Responsabilità civile
RIDARE

Precettori (responsabilità dei)

15 Aprile 2014

La responsabilità dei precettori è disciplinata dall'art. 2048 comma 2 c.c. che prevede che i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto. La fattispecie ha per oggetto l'obbligazione solidale che sorge per il fatto illecito di persona imputabile con soggetti che hanno sulla stessa – sia pure a titolo diverso – un dovere di sorveglianza. Precettore, dal latino praeceptor, indica innanzitutto i maestri e gli insegnanti in genere, ai quali l'allievo è affidato per ragioni di educazione ed istruzione, sia nell'ambito di una struttura scolastica sia in virtù di un autonomo rapporto privato. La disposizione in parola sancisce la responsabilità dei precettori per i fatti illeciti commessi dai minori sul presupposto che questi abbiano la capacità di intendere e volere (Cass. civ., n. 5122/1979). Requisito essenziale per l'applicazione dell'art.2048 c.c. è che l'affidamento del minore al precettore abbia carattere continuativo, se pur limitato ad alcune ore del giorno o della settimana, e non sia pertanto meramente saltuario (Cass. civ., n. 11241/2003).

Nozione

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

La responsabilità dei precettori è disciplinata dall'art. 2048 comma 2 c.c. che prevede che i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.

Le persone indicate sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.

La fattispecie ha per oggetto l'obbligazione solidale che sorge per il fatto illecito di persona imputabile con soggetti che hanno sulla stessa – sia pure a titolo diverso – un dovere di sorveglianza.

Precettore, dal latino praeceptor, indica innanzitutto i maestri e gli insegnanti in genere, ai quali l'allievo è affidato per ragioni di educazione ed istruzione, sia nell'ambito di una struttura scolastica sia in virtù di un autonomo rapporto privato.

La disposizione in parola sancisce la responsabilità dei precettori per i fatti illeciti commessi dai minori sul presupposto che questi abbiano la capacità di intendere e volere (Cass. civ., n. 5122/1979).

Requisito essenziale per l'applicazione dell'art. 2048 c.c. è che l'affidamento del minore al precettore abbia carattere continuativo, se pur limitato ad alcune ore del giorno o della settimana, e non sia pertanto meramente saltuario (Cass. civ., n. 11241/2003).

Elemento oggettivo e qualità dell'agente

Si discute se la responsabilità dei precettori possa essere configurata soltanto se gli allievi sono minori, in quanto la formulazione del secondo comma della norma diverge da quella del primo nel quale la minore età dei figli o dei soggetti sui quali va esercitata la tutela è chiaramente espressa.

La questione è rilevante poiché a seconda della soluzione adottata si potrebbero ritenere responsabili anche i docenti universitari o gli insegnanti di corsi di formazione per il personale di aziende.

L'interpretazione che sembra più coerente con il sistema legislativo che prevede la soglia della maggiore età a 18 anni, è di escludere la responsabilità dei precettori se i soggetti direttamente responsabili sono maggiorenni; il mancato riferimento ai minori nel secondo comma dell'art. 2048 c.c. non costituisce un'eccezione rispetto al primo comma, semmai si ritiene che la disciplina riguardante i precettori debba essere coordinata con quella dei genitori dalla quale storicamente è derivata.

La responsabilità dell'insegnante per il fatto illecito dei suoi allievi prevista dalla norma si basa su una colpa presunta, cioè sulla presunzione di negligente adempimento dell'obbligo di sorveglianza degli allievi ed è quindi una responsabilità per colpa propria (presunta) e per fatto altrui (Cass. civ., n.8390/1995).

Collegandosi alla violazione di un preciso dovere, si tratta di una responsabilità diretta e discende pertanto da un proprio comportamento: si parla al riguardo di culpa in vigilando la quale è presunta solo iuris tantum dall'ordinamento, ammettendosi la prova liberatoria di non aver potuto impedire il fatto.

È una responsabilità che può essere effettivamente teorizzata in quanto l'obbligo (o il dovere) di vigilanza è facilmente ricollegabile ad un comportamento materiale ed uno dei metri con il quale valutare se la vigilanza è stata sufficiente o meno, è quello di considerare l'educazione ricevuta dal minore da parte del precettore, tuttavia senza investire l'intero sistema educativo, come al contrario si verifica per la responsabilità dei genitori.

La presunzione di responsabilità a carico dei precettori in caso di danno cagionato da fatto illecito dei loro allievi può essere superata soltanto con la dimostrazione di aver esercitato la sorveglianza sugli stessi con una diligenza diretta ad impedire il fatto, cioè quel grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere (Cass. civ., n.318/1990).

Nondimeno la stessa giurisprudenza ritiene che il metro con cui esercitare la sorveglianza non debba essere sempre lo stesso.

Infatti, il dovere di vigilanza imposto ai docenti dal secondo comma dell'art. 2048 c.c. non ha carattere assoluto, bensì relativo, dovendosi correlare il contenuto e l'esercizio in modo diversamente proporzionale all'età ed al normale grado di maturazione dell'allievo, in modo che, con l'avvicinamento di costoro all'età di pieno discernimento, l'espletamento di tale dovere non richiede la continua presenza dell'insegnante, purché non manchino le più elementari misure organizzative dirette a mantenere la disciplina tra gli allievi (Cass. civ., n.6937/1993; Cass. civ., 9542/2009).

Se l'insegnante è dipendente della Pubblica Amministrazione la responsabilità che fa a lui capo ex art. 2048 c.c., risale direttamente alla stessa in applicazione dell'art. 61 l. n. 312/1980, come meglio specificato in seguito, nel paragrafo riguardante la responsabilità degli insegnanti della scuola pubblica.

Per quanto riguarda l'insegnante di scuola privata, ovviamente non opera l'art. 61 l. n. 312/1980.

Ne consegue che sussiste la responsabilità indiretta dell'istituto scolastico con il quale l'insegnante intrattiene il rapporto di lavoro, responsabilità che trae fondamento dalla rigorosa previsione dell'art. 2049 c.c. e non ammette prova liberatoria da parte del datore di lavoro, sul quale grava il rischio di impresa.

Concorrono pertanto le responsabilità di cui agli artt. 2043,2048 e 1218 c.c., con eventuale possibilità di rivalsa nel caso di dolo o colpa grave dell'insegnante.

Elemento soggettivo

L'elemento psicologico della responsabilità diretta ed esclusiva del sorvegliante è, secondo la dottrina (Franzoni, Fatti illeciti, Zanichelli, Bologna, 1993 pagg. 347 ss.), seguita dalla giurisprudenza (Cass. civ., n. 2606/1997) la c.d. culpa in vigilando che può essere superata dalla prova liberatoria che potrà dirsi conseguita ove il soggetto riesca a dimostrare che la vigilanza, idonea ad impedire il fatto, non è stata attuata per cause indipendenti dalla sua colpa (prova di non aver potuto impedire il fatto).

L'obbligo giuridico per le persone impegnate alla formazione intellettiva ed operativa dell'autore immediato del danno (precettori e maestri d'arte) deriva dal contratto con il quale si sono assunti l'impegno, ovvero dalla normativa pubblicistica sulla pubblica istruzione.

Qualora il minore sia incapace di intendere e volere, la responsabilità dei tutori (e dei genitori) è quella disciplinata dall'art. 2047 c.c.; tuttavia il minore non può considerarsi di per sé e, quindi in via presuntiva, incapace di intendere e di volere con riferimento alla imputabilità per fatto illecito e pertanto, di tale incapacità deve essere fornita, di volta in volta, la prova.

La responsabilità diretta dei precettori si cumula – in via solidale – con quella della persona a loro affidata se capace di intendere e volere e, quindi, imputabile per fatto illecito, dovendosi altrimenti applicare le disposizioni di cui agli artt. 2046 e 2047 c.c.

Nesso causalità

In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano (ad una valutazione ex ante) del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi, nel senso che, nell'accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non” mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”.

In particolare, nell'imputazione per omissione colposa, il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto; rilievo che si traduce a volte nell'affermazione dell'esigenza, per l'imputazione della responsabilità, che il danno sia una concretizzazione del rischio che la norma di condotta violata tendeva a prevenire.

Il Giudice, pertanto è tenuto ad accertare se l'evento sia ricollegabile all'omissione (causalità omissiva) nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l'agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi.

Occorre, cioè, sostituire all'omissione il comportamento dovuto e valutare se, escludendo fattori alternativi, la condotta doverosa sarebbe stata in grado di evitare il danno.

Onere della prova

Va innanzitutto rilevato che la responsabilità dei precettori è di contenuto minore rispetto a quella dei genitori, sostenendosi che i precettori si sostituiscono ai genitori solo limitatamente al dovere di vigilanza e non in quello di educazione e soltanto per il tempo in cui costoro hanno gli allievi in custodia.

Tuttavia, il periodo della vigilanza non è limitato a quello durante il quale si svolgono le lezioni, estendendosi anche al momento delle altre attività quali la ricreazione, le gite scolastiche, le ore di svago trascorse nei locali scolastici o di pertinenza della scuola (Cass. civ., n. 826/1981; Cass. civ., n. 14484/2000) e varia con l'età in modo da risultare più rigoroso quando minore è l'età dell'allievo.

L'articolo in esame prevede la possibilità di liberarsi dalla responsabilità dimostrando di non aver potuto impedire il fatto, ma, come per l'art. 2047 c.c., la giurisprudenza, che ha recepito la dottrina sul punto, è assai rigorosa sulla prova liberatoria, escludendo la responsabilità dei precettori soltanto quando costoro forniscano la prova specifica dell'impossibilità di impedimento del fatto.

L'ampia formula “non avere potuto impedire il fatto” non concerne la inevitabilità in generale del fatto, bensì la inevitabilità riferibile in concreto al rapporto fra il chiamato ed il comportamento dell'autore del danno.

Secondo la giurisprudenza il rigore della prova liberatoria si desume dal fatto che al precettore si fa carico sia di prevedere la imprudenza dell'allievo (Cass. civ., n.24456/2005; Cass. civ., n. 318/1990) sia di predisporre le misure prudenziali idonee ad evitare incidenti (Cass. civ., n. 16261/2012; Cass. civ., n. 9542/2009), misure che devono essere valutate in funzione dell'età e della maturità degli allievi (Cass. civ., n.13457/2013; Cass. civ., n. 26200/2011).

Il precettore deve pertanto assolvere ad un onere probatorio che presenta aspetti analoghi a quello del debitore a sensi dell'art. 1218 c.c.: per liberarsi della presunzione posta a suo carico egli dovrà dimostrare di aver adottato, in via preventiva le misure organizzative o disciplinari idonee ad evitare una situazione di pericolo favorevole all'insorgere della serie causale sfociante nella produzione del danno (Cass. civ., n.16261/2012; Cass. civ., n. 3680/2011).

Danno dell'allievo a se stesso

Un discorso a parte riguarda il danno che l'allievo abbia, con la sua condotta provocato a se stesso.

La questione è stata in passato oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale.

La giurisprudenza ha dapprima negato la responsabilità della scuola (Cass. civ., n. 2485/58) abbandonando in seguito tale posizione e spostando la questione sulla natura della responsabilità stessa: extracontrattuale (art. 2043 c.c. e/o art. 2048 c.c.) e/o contrattuale.

La responsabilità che grava sull'istituto scolastico, relativamente all'incolumità dell'allievo minore, è strettamente correlata all'affidamento di quest'ultimo da parte dei genitori alla scuola.

In questo caso la presunzione di responsabilità posta dall'art. 2048 comma 2 c.c., non è invocabile e la responsabilità è di natura contrattuale (o da contatto sociale) atteso che (quanto all'istituto scolastico) l'accoglimento della domanda d'iscrizione e la conseguente ammissione dell'allievo alla scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui esso fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni (Cass. civ., S.U., n. 9346/02; Cass. civ., n. 13457/2013; Cass. civ., n. 11751/2013).

Profili processuali

La responsabilità prevista dall'art. 2048 c.c. richiede che il danno sia conseguenza di un fatto illecito e quindi che un allievo lo abbia subìto perché fatto segno di un'azione colposa di un altro allievo ed ulteriormente richiede che la scuola non abbia predisposto le misure atte a consentire che l'insegnante, preposto alla vigilanza, sia stato in grado di impedire il fatto (Cass. civ., n. 16261/2012; Cass. civ., n. 15321/2003).

Le condizioni di applicabilità della norma si traducono in un fatto costitutivo, l'illecito, che va provato dal danneggiato (attore) ed in un fatto impeditivo, il non averlo potuto evitare, che va provato dall'insegnante convenuto in giudizio.

Sulla parte attrice, pertanto, incombe l'onere di assumere con precise allegazioni di fatto ed argomentative che l'accadimento ha trovato svolgimento in un certo modo, nonché l'onere di offrire la prova dei c.d. fatti principali; a fronte di tale assolvimento scatta la presunzione di cui all'art. 2048 c.c. in concorso con la responsabilità di cui all'art. 1218 c.c.

Il dovere di vigilanza dell'insegnante per il danno subito dall'allievo, presuppone che l'allievo sia stato a lui affidato, pertanto, colui che agisce per ottenere il risarcimento deve dimostrare che l'evento dannoso si è verificato nel tempo in cui l'alunno era sottoposto alla vigilanza dell'insegnante, restando indifferente l'invocazione della responsabilità contrattuale per negligente adempimento dell'obbligo di sorveglianza ovvero la responsabilità extracontrattuale per omissione delle cautele necessarie, secondo l'ordinaria prudenza, in relazione alle specifiche circostanze di tempo e di luogo affinché sia salvaguardata l'incolumità degli alunni minorenni (Cass. civ., n. 2272/2005).

I due differenti casi di responsabilità comportano una diversa distribuzione dell'onere della prova: chi agisce ai sensi dell'art. 2043 c.c. ha un onere della prova più gravoso, dovendo dimostrare, secondo la regola generale, la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito, compreso l'elemento psicologico; chi agisce a sensi dell'art. 1218 c.c. (dopo l'intervento di Cass. civ. S.U., n. 9346/2002) deve provare che il danno si è verificato durante lo svolgimento del rapporto, ossia nel tempo durante il quale l'allievo si trovava a scuola mentre sul convenuto incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso si è determinato per causa a lui non imputabile.

Qualora il genitore agisca in proprio per ottenere il risarcimento dei danni eventualmente derivatigli dall'illecito commesso nei confronti del figlio, è opponibile il suo concorso di colpa a sensi dell'art.1227 c.c. (per culpa in educando e/o in vigilando). L'eccezione deve ritenersi diretta a limitare la misura del risarcimento dovuto al genitore.

Tuttavia se il genitore agisce quale rappresentante del minore, la questione non può essere posta.

Responsabilità degli insegnanti di scuola pubblica: problematiche legate alla legittimazione processuale passiva ed alla rivalsa

Se l'insegnante (precettore) agisce quale organo della Pubblica Amministrazione la responsabilità che fa a lui capoex art. 2048 c.c., risale - in virtù del rapporto organico – direttamente alla stessa.

La soluzione è avallata dall'art. 61, l. 11 luglio 1980 n.312 che prevede che “La responsabilità patrimoniale del personale direttivo, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all'Amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi.

La limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave. L'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi”.

Viene prevista in tal modo la sostituzione dell'Amministrazione – salvo rivalsa nel caso di dolo o colpa grave – nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi con esclusione in radice della possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti in giudizio dal terzo nelle azioni di risarcimento danni da culpa in vigilando quale che ne sia il titolo (contrattuale od extracontrattuale) dell'azione.

Di conseguenza l'insegnante è privo di legittimazione passiva non soltanto nel caso di azione per danni arrecati da un alunno ad un altro alunno, nella quale venga invocata la responsabilità di cui all'art. 2048, comma 2 c.c. nell'ambito di un'azione di responsabilità extracontrattuale, ma anche nell'ipotesi di danni arrecati dall'allievo a sé stesso, nella quale venga invocata la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.

In entrambi i casi, qualora l'Amministrazione venga condannata a risarcire il danno al terzo o all'allievo autodanneggiatosi, l'insegnante è successivamente obbligato in via di rivalsa soltanto ove venga dimostrata la sussistenza del dolo o della colpa grave.

Tale limite opera soltanto verso l'amministrazione, ma non verso i terzi (Cass. civ.,S.U. n. 9346/2002).

È da sottolineare che in tema di responsabilità civile degli insegnanti per omessa vigilanza, la sottrazione degli insegnanti statali alle conseguenze dell'applicabilità nei loro confronti della presunzione stabilita dall'art. 2048, comma 2, c.c. nei giudizi di danno per culpa in vigilando è attuata dal predetto art. 61, l. n. 312/1980, non sul piano sostanziale, ovvero incidendo sulla operatività dell'art. 2048 c.c., ma esclusivamente sul piano processuale, mediante l'esonero dell'insegnante statale dal processo nel quale unico legittimato passivo rimane il Ministero della Pubblica Istruzione (Cass. civ., n. 10042/2006).

Dopo l'estensione della personalità giuridica per l'effetto della legge delega n. 59/1997 e dei successivi provvedimenti di attuazione, ai circoli didattici, alle scuole medie ed agli istituti di istruzione secondaria, il personale docente degli istituti statali di istruzione superiore - che costituiscono organi dello Stato muniti di personalità giuridica ed inseriti nell'organizzazione statale – si trova in rapporto organico con l'Amministrazione della Pubblica Istruzione dello Stato e non con i singoli istituti ai quali è riconosciuta una mera autonomia amministrativa.

Di conseguenza gli Istituti di istruzione superiore difettano di legittimazione passiva nelle controversie relative agli illeciti ascrivibili a culpa in vigilando.

Casistica

Sul contenuto della responsabilità ex art. 2048 c.c.

  • La presunzione di responsabilità di cui all'art. 2048 c.c. non è assoluta – come se si trattasse di ipotesi di responsabilità oggettiva – ma configura una responsabilità soggettiva aggravata in ragione dell'onere incombente all'insegnante o al precettore di fornire prova liberatoria, onere che risulta assoluto in relazione all'esercizio – da accertarsi in concreto – di una vigilanza adeguata all'età ed al normale grado di comportamento dei minori loro affidati (Cass. civ., 23 luglio 2003 n. 11543).
  • Il contenuto del dovere di vigilanza è proporzionale all'età ed alla maturità degli allievi (Cass. civ., 4 febbraio 2005, n. 2272). Si è così escluso l'obbligo di vigilare ragazzi quattordicenni durante il tragitto da un locale all'altro della scuola, trattandosi di percorso noto e privo di particolari pericoli (Cass. civ., 15 gennaio 1980 n. 369).
  • La vigilanza deve assumere il massimo grado di efficienza nelle classi inferiori delle scuole elementari; tale obbligo postula l'effettiva presenza personale dell'insegnante e si ritiene violato nel caso del maestro di scuola elementare che ometta, al termine delle lezioni, di accompagnare gli allievi al cancello di uscita della scuola (Cass. civ., 6 febbraio 1970 n. 263).

Sulla prova liberatoria

Gli insegnanti delle scuole elementari rispondono dei danni cagionati dall'atto illecito dei loro allievi nel tempo in cui sono sottoposti alla loro vigilanza, se non provano ex art. 2048c.c. di non aver potuto impedire il fatto e, quindi, dimostrando di aver esercitato la vigilanza sugli alunni nella misura dovuta e che nonostante l'adempimento di tale dovere il fatto dannoso per la sua repentinità ed imprevedibilità abbia impedito loro un tempestivo efficace intervento (Cass. civ., 20 febbraio1997 n.1683)

Sull'onere della prova

In materia di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo verificatosi a carico di uno studente all'interno della struttura scolastica durante le ore di educazione fisica, nell'ambito dello svolgimento di una partita, ai fini della configurabilità di una responsabilità a carico della scuola a sensi dell'art. 2048 c.c., incombe sullo studente l'onere di provare il fatto costitutivo della pretesa, ovvero l'illecito subito da parte di un altro studente, e sulla scuola l'onere di provare il fatto impeditivo, ovvero di non aver potuto evitare, pur avendo predisposto le necessarie cautele, il verificarsi del danno. (Cass. civ., 10 ottobre 2003 n. 15321).

Sulla legittimazione passiva

Il personale docente degli istituti statali di istruzione superiore si trova in rapporto organico con l'amministrazione statale e non col singolo istituto. Ne consegue che, nel caso di danni subìti da un allievo ed ascrivibili al personale docente, legittimato passivo nel giudizio di risarcimento è il Ministero della Pubblica Istruzione, e non l'istituto scolastico (Cass. civ., 7 ottobre 1997 n.9742).

Sul danno dell'allievo a se stesso

  • Nel caso di danno cagionato dall'alunno a se stesso, la responsabilità dell'istituto scolastico e dell'insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che - quanto all'istituto scolastico - l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo alla scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità dell'allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l'allievo procuri danno a se stesso; e che - quanto al precettore dipendente dell'istituto scolastico - tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell'ambito del quale l'insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l'allievo si procuri da solo un danno alla persona.
  • Ne deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'istituto scolastico e dell'insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall'art. 1218 c.c., sicché, mentre l'attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull'altra parte incombe l'onere di dimostrare che l'evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all'insegnante.
  • Nel correggere, ex art. 384, comma 2, c.p.c., la motivazione dell'impugnata sentenza, che aveva fatto applicazione dell'art. 2048 c.c. anziché della responsabilità contrattuale secondo il principio affermato da Cass. civ, S.U., n. 9346/2002, la S.C. ha ritenuto - in base all'accertamento compiuto dal giudice del merito - non ascrivibile nella specie all'insegnante alcun addebito di culpa in vigilando, in mancanza di omessa adozione di preventive misure organizzative e disciplinari volte ad evitare l'insorgenza di situazioni di pericolo nonché stante la repentinità del verificarsi della caduta dell'alunno dalla sedia del banco di scuola elementare, evento invero non prevedibile né prevenibile in base all'ordinaria diligenza, come tale integrante la recepita nozione del fortuito quale causa di esonero da responsabilità (Cass. civ., n. 24456/2005).

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