporto di preposizione (deducendo in particolare gli elementi da cui possa evincersi che il danneggiante non stesse operando per suo conto e sotto la sua vigilanza), negare il fatto che il preposto abbia commesso il fatto illecito nell'esercizio delle proprie incombenze, nonché svolgere difese tese ad escludere la sussistenza di una responsabilità risarcitoria in capo al commesso e l'esistenza delle voci di danno indicate dall'attore.

Casistica

Distacco

In caso di distacco del dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità del rapporto di lavoro, è responsabile, ai sensi dell'art. 2049 c.c., dei fatti illeciti commessi dal dipendente distaccato, atteso che il distacco presuppone uno specifico interesse del datore di lavoro all'esecuzione della prestazione presso il terzo, con conseguente permanenza della responsabilità, secondo il principio del rischio di impresa, per i fatti illeciti derivati dallo svolgimento della prestazione stessa (Cass. civ., Sez. lav., sent. 11 gennaio 2010, n. 215)

Appalto

  • L'appaltatore, poiché nella esecuzione dei lavori appaltati opera in autonomia, con propria organizzazione ed apprestando i mezzi a ciò necessari, è, di regola, esclusivo responsabile dei danni cagionati a terzi nella esecuzione dell'opera, salva (a parte l'ipotesi di una culpa in eligendo) l'esclusiva responsabilità del committente, se questi si sia ingerito nei lavori con direttive vincolanti, che abbiano ridotto l'appaltatore al rango di nudus minister, ovvero la sua corresponsabilità, qualora si sia ingerito con direttive che soltanto riducano l'autonomia dell'appaltatore. Ne consegue che non sussiste responsabilità del committente ove non sia accertato che questi, avendo in forza del contratto di appalto la possibilità di impartire prescrizioni nell'esecuzione dei lavori o di intervenire per chiedere il rispetto della normativa di sicurezza, se ne sia avvalso per imporre particolari modalità di esecuzione dei lavori o particolari accorgimenti antinfortunistici che siano stati causa (diretta o indiretta) del sinistro. (Principio applicato a fattispecie di appalto di opere pubbliche, sul presupposto che anche in tale ipotesi l'appaltatore, sebbene in limiti più ristretti rispetto all'appalto di opera privata — in ragione dell'obbligatorietà della nomina del direttore dei lavori e della continua ingerenza dell'amministrazione appaltante — conservi margini di autonomia) (Cass. civ., Sez. III, sent. 20 settembre 2011, n. 19132).
  • Nel contratto di appalto a carico del committente è configurabile la corresponsabilità in caso di specifiche violazioni di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c. ovvero in caso di una riferibilità dell'evento al committente stesso per "culpa in eligendo" per essere stata affidata l'opera a un'impresa assolutamente inidonea, ovvero quando l'appaltatore, in base ai patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente e abbia agito quale "nudus minister" del committente medesimo attuandone specifiche direttive, ovvero ancora quando il committente si sia di fatto ingerito nell'esecuzione del lavoro materialmente cooperando con l'impresa appaltatrice palesemente priva delle necessarie capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione, senza il pericolo di arrecare danni a terzi. La corresponsabilità del committente verso i terzi non può essere fatta discendere dalla mancata sorveglianza dell'attività dell'appaltatore ovvero dalla mancata verifica dell'idoneità delle misure adottate dall'appaltatore a tutela dei terzi; il committente, intanto può essere chiamato a rispondere dei danni derivanti dalla cosa di sua proprietà in quanto, per sopravvenute circostanze di cui sia venuto a conoscenza, come l'abbandono del cantiere o la sospensione dei lavori da parte dell' appaltatore, sorga a carico del medesimo il dovere di apprestare quelle precauzioni che il proprietario della cosa deve adottare per evitare che dal bene derivino pregiudizi a terzi (Cass. civ., Sez. II, sent. 15 giugno 2010, n. 14443).
  • Per i danni patiti da terzi nell'esecuzione di un contratto di appalto una corresponsabilità del committente può verificarsi solo in due casi: o quando l'opera sia stata affidata a impresa manifestamente inidonea (cosiddetta "culpa in eligendo"), ovvero quando la condotta causativa del danno sia stata imposta all'appaltatore dal committente stesso, attraverso rigide e inderogabili direttive. In particolare un dovere di controllo, di origine non contrattuale, gravante sul committente, al fine di evitare che dall'opera derivino lesioni al principio del "neminem laedere" può essere configurato solo con riferimento alla finalità di evitare specifiche violazioni di regole di cautela, e non anche al fine di realizzare una generale supervisione da parte del committente sulla conformità del comportamento dell'appaltatore al principio-base della responsabilità civile. La funzione di controllo, infatti, è assimilabile a un potere che può essere riconosciuto nei rapporti interni tra committente e appaltatore, in correlazione alla riduzione o all'eliminazione della sfera di autonomia decisionale del secondo e solo eccezionalmente può assumere rilevanza nei confronti dei terzi (Cass. civ., Sez. III, sent. 27 maggio 2010, n. 12971).
  • Se l'ipotesi normale, in caso di danni a terzi, provocati nell'esecuzione di un contratto di appalto, è quella della responsabilità esclusiva dell'appaltatore, deve ritenersi che la dimostrazione della sussistenza delle circostanze che comportino la deroga al principio della responsabilità del solo appaltatore deve far carico al terzo danneggiato (che voglia agire direttamente nei confronti del committente) ovvero anche dell'appaltatore (che voglia essere esonerato da tale responsabilità per essere stato un semplice esecutore degli ordini del committente) (Cass. civ., Sez. III, sent. 27 maggio 2010, n. 12971).
  • Qualora si invochi la responsabilità del committente, per danni cagionati a terzi dall'appaltatore nell'esecuzione del contratto sotto il profilo della "culpa in eligendo", questa ultima ricorre qualora il compimento dell'opera o del servizio siano stati affidati a un'impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi. Esulano, quindi, dal concetto in questione profili di generica garanzia patrimoniale, quali, ad esempio, l'asserita inaffidabilità dell'impresa sotto il profilo patrimoniale (Cass. civ., Sez. III, sent. 27 maggio 2010, n. 12971).
  • In tema di subappalto, la previsione, in via di principio, della responsabilità del subappaltatore per danni arrecati a terzi non esclude quella del committente che abbia esercitato una concreta ingerenza sull'attività del subappaltatore al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore (Cass. civ., Sez. III, sent. 14 gennaio 2014, n. 531).
  • In tema di appalto è di regola l'appaltatore che risponde dei danni provocati a terzi ed eventualmente anche dell'inosservanza della legge penale durante l'esecuzione del contratto, attesa l'autonomia con cui egli svolge la sua attività nell'esecuzione dell'opera o del servizio appaltato, organizzandone i mezzi necessari, curandone le modalità ed obbligandosi a fornire alla controparte l'opera o il servizio cui si era obbligato, mentre il controllo e la sorveglianza del committente si limitano all'accertamento e alla verifica della corrispondenza dell'opera o del servizio affidato all'appaltatore con quanto costituisce l'oggetto del contratto. In tale contesto, pertanto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile solo allorquando si dimostri che il fatto lesivo sia stato commesso dall'appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso - tanto che l'appaltatore finisca per agire quale nudus minister privo dell'autonomia che normalmente gli compete - o allorquando risultino presenti gli estremi della culpa in eligendo, il che si verifica se il compimento dell'opera o del servizio sono stati affidati ad un'impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi. Tali principi valgono anche in materia di subappalto perché il subcommittente risponde nei confronti dei terzi in luogo del subappaltatore solo nel caso in cui - esorbitando dalla mera sorveglianza sull'opera oggetto del contratto ai fini di pervenire alla corrispondenza tra quanto pattuito e quanto viene ad eseguirsi - abbia esercitato una ingerenza sull'attività di quest'ultimo così penetrante da ridurlo al ruolo di mero esecutore (Cass. civ., Sez. lav., sent. 2 marzo 2005, n. 4361).

Agenzia

  • Sussiste la responsabilità ex art. 2049 c.c. della società assicuratrice per l'attività illecita posta in essere dall'agente, munito del potere di rappresentanza, che sia stata agevolata o resa possibile dalle incombenze demandategli e su cui detta società aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza dei giudici di merito che avevano affermato la responsabilità della società assicuratrice per i danni subiti dall'attore per il furto della sua auto in Moldavia, nonostante tale rischio fosse escluso dalla polizza, sull'assunto che l'assicurato era stato in buona fede indotto dall'agente assicurativo a credere ricompresso nella copertura assicurativa il suddetto rischio) (Cass. civ., sez. III, sent. 11 febbraio 2010, n. 3095).
  • Sussiste la responsabilità ex art. 2049 c.c. della compagnia assicuratrice per l'attività illecita posta in essere dall'agente, ancorché privo del potere di rappresentanza, che sia stata agevolata o resa possibile dalle incombenze demandategli e su cui la medesima aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza. (Principio affermato con riferimento a polizze di assicurazione sulla vita stipulate da agente - con rilascio di attestazione di copertura provvisoria, incasso del premio, successiva consegna di ricevuta e della polizza definitiva - di cui la compagnia assicuratrice preponente si era successivamente dichiarata all'oscuro, negando la sussistenza del rapporto contrattuale) (Cass. civ., Sez. III, sent. 22 giugno 2007, n. 14578).
  • In tema di responsabilità dei padroni e committenti, ai sensi dell'art. 2049 c.c., con riferimento al contratto di agenzia, l'attribuzione all'agente della facoltà di riscuotere i premi secondo la previsione dell'art. 1744 c.c. presuppone un potere rappresentativo o, comunque, un'indicazione al creditore della persona autorizzata a ricevere il pagamento a norma dell'art. 1188 c.c., che instaura quel rapporto di commissione idoneo, a norma del suddetto articolo 2049 c.c., a far sorgere la responsabilità del soggetto che ha conferito l'incarico per il fatto illecito compiuto dall'incaricato nell'esercizio dell'incombenza affidatagli. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che, avendo accertato che l'agente era munito del potere di rappresentanza che lo abilitava direttamente alla stipula delle polizze ed alla riscossione dei relativi premi, aveva accolto la domanda, proposta nei confronti della compagnia di assicurazioni, di restituzione delle somme pagate per una polizza vita stipulata con l'agente di zona, dichiarata falsa dalla medesima società di assicurazioni) (Cass. civ., Sez. III, sent. 24 gennaio 2007, n. 1516).

Intermediazione mobiliare

  • La responsabilità solidale della società di intermediazione mobiliare per i danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari va esclusa allorquando la condotta del danneggiato presenti connotati di "anomalia", vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, palesata da elementi presuntivi, quali ad esempio il numero o la ripetizione delle operazioni poste in essere con modalità irregolari, il valore complessivo delle operazioni, l'esperienza acquisita nell'investimento di prodotti finanziari, la conoscenza del complesso "iter" funzionale alla sottoscrizione di programmi di investimento e le sue complessive condizioni culturali e socio-economiche. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che ha escluso la corresponsabilità della banca nell'attività illecita svolta da un consulente finanziario, il quale operava in borsa per conto dei propri clienti senza alcun vincolo di mandato, utilizzando un conto corrente cointestato ovvero servendosi dei codici di accesso ai servizi di banca "on line" consegnatigli dagli stessi clienti, a fronte del riconoscimento di un compenso determinato al di fuori del sistema delle commissioni bancarie d'uso per operazioni similari) (Cass. civ. Sez. I, sent. 13 dicembre 2013, n. 27925).
  • La società di intermediazione mobiliare risponde a titolo oggettivo dei danni causati ai risparmiatori dai propri preposti, sulla base dell'esistenza del solo nesso di occasionalità necessaria tra l'attività del promotore finanziario e l'illecito, a prescindere da qualsiasi indagine sullo stato soggettivo di dolo o colpa della preponente, ed a nulla rilevando che la condotta truffaldina del promotore abbia avuto inizio prima ancora del sorgere del rapporto di preposizione tra lo stesso e la Sim (Cass. civ., Sez. III, sent. 19 luglio 2012, n. 12448).

Pubblica amministrazione

La p.a. risponde del fatto illecito dei propri dipendenti tutte le volte che tra la condotta causativa del danno e le funzioni esercitate dal dipendente esista un nesso di occasionalità necessaria, e quest'ultimo sussiste tutte le volte che il pubblico dipendente non abbia agito come semplice privato per fini esclusivamente personali e del tutto estranei all'Amministrazione, ma abbia tenuto una condotta anche solo indirettamente ricollegabile alle attribuzioni proprie dell'agente. (In applicazione di tale principio. la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale aveva escluso il suddetto nesso di occasionalità necessaria in un caso in cui un agente della polizia penitenziaria, mostrando ai colleghi il funzionamento di una pistola d'ordinanza all'interno dell'alloggio di servizio, aveva fatto inavvertitamente partire un colpo ferendo uno dei colleghi) (Cass. civ., Sez. III, sent. 29 dicembre 2011, n. 29727).

Associazioni sportive

Nell'esercizio di attività sportiva a livello professionistico, le società sportive sono tenute a tutelare la salute degli atleti sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psico-fisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie, potendo essere chiamate a rispondere in base all'art. 2049 c.c. dell'operato dei propri medici sportivi e del personale. (Nella specie la S.C. ha rigettato il ricorso presentato da un'associazione sportiva, condannata in relazione al decesso di un atleta per malattia cardiaca già preesistente al momento dell'inizio della competizione, per non aver inserito nel regolamento di un torneo calcistico dilettantistico l'obbligo preventivo di visita medica). (Cass. civ. Sez. III, sent. 13 luglio 2011, n. 15394).

Mezzi di comunicazione (mass media)

  • L'affidamento, da parte di un'emittente televisiva, della conduzione di una trasmissione di commento all'attualità politica e sociale a una persona ben nota per la mancanza di remore nella manifestazione del pensiero, al fine di capitalizzarne l'innegabile attrattiva in termini di audience, traducendosi nella messa in onda di una trasmissione-spettacolo, centrata sui dati caratteriali di un personaggio politico capace di "bucare lo schermo", pur se a rischio dell'onore e della reputazione altrui, comporta a carico dell'emittente la responsabilità di cui all'art. 2049 c.c. per i danni arrecati ai terzi, non richiedendosi, ai fini della configurabilità del rapporto di preposizione, un vincolo di dipendenza, ma essendo sufficiente anche una mera collaborazione od ausiliarità del preposto, nel quadro dell'organizzazione e delle finalità dell'impresa gestita dal preponente, e prescindendosi dalla colpa del preponente, in quanto la responsabilità è imputata a titolo oggettivo, avendo come suo presupposto la consapevole accettazione dei rischi insiti in quella particolare scelta imprenditoriale (Cass. civ. Sez. III, sent. 16 marzo 2010, n. 6325).
  • La società controllante, la quale detenga una partecipazione in altra società di capitali che eserciti l'attività di editore di una pubblicazione periodica, non può essere considerata per ciò solo proprietaria della pubblicazione e non risponde, pertanto, per gli illeciti commessi col mezzo della stampa (nella specie diffamazione) quale civilmente responsabile in solido con gli autori del reato e l'editore (Cass. civ. Sez. III, sent. 15 dicembre 2011, n. 27002).

Danno cagionato da più soggetti (fra cui il commesso)

  • La responsabilità per fatto altrui di cui all'art. 2049 c.c. espone il padrone od il committente, oltre che all'obbligo risarcitorio verso il danneggiato, anche all'azione di regresso di cui all'art. 2055, comma 2, c.c. proposta dai corresponsabili solidali del commesso, a nulla rilevando che tale responsabilità scaturisca direttamente dalla legge e non dal fatto illecito, trattandosi di regresso nella misura determinata dalla gravità della colpa del domestico o commesso (Cass. civ. Sez. III, sent. 27 luglio 2011, n. 16417).
  • Nel caso di danno sofferto dallo stesso committente per effetto del concorso di azioni del commesso e di altro soggetto, la responsabilità di quest'ultimo per il risarcimento risulta limitata dal concorso nella produzione dell'evento, con la conseguenza che il danneggiato-committente risponde del fatto del coautore del danno, che è un suo dipendente, senza poterne attribuire quella parte di responsabilità che si ricolleghi alla sua condotta a carico del terzo concorrente nell'evento lesivo. Il principio generale stabilito dall'art. 2049 c.c. è applicabile, infatti, oltre che al caso di danno prodotto a terzi, anche al pregiudizio subito dallo stesso committente che sia derivato dal concorso di azioni del commesso e di altri soggetti (Cass. civ., Sez. 8 aprile 2009, n. 8516).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario