Mediatore (responsabilità del)

18 Aprile 2014

Per quanto la disciplina della mediazione sia collocata nell'ambito delle previsioni codicistiche sui singoli contratti, è tuttavia vero che la definizione dettata dall'art. 1754 c.c. (“è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”), contiene una descrizione assai ampia – e, se si vuole, anche vaga - della fattispecie. La formulazione normativa (che evita persino l'uso della parola “contratto”) ha finito per sollevare il problema della natura contrattuale o meno della mediazione.

Nozione

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Per quanto la disciplina della mediazione sia collocata nell'ambito delle previsioni codicistiche sui singoli contratti, è tuttavia vero che la definizione dettata dall'art. 1754 c.c. (“è mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”), contiene una descrizione assai ampia – e, se si vuole, anche vaga - della fattispecie. La formulazione normativa (che evita persino l'uso della parola “contratto”) ha finito per sollevare il problema della natura contrattuale o meno della mediazione.

Sul problema si possono registrare tre tesi.

La prima – predominante in giurisprudenza (Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2011, n. 15473; Cass. civ., Sez. III, 21 maggio 2010, n. 12527) e seguita da parte della dottrina - sembra affermare la natura contrattuale della mediazione. La seconda, invece, sostiene la natura non contrattuale della fattispecie, riconducendola nell'ambito dei rapporti contrattuali di fatto, mentre altre voci ancora si schierano per una tesi intermedia, che vede, accanto ad una mediazione contrattuale che scaturisce da un incarico, una mediazione “non contrattuale” che nasce dal mero contatto diretto del mediatore con le parti. La terza tesi, che può dirsi intermedia, si è progressivamente affermata negli ultimi anni, e opera una distinzione tra mediazione “tipica” e mediazione “atipica”. Mentre la prima costituirebbe la mediazione “codicistica”, e non sarebbe riconducibile alla categoria del contratto, la seconda (denominata anche “mediazione unilaterale”) ricorrerebbe quando una parte, volendo concludere un affare, viene ad incaricare il mediatore del compito di ricercare persone interessate alla conclusione del suddetto affare, le cui condizioni vengono peraltro in gran parte prestabilite dallo stesso soggetto che conferisce l'incarico (Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2009, n. 16382; Cass. civ., Sez. III, 05 settembre 2006, n. 19066).

Va peraltro chiarito che la distinzione in questione incide sul solo profilo della fase genetica del rapporto mediatorio, ma non sulla disciplina di esso, in quanto in ogni caso i compiti e gli obblighi (e la conseguente responsabilità) gravanti sul mediatore non subiranno modifica alcuna, così come in ogni caso l'obbligo di corrispondere la provvigione graverà in ogni caso non solo sul soggetto che ha conferito l'incarico ma anche sull'altro soggetto che ha accettato l'affare, alla sola condizione che abbia percepito ed accettato l'intervento del mediatore (Cass. civ., Sez. III, 7 aprile 2009, n. 8374).

È tuttavia anche vero che l'attuale prassi sembra avere grandemente ridimensionato il problema, conferendo un peso sempre maggiore alla c.d. “mediazione atipica”, stante l'uso ormai costante dei mediatori professionisti di far sottoscrivere ai soggetti moduli prestampati contenenti un vero e proprio incarico al mediatore, con determinazione del contenuto dell'affare da concludere.

Dal punto di vista dell'inquadramento della figura del mediatore notevole rilevanza ha la frequente rilevanza l'affermazione secondo cui la figura del mediatore sarebbe caratterizzata – a differenza di altre – dalla necessaria imparzialità (Cass. civ., Sez. II, 24 febbraio 2009, n. 4422), intesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d'opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l'attività dell'intermediario.

Da tale presupposto la stessa Suprema Corte ha fatto discendere, con una recente pronuncia, l'affermazione per cui non ci si troverebbe di fronte ad una mediazione nel caso di incarico unilaterale, dovendosi in tal caso inquadrare la fattispecie nell'ambito del mandato, con l'ulteriore, rilevantissima, conseguenza che “nell'ipotesi suddetta il c.d. "mediatore":

  1. ha l'obbligo, e non la facoltà, di attivarsi per la conclusione dell'affare;
  2. può pretendere la provvigione dalla sola parte che gli ha conferito l'incarico;
  3. è tenuto, quando il mandante sia un consumatore, al rispetto della normativa sui contratti di consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005;
  4. nel caso di inadempimento dei propri obblighi, risponde a titolo contrattuale nei confronti della parte dalla quale ha ricevuto l'incarico, ed a titolo aquiliano nei confronti dell'altra parte” (Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2009, n. 16382).

La tesi della necessaria imparzialità non è andata esente da critiche, essendosi osservato che il conferimento, da parte di uno dei potenziali contraenti, di un incarico di procacciamento di affari o di mandato non è di per sé incompatibile con la qualificazione della fattispecie in termini di mediazione, dovendosi, in realtà, indagare caso per caso quale sia stato il contenuto concreto dell'incarico conferito.

Elemento oggettivo e qualità dell'agente

L'analisi della responsabilità del mediatore non può prescindere da un cenno al profilo formale concernente l'esercizio dell'attività di mediazione. È notorio che la l. n. 39/1989, aveva imposto l'obbligo del mediatore di iscrizione all'apposito albo, stabilendo espressamente all'art. 6 che il diritto alla provvigione poteva essere riconosciuto solo i mediatori iscritti. È parimenti notorio che il d.lgs. n. 59/2010 ha soppresso il suddetto ruolo, prevedendo che le attività di mediazione siano soggette a dichiarazione di inizio di attività, da presentare alla C.C.I.A.A. corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti, anche se la Cassazione ha comunque affermato che anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa di cui al d.lg. n. 59/2010, hanno diritto alla provvigione i soli mediatori iscritti nei registri o nei repertori tenuti dalla camera di commercio (Cass. civ., Sez. III, 8 luglio 2010, n. 16147).

La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria affermano la nullità del contratto di mediazione per contrarietà a norme imperative, qualora il soggetto che abbia svolto l'attività mediatoria non sia iscritto (Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11247), pur dovendosi registrare una pronuncia in senso contrario (Cass. civ., Sez. II, 27 giugno 2002, n. 9380). Ciò comporta, nel caso del “mediatore abusivo” il problema dell'inquadramento di un'eventuale responsabilità di quest'ultimo nell'area della responsabilità extracontrattuale. In realtà, tuttavia, sia la possibilità di inquadrare tutte le mediazioni nell'area del “contatto sociale”, sia, comunque, la possibilità di affermare l'applicabilità dei principi in tema di “rapporto contrattuale di fatto” (cfr. art. 2126) dovrebbero consentire di affermare che anche la responsabilità del mediatore “abusivo”, stante il rapporto qualificato che si instaura con il “mediato” generi una serie di obblighi azionabili ex art. 1218 c.c.

Svolta tale premessa, si deve rilevare come l'area degli obblighi informativi enunciati dall'art. 1759 c.c. abbia costituito la base di una cospicua elaborazione della giurisprudenza in materia di responsabilità del mediatore. Tale responsabilità opererebbe sia per la mediazione “tipica” sia per quella “atipica” (Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2009, n. 16382) ed esporrebbe il mediatore all'obbligo di risarcimento dei danni sofferti dalla parte o dalle parti non adeguatamente informate (Cass. civ., Sez. III, 20 agosto 2009, n. 18515).

L'individuazione dell'ambito dei doveri informativi sembra dover assumere una duplice dimensione, positiva e negativa, in quanto il mediatore sarebbe tenuto, da un lato, a comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza, e, dall'altro, a non fornire informazioni non veritiere, o comunque informazioni non oggetto di concreta verifica (Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2008, n. 19951) .

Per quanto riguarda i doveri di informazione “positivi”, sembra abbastanza costante in giurisprudenza, l'affermazione del principio per cui – salvo che abbia ricevuto espressamente l'incarico – il mediatore non è tenuto a svolgere, nell'adempimento della propria prestazione, specifiche indagini di natura tecnico-giuridica (Cass. civ., Sez. III, 18 gennaio 2006, n. 822), ma è tenuto ad adottare un parametro di diligenza professionale media (Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2009, n. 16382). Si tratta, quindi, non solo delle circostanze note al mediatore e relative alla valutazione ed alla sicurezza dell'affare, cioè quelle accertate o di cui abbia avuto, comunque, notizia, ma anche di quelle che, sebbene non conosciute dal mediatore, lo stesso avrebbe dovuto conoscere, o per espresso incarico del cliente, o perché rientranti nel contenuto della prestazione che il mediatore usualmente si impegna a svolgere in favore del cliente.

In una propria decisione (Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2009, n. 16382) la Suprema Corte è venuta una sorta di “decalogo”, stabilendo che il mediatore deve segnalare “le informazioni sulla eventuale contitolarità del diritto di proprietà in capo a più persone, sull'insolvenza di una delle parti, sull'esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, sull'esistenza di prelazioni od opzioni concernenti il bene oggetto della mediazione”.

Per quanto riguarda i doveri di informazione negativa, è frequente l'affermazione per cui, al di là delle informazioni scientemente false, il mediatore deve comunque evitare di fornire informazioni che non abbia controllato, apparendo comunque tale condotta contraria al dovere di buona fede che grava sul mediatore (Cass. civ., Sez. III, 18 luglio 2008, n. 19951). Se, quindi, il mediatore non è tenuto a fornire informazioni di tipo tecnico-giuridico, è tuttavia vero che, nel momento in cui egli decida di fornire ogni tipo di informazione alle parti, sarà comunque tenuto ad una preventiva verifica dell'attendibilità delle medesime.

Elemento soggettivo

Vertendosi in materia di responsabilità da inadempimento di obbligazioni, viene in rilievo il noto problema della rilevanza della diligenza nella responsabilità ex art. 1218 c.c., e della configurabilità del meccanismo posto da tale ultima norma nei termini di presunzione di colpa, oppure di responsabilità oggettiva avente come unico limite la forza maggiore o il fortuito.

L'attuale assetto della responsabilità del mediatore, tuttavia, conferisce comunque un particolare rilievo al profilo della diligenza. In realtà, l'orientamento espresso dalla giurisprudenza non consente di individuare un contenuto stabile e definitivo degli obblighi del mediatore, dal momento che questi non derivano da “regole dell'arte”, ma sono stati “agganciati” a parametri variabili, come l'incarico espresso del cliente, oppure la riconducibilità degli obblighi informativi “nel contenuto della prestazione che il mediatore usualmente si impegna a svolgere in favore del cliente”. Si tratterà di stabilire caso per caso, quindi, se l'informazione che il mediatore ha omesso di fornire era conosciuta o conoscibile senza particolari costi per il mediatore, oppure se l'obbligo informativo era comunque stato assunto (al di là dell'onerosità del suo adempimento). Nel caso degli obblighi informativi negativi, invece, assumeranno rilievo due circostanze: il grado con cui il mediatore abbia cercato di verificare l'informazione poi rivelatasi inesatta; e le modalità con cui l'informazione stessa sia stata trasmessa al cliente (se in forma di dato sicuro o come mera notizia di cui lo stesso mediatore abbia segnalato l'incertezza).

Nesso di causalità e caso fortuito

Ovviamente la responsabilità del mediatore ha come imprescindibile presupposto la sussistenza di un nesso causale tra l'inadempimento dell'obbligo informativo ed il danno lamentato dal cliente. In altri termini l'obbligo informativo deve avere inciso in modo rilevante sulla conclusione dell'“affare”, inducendo la parte a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso o avrebbe concluso a condizioni diverse; oppure a non concludere un contratto che altrimenti (si pensi alla inesatta informazione sulla esistenza di vincoli sul bene) avrebbe concluso.

La responsabilità del mediatore potrà essere esclusa dalla sussistenza di fattori non rientranti nella sua sfera organizzativa: si può pensare ad errore determinato da risultanze inesatte degli stessi RR.II. (o del Catasto); oppure ad informazioni inesatte fornite al mediatore da altro ausiliario della stessa parte che si assume danneggiata. Esemplare il caso della compravendita di un immobile che veda l'intervento del Notaio, i cui obblighi di controllo potrebbero oltrepassare ed assorbire quelli del mediatore, escludendo la responsabilità di quest'ultimo, o dando luogo ad un concorso di responsabilità.

Onere della prova

Grava sull'attore: indicare in modo specifico gli oneri informativi che si assumono violati (puntualizzando se essi erano positivi o negativi; per quale motivo, in caso, di oneri positivi, era da ritenersi che il mediatore potesse e dovesse assumere le informazioni; sotto che profilo, in caso di oneri negativi, le informazioni fornite dal mediatore si erano rivelate erronee), trattandosi di prova della esistenza vera e propria dell'obbligazione che si assume violata; provare il danno concreto cagionato dalla violazione degli obblighi informativi stessi, in modo da palesare il nesso di causalità tra la condotta del mediatore e l'evento lesivo.

Particolarmente complessa può rivelarsi la prova del danno in caso di mancata conclusione dell'affare per effetto di inesatte informazioni del mediatore, dal momento che la parte dovrà dar prova del fatto che proprio le informazioni inesatte, e solo esse, hanno precluso la conclusione del contratto.

Trattandosi di inadempimento di obbligazioni l'onere probatorio maggiore graverà sul mediatore, il quale potrà cercare di provare la insussistenza di un onere informativo positivo (anche adducendo i fatti che precludevano o rendevano apparentemente superflua l'acquisizione dell'informazione); oppure dimostrare la correttezza dell'informazione fornita, in caso di allegazione della violazione di un onere probatorio negativo; oppure ancora evidenziare la riconducibilità della violazione a fattori estranei alla sfera del mediatore stesso (informazioni errate acquisite da canali di provata affidabilità come ad esempio nel caso di errore della Conservatoria). Sul piano sia della esclusione dell'obbligazione in sé, sia della interruzione del nesso causale, il mediatore potrà provare l'assunzione da parte dello stesso soggetto “mediato” degli oneri informativi, o comunque la possibilità per il medesimo di acquisirli in modo più diretto ed affidabile; oppure la sussistenza di un concorso di colpa dello stesso danneggiato (ove questi potesse comunque assumere le informazioni o verificare l'erroneità delle informazioni inesatte).

Criteri di liquidazione

Il danno è di natura contrattuale, e quindi comprende danno emergente e lucro cessante. Il fatto che la responsabilità del mediatore sia collegata ad una inesatta informazione non vale a ricondurre la medesima nell'ambito della responsabilità precontrattuale, qualunque ricostruzione di quest'ultima si ritenga di seguire. Nel caso del mediatore, infatti, si assiste alla violazione di una obbligazione direttamente ed espressamente stabilita da una norma positiva, con riferimento peraltro al contratto concluso non dal mediatore ma da un terzo. Non vi è quindi spazio per l'applicazione del tradizionale orientamento che limita il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale al solo interesse negativo.

Il danno risarcibile varierà a seconda che sia violato un obbligo informativo “positivo” o uno “negativo”. Nel primo caso si tratterà primariamente di un danno collegato alla conclusione di un contratto che altrimenti non si sarebbe concluso (se l'omessa informazione era “determinante” del consenso) o alla conclusione di un contratto che si sarebbe concluso a condizioni diverse (se l'omessa informazione era solo “incidente”). Nel caso di oneri e gravami non segnalati, il danno potrà sicuramente parametrarsi al minor valore del bene comprato, oppure agli oneri affrontati per la eliminazione dei pesi stessi (ove possibile). Nel secondo caso ci si troverà di fronte ad un danno da “affare sfumato”, e quindi sicuramente esteso ai costi di una inutile contrattazione, ma comprensivo anche dei maggiori oneri affrontati per concludere un similare contratto dopo la rinuncia a quello che il mediatore ha fatto sfumare con le proprie inesatte informazioni. Le perdite patrimoniali connesse al lucro cessante (utile che si riteneva di ricavare dalla rivendita del bene) assumeranno frequentemente il carattere di una perdita di chance.

Aspetti processuali

Nei casi in cui il soggetto che lamenti un danno possa essere qualificato come consumatore, opererà la competenza inderogabile stabilita dall'art. 63 d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, salva per il solo consumatore la facoltà di derogare a detta competenza (Cass. civ., Sez. VI, 8 febbraio 2012, n. 1875).

Nel caso di mediazione con un professionista, invece, troveranno applicazione gli artt. 18,19 e 20 c.p.c., salva la possibilità per le parti (nel caso di mediazione “impropria”) di fissare una competenza convenzionale.

Sul piano della individuazione della competenza territoriale il problema della natura contrattuale o meno della mediazione non dovrebbe porre particolari problemi, qualora si acceda alla tesi secondo cui anche la mediazione “propria” risulta comunque riconducibile nell'area del c.d. “contatto sociale”, e dà comunque origine ad una responsabilità da inadempimento di obbligazioni (di fonte non contrattuale, ma comunque riconducibili nell'area dell'art. 1173 c.c.)

L'attore dovrà: in primo luogo enucleare la causa petendi (descrivendo le modalità di instaurazione del rapporto con il mediatore); mentre il mediatore convenuto potrà e dovrà dedurre: la insussistenza del rapporto mediatorio. Le ulteriori allegazioni fondamentali gravanti sulle parti sono state già analizzate in sede di trattazione degli oneri probatori. Si può solo aggiungere che, a meno che venga dedotto un comportamento del danneggiato idoneo da solo ad interrompere il nesso causale, ci si trova di fronte a profili rilevabili anche d'ufficio, rendendosi non necessaria la tempestiva costituzione in giudizio ex art. 166 c.p.c.

Qualora, come visto in precedenza, ci si trovi di fronte invece ad un mediatore non iscritto all'albo, e si aderisca alla tesi che afferma la nullità del contratto, potrebbe porsi un problema di qualificazione della domanda nei confronti del mediatore in termini di azione extracontrattuale, anche se appare possibile – come si è visto in precedenza – affermare comunque la sussistenza di un rapporto contrattuale di fatto, tale da consentire di ricondurre in ogni modo l'operato del mediatore nell'ambito della responsabilità da inadempimento.

Profili penalistici

Ai sensi dell'art. 8 l. n. 39/89 chiunque esercita l'attività di mediazione senza essere iscritto nel ruolo è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma compresa tra € 7.500 ed € 15.000 ed è tenuto alla restituzione alle parti contraenti delle provvigioni percepite.

Casistica

Affermazione

  • Il mediatore immobiliare è responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere con l'ordinaria diligenza l'esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l'acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore e può essere fatta valere dall'acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno, sia rifiutando il pagamento della provvigione (Cass. civ. Sez. III, 08 maggio 2012, n. 6926).
  • Il promissario acquirente di un immobile può rifiutarsi di corrispondere la provvigione al mediatore che non lo abbia informato circa l'esistenza di una irregolarità urbanistica, della quale il mediatore stesso era in grado di accorgersi, usando la normale diligenza professionale (nella specie, si è evidenziato che il mediatore avrebbe dovuto attivarsi a fronte dell'incontestabile divergenza tra lo stato dei luoghi e la descrizione dell'immobile contenuta nell'atto di provenienza, di cui l'intermediario era in possesso) (Cass. civ. sez. III, 16 luglio 2010, n. 16623; Cass. civ. sez. III, 16 luglio 2010, n. 16623).
  • Il mediatore tanto nell'ipotesi tipica in cui abbia agito in modo autonomo, quanto nell'ipotesi in cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica, la quale costituisce in realtà un mandato), ha l'obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede, e di riferire alle parti le circostanze dell'affare a sua conoscenza, ovvero che avrebbe dovuto conoscere con l'uso della diligenza da lui esigibile. Tra queste ultime rientrano necessariamente, nel caso di mediazione immobiliare, le informazioni sulla eventuale contitolarità del diritto di proprietà in capo a più persone, sull'insolvenza di una delle parti, sull'esistenza di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, sull'esistenza di prelazioni od opzioni concernenti il bene oggetto della mediazione (Cass. civ. sez. III, 14 luglio 2009, n. 16382)
  • Nel contratto di mediazione atipica - configurabile nelle ipotesi in cui il mediatore, evitando l'alea intrinseca alla mediazione, si garantisce la provvigione con l'acquisizione di una proposta di acquisto conforme alle condizioni previste e predefinite nell'incarico di vendita, senza necessità di conclusione dell'affare - la prestazione caratterizzante del mediatore è pur sempre quella di mettere in relazione due o più parti in vista della conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza, sicché non viene meno l'obbligo del mediatore di compiere l'attività demandatagli in modo esauriente e funzionale all'interesse della parte alla conclusione dell'affare, e quindi con diligenza adeguata alla sua professionalità, ragionevolmente esigibile, in rapporto alla sua organizzazione concreta, in modo che la controparte non sia legittimata a rifiutarsi di concluderlo per non essere stata informata su circostanze (nella specie, riguardanti il rilascio del certificato di abitabilità) influenti sulla sua conclusione o esecuzione, conosciute o agevolmente conoscibili, poiché in tal caso può essere giustificato il rifiuto di corrispondere il compenso, anche se la parte che ha conferito l'incarico abbia ricevuto un'accettazione delle sue condizioni prestabilite di conclusione dell'affare. (Cass. civ. sez. III, 7 aprile 2009, n. 8374).
  • Nella mediazione, che consiste nel mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, i soggetti del contratto sono tenuti all'obbligo generale e reciproco della buona fede, il quale si concreta a norma dell'art.1759 c.c. nel dovere del mediatore di fornire tutte le informazioni di cui egli sia a conoscenza (compreso lo stato d'insolvenza dell'altra parte), che comprende sia le circostanze conoscendo le quali le parti o taluna di esse non avrebbero dato il consenso a quel contratto, sia le circostanze che avrebbero indotto le parti a concludere il contratto a diverse condizioni (Cass. civ. sez. II, 15 marzo 2006, n. 5777).

Esclusione

  • In difetto di una diversa ed espressa richiesta del cliente in tal senso, il mediatore professionale immobiliare non è tenuto ad esaminare le conservatorie dei registri immobiliare per verificare in quale categoria catastale rientri l'immobile, e, di conseguenza, se l'acquisto di esso consentirà all'acquirente il godimento dei benefici fiscali previsti per l'acquisto della prima casa (Cass. civ. sez. III, 8 maggio2012, n. 6926).
  • In tema di responsabilità del mediatore, non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell'adempimento della prestazione ai sensi dell'art. 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico giuridico, dovendosi ritenere pertanto che in caso di intermediazione in compravendita immobiliare, non può considerarsi compreso nella prestazione professionale del mediatore l'obbligo di accertare, previo esame dei registri immobiliari, la libertà dell'immobile oggetto della trattativa da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli (Cass. civ. sez. III, 4 luglio2006, n. 15274).
  • In base alla disciplina codicistica e professionale, il mediatore, pur dovendo normalmente osservare gli obblighi previsti dall'art. 1759, comma 1, c.c., non è, tuttavia, tenuto in difetto di uno specifico incarico, al compimento di indagini di natura tecnico-giuridica (come l'accertamento della libertà dell'immobile oggetto del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie) (Cass. civ. sez. III, 18 gennaio 2006, n. 822 ).

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