Sorvegliante dell'incapace (responsabilità del)Fonte: Cod. Civ. Articolo 2046
05 Giugno 2014
Nozione BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE Ai sensi dell'art. 2046 c.c., perchè possa ascriversi un giudizio di responsabilità per fatto illecito a carico del suo autore è necessario sotto il profilo soggettivo e con riferimento alla condotta da questi tenuta – che l'agente sia capace di intendere e volere nel momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa. Nel caso in cui detto addebito debba escludersi perchè il danneggiante risulta incapace di intendere e volere, soccorre a tutela del danneggiato la speciale ipotesi di responsabilità prevista dall'art. 2047 c.c., a mente del quale «in caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto». Soggetti responsabili A mente della disposizione codicistica in esame, viene ritenuto responsabile colui che al momento del fatto rivestiva la qualità di sorvegliante dell'incapace per espressa previsione di legge, per convenzione negoziale, ovvero per libera scelta. Appartengono ai cd. “custodi ex lege” certamente i genitori, tutori o affidatari del minore incapace, i quali debbono provvedere alla vigilanza necessaria, per evitare che questi arrechi danni a sè o ad altri. Laddove il minore sia capace di intendere e volere, i genitori risponderanno dell'illecito da lui cagionato ai sensi dell'art. 2048 cc, trattandosi di forme di responsabilità in rapporto di alternatività tra di loro (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2005, n. 1148 e per le figure assimilabili), spettando al giudice di merito verificare se, in relazione all'età, allo sviluppo psico-fisico, alle modalità del fatto o ad altre ragioni, debba escludersi o meno la capacità di intendere o di volere. Tale accertamento, se correttamente e adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità. (Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1990, n. 11163 e Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 1980, n. 1259, Cass. 18 giugno 1975, n. 2425), anche tenuto conto che lo stato di incapacità non può desumersi sic et simpliciter dall'età del minore (Cass. 28 maggio 1975, n. 1642, Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2001, n. 8740). Il dovere di sorveglianza può poi essere delegato in forza di un rapporto giuridico contrattuale per contatto sociale a persone all'uopo competenti quali istituzioni scolastiche, baby sitter, cliniche, per cui in tal caso il dovere di sorveglianza dei genitori risulta sospeso per il tempo in cui il soggetto venga loro affidato (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2003, n. 11245) ovvero scaturire da scelta liberamente compiuta da colui che, accogliendo l'incapace nella sua sfera personale e familiare, assuma spontaneamente il compito di prevenire od impedire che il comportamento di questo possa arrecare ad altri nocumento (Cass.civ., sez. III, 1 giugno 1994, n. 5306 e Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1981, n. 3142). Con riferimento invece alla custodia dei maggiorenni infermi di mente, certamente la qualifica di soervegliante può spettare in linea di principio anche all'amministratore di sostegno nominato a seguito dell'avvio del procedimento di cui agli artt. 404 e ss. cc. Se l'amministratore è “esterno” alla cerchia dei prossimi congiunti e si occupa soltanto della gestione dei beni del beneficiario oppure se incaricato per decreto di compiere unicamente atti di rappresentanza dell'amministrato, appare dubbio che questi possa rivestire anche la qualifica di custode ai sensi dell'art. 2047 c.c. soprattutto se, accanto alla sua figura, venga nel decreto di nomina individuato altro soggetto incaricato di sorvegliarlo. Ove questi sia parente o comunque convivente ovvero quanto più ampio sia il novero dei poteri attribuitigli dal Giudice Tutelare (e sempre che il beneficiario fosse effettivamente incapace di intendere e volere al momento del fatto) l'amministratore di sostegno dovrà essere ritenuto sorvegliante, il tutto sulla scorta di una verifica da compiersi caso per caso . Le medesime considerazioni valgono ove il beneficiario sia ricoverato presso struttura di cura pubblica o privata; l'indagine in questo caso prenderà le mosse dal tipo di assistenza prestata al fine di compendere se il sorvegliante sia da individuarsi nella struttura, nei sanitari ovvero nell'amministratore. Rilevante appare poi il problema della sorveglianza dell'infermo di mente a seguito della riforma dell'assistenza psichiatrica intervenuta con la l. 180/197878 (cd. legge Basaglia) che attribuiva allo psichiatra funzioni di custodia e cura del malato. Ad oggi la responsabilità ex art. 2047 c.c. è prevista solo laddove il malato sia ricoverato presso la struttura e durante il ricovero abbia provocato danni a sé o ad altri; in tal caso si è ritenuto che l'ente sanitario debba rispondere di tali lesioni, a prescindere dal carattere volontario od obbligatorio del trattamento medico praticato in concreto, non potendo quest'ultimo condizionare l'obbligo di sorveglianza da parte del medico e del personale addetto (Cass., 10 novembre 1997 n. 11038 e nello stesso senso per la giurisprudenza di merito Trib. Velletri 19 marzo 1979 in cui si sancisce anche che l'ipotesi in questione comporti anche violazione del principio del cd neminem ledere, senza che però il personale preposto sia incaricato di tutelare la pubblica incolumità da comportamenti pericolosi del malato). In passato infatti era controverso se, oltre alla struttura ospedaliera che aveva in cura l'infermo psichico, anche la Asl che non avesse adottato le opportune misure di prevenzione dovesse rispondere del danno cagionato dall'incapace. Dopo alcune pronunce di merito che avevano dato risposta positiva sul punto, soprattutto laddove la Usl non avesse svolto alcuna «seria e meditata azione preventiva di cura e sorveglianza» nei confronti di un infermo psichico, tale da escludere il compimento di un illecito da parte di quest'ultimo e sempre che la sua pericolosità fosse già ampiamente dimostrata (Trib. Trieste 23 novembre 1990, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 986; in argomento, tuttavia, ma vedi anche in senso contrario Trib. Reggio Emilia 18 novembre 1989), la giurisprudienza si è attestata nel senso che non spetta al Servizio Sanitario tutelare la pubblica incolumità che possa essere messa in pericolo dal malato mentale, rientrando tale compito tra quelli demandati in via generale agli organi che si occupano di pubblica sicurezza e tenuto anche conto delle specifiche limitazioni previste dalla legge in materia di adozione del trattamento sanitario obbligatorio (Cass.civ., sez. III, 20 giugno 2008, n. 16803). Ove il malato non sia ricoverato, il personale medico potrà ritenersi responsabile per i danni cagionati a terzi per inadeguata diagnosi, terapia o organizzazione dell'attività di cura ai sensi dell'art. 2043 c.c. (Trib. Velletri 19 marzo 1979, Trib. Bolzano 9 febbraio 1985). Qualora il soggetto sia in cura presso reparto psichiatrico, ove non interdetto o sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, opera la speciale responsabilità ex art. 2047 c.c., sempre che vi sia la prova concreta dell'incapacità del danneggiante al momento del fatto (Cass.civ., sez. III, 16 giugno 2005, n. 12965). Il fatto illecito compiuto dall'incapace La disposizione in esame si riferisce unicamente al danno compiuto dall'infermo di mente che abbia natura di illecito extracontrattuale e non p.es. da inadempimento contrattuale per il quale opereranno le regole ordinarie, sempre che ovviamente non vogliano sollevarsi questioni in merito alla validità del contratto con questi stipulato. Ove poi il danneggiante abbia cagionato danni a terzi, quale domestico o preposto, nell'esercizio delle incombenze a lui assegnate e in stato di incapacità, il preponente risponderà dal fatto ai sensi dell'art. 2049 c.c., ove lo stato di alterazione psichica fosse già esistente all'inizio del rapporto di preposizione, ovvero sopravvenuto durante il rapporto medesimo (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1979, n. 5851). Il datore di lavoro che eserciti attività di trattamento e cura di pazienti incapaci sarà responsabile invece ex art. 2087 c.c. dell'infortunio occorso al personale sanitario per comportamento degli stessi pazienti, essendo egli tenuto a sorvegliarli "erga omnes" ex art. 2047 c.c. (Cass.civ., sez. lav., 3 agosto 2007, n. 17066). Non ha poi diritto al risarcimento del danno colui che, in virtù di un rapporto di lavoro, vigili su di un incapace e da questo venga danneggiato, non potendo essere considerato “terzo” ai sensi e per gli effetti di cui all' art. 2049 c.c. (Trib. Perugia, 30 ottobre 1995) Il fatto commesso dall'incapace deve presentare tutte le caratteristiche oggettive dell'antigiuridicità tale per cui, ove fosse assistito da dolo o colpa, integrerebbe un fatto illecito, così escludendosi quei comportamenti non compiuti con lo scopo di ledere (Cass.civ., sez. III, 30 marzo 2011, n. 7247 e Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2001, n. 8740) ovvero quegli elementi che “scriminano” l'illiceità del fatto (caso fortuito, legittima difesa). La presunzione di responsabilità di cui all'art. 2047 c.c., posta a carico di chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, non è applicabile al caso di danni che l'incapace abbia causato a se stesso (Cass.civ., sez. III, 18 luglio 2003, n. 11245 e Cass. 28 luglio 1967 n. 2012), avendo la norma in esame la finalità di favorire la risarcibilità del danno provocato alla vittima da soggetti nei confronti dei quali sarebbe impossibile o comunque non agevole ottenere ristoro economico; in tal caso, dopo un primo orientamento che sussumeva tale ipotesi nell'àmbito dell'art. 2043 c.c. (Trib. Venezia, 19 marzo 1979), la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il sorvegliante risponde non a titolo di illecito aquiliano ma in via contrattuale ex art. 1218 c.c. (Cass. civ., sez. III, 18 luglio 2003, n. 11245) ovvero per contatto sociale. Ove invece l'incapace sia la vittima del fatto dannoso altrui ma con la propria condotta abbia contribuito a cagionare il danno, opera anche in tal caso l'art. 1227, comma 1, c.c. e il responsabile che deve risarcirlo può eccepire il concorso di colpa del soggetto obbligato alla sorveglianza del danneggiato ex art. 2047 c.c. (Cass.civ., sez. III, 24 maggio 1997, n. 4633). Stato di capacità dell'autore del danno Il danno deve essere stato compiuto da parte di chi fosse, al momento dello stesso, incapace di intendere e volere, posto che, nel caso in cui il danneggiante fosse in uno stato di cd. “lucidità transeunte”, vigeranno i criteri di addebito ordinari di responsabilità. Per i minori lo stato di incapacità non può desumersi unicamente dall'età soprattutto ove inferiore ai 14 anni (Cass.civ., sez. III, 26 giugno 2001, n. 8740), dovendosi avere riguardo all'effettivo stato di maturità psico-fisico del soggetto e verificare se questi fosse (come per il maggiorenne) in grado di autodeterminarsi nel compimento del fatto dannoso e di comprenderne la portata lesiva (vedi link scheda d'autore/responsabilitàdeigenitori). È necessario poi che vi sia la conoscenza dell'incapacità della persona che ha commesso il fatto. Pertanto, nell'ipotesi in cui i genitori non conoscano lo stato di incapacità di intendere e di volere del figlio minore, trova applicazione unicamente l'art. 2048 c.c. con l'operatività della relativa prova liberatoria (Trib. Milano, 18 dicembre 2001). Con particolare riferimento alla custodia dei maggiorenni infermi di mente, deve verificarsi se lo speciale istituto di all'art. 2047 c.c. possa applicarsi al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, il quale cagioni un danno a terzi. Poichè tale misura protettiva può operare anche in favore di chi non possa attendere ai propri interessi anche se solo in virtù di una menomazione fisica (per cui il decreto di nomina potrebbe anche non contenere p.es. per gli atti di staordinaria amministrazione, le medesime limitazioni e vincoli previsti per l'interdetto ex art. 411 c.c.), dovranno verificarsi in concreto le ragioni che hanno indotto all'applicazione del menzionato istituto (p.es. se per malattia psichica e la natura della stessa) e comunque se il beneficiario fosse effettivamente o meno capace di intendere e volere al momento in cui il danno è stato commesso; in tal caso opererà l'art. 2047 c.c., altrimenti la fattispecie verrà regolata dai criteri di responsabilità ordinari. Elemento soggettivo Sul punto la dottrina è divisa, poichè per alcuni interpreti l'ipotesi in esame ha natura di responsabilità per fatto altrui (Scognamiglio), mentre secondo altri (Bianca) se il fatto è altrui, la colpa è certamente propria del sorvegliante. Per altri si tratta di responsabilità impropriamente indiretta (De Cupis), ovvero di responsabilità cd. “da posizione”, volta ad agevolare il ristoro del danneggiato (Rodotà) in considerazione della difficoltà insita nel fornire la prova liberatoria. L'impostazione dell'art. 2047c.c. in termini di responsabilità oggettiva è poi condivisa da quegli autori (Franzoni, Facci e Monateri) che evidenziano che la prova della diligente attività di custodia non è idonea ad esentare il sorvegliante da responsabilità, essendo necessario dimostrare la concreta impossibilità di intervenire per impedire il fatto. La giurisprudenza prevalente ritiene che la fattispecie di cui all'art. 2047c.c. preveda un'ipotesi di presunzione di responsabilità da cui scaturisce una responsabilità diretta, fondata sulla inosservanza del dovere di vigilanza sul soggetto incapace di intendere e di volere (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2005, n. 12965). Tale responsabilità, più che fondarsi su di una presunzione di colpa cd. in vigilando (ma vedi in tal senso Cass. civ., sez. III, 1 giugno 1994, n. 5306), secondo l'orientamento prevalente andrebbe inquadrata nell'àmbito quasi di una responsabilità oggettiva, anche tenuto conto della tipologia di prova liberatoria che il sorvegliante è tenuto a fornire (vedi infra) e considerato che l'accertamento in sede penale della mancanza di prova della colpa dei soggetti tenuti alla sorveglianza dell'incapace non comporta il superamento della presunzione di colpa su di essi gravante ai sensi dell'art. 2047 c.c., né costituisce prova del caso fortuito (Cass. civ., sez. III, 12/12/2003, n. 19060). L'ampiezza dell'obbligo di sorveglianza dei soggetti incapaci di intendere o volere (art. 2047 c.c.) è da rapportare alle circostanze di tempo, luogo, ambiente, pericolo, che, considerando altresì la natura e il grado di incapacità del soggetto sorvegliato, possono consentire o facilitare il compimento di atti lesivi da parte del medesimo (Cass. civ., sez. III, 24 maggio 1997, n. 4633; Cass. 2291/1964; Cass. 2451/1966; Cass. 2657/1976; Cass. n. 5063/1994), anche se alcune pronunce hanno ribadito che detta attività deve svolgersi in modo costante ed ininterrotto e non saltuariamente e a distanza (Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2003). Detto dovere, in quanto avente carattere cogente, non può ritenersi né escluso né attenuato da abitudini “sociali” del tempo o del luogo in cui è avvenuto il danno (Cass.civ., sez. III, 19 giugno 1997, n. 5485). Se il genitore agisce per il risarcimento del danno subito dal figlio incapace di intendere o volere in rappresentanza di questi e non in proprio, il responsabile non può eccepirgli il concorso di colpa per non averlo sorvegliato (art. 2047 c.c.), perché comunque il danneggiato ha diritto all'intero risarcimento da ciascuno dei corresponsabili in solido (art. 2055 c.c.) (Cass.civ., sez. III, 24 maggio 1997, n. 4633). Nesso di causalità e onere della prova Secondo quanto previsto dall'art. 2047 c.c., il danneggiato deve semplicemente dimostrare il fatto dannoso compiuto dall'incapace e in particolar modo l'antigiuridicità dello stesso (desumibile dalle stesse modalità di accadimento dell'evento), lo stato di incapacità dell'agente (ove contestato) e che questi lo ha cagionato al di fuori della sfera di sorveglianza del soggetto ad essa obbligato, mentre incombe su quest'ultimo dimostrare che tale fatto si sarebbe comunque verificato anche se la sorveglianza fosse stata esercitata e quindi che non vi è nesso di causalità tra l'omissione di essa e il fatto dannoso (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 1997, n. 5485). Ove poi l'incapace sia ospite di reparto psichiatrico o di altra struttura equipollente (ancorché non interdetta né sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio ai sensi della l. 13 maggio 1978 n. 180) si configura necessariamente un dovere di sorveglianza, a carico del personale sanitario addetto al reparto e la conseguente responsabilità risarcitoria per i danni cagionati dal o al ricoverato, per cui è sufficiente dimostrare in concreto la incapacità di intendere e di volere del ricoverato medesimo (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2010, n. 22818 e in senso conforme alla prima parte della massima cfr.: Cass. 16 giugno 2005 n. 12965; Cass. 20 marzo 1997 n. 2483). La prova liberatoria prevista è particolarmente rigorosa e consiste nella positiva dimostrazione di un fatto impeditivo assoluto che non ha consentito al custode di evitare che l'incapace cagionasse il danno (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2005, n. 1148), ovvero di non avere potuto impedire il fatto malgrado il diligente esercizio della sorveglianza impiegata (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2005, n. 12965), nonché la prova dell'imprevedibilità e repentinità, in concreto, dell'azione dannosa (Cass. 21 agosto 1997, n. 7821). Costituisce per esempio prova idonea l'affidamento ad altro soggetto della sorveglianza dell'incapace (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2005, n. 1148). In ossequio al medesimo principio, l'attore deve anche dimostrare il danno subito e il nesso di causalità con la condotta dell'incapace E' chiaro che in ogni caso può operare la “diminuente” di cui all'art. 1227 c.c. derivante dal concorso di colpa della vittima nella produzione del danno ovvero della non risarcibilità del danno che la vittima avrebbe potuto evitare utilizzando l'ordinaria diligenza e che il sorvegliante deve fornire ogni prova atta a dimostrare l'insussistenza del fatto dannoso (perchè per esempio scriminato per legittima difesa, ovvero cagionato da caso fortuito). La responsabilità sussidiaria dell'incapace In deroga alla regola generale prevista dall'art. 2046 c.c., il secondo comma dell'art. 2047 c.c. consente al danneggiato di agire nei confronti dell'incapace, ove non abbia conseguito il ristoro del danno dal sorvegliante (p.es. perchè quest'ultimo ha fornito la prova liberatoria, era insolvente ovvero perchè non vi era nel caso di specie un soggetto preposto alla custodia dell'autore del fatto). L'azione in oggetto non può essere proposta in difetto del previo esperimento dell'azione regolata dal 2047, comma 1, c.c., avendo carattere sussidiario (Trib. Orvieto, 22 febbraio 2001). In tal caso il giudice, esercitando un potere di natura discrezionale, può porre a carico dell'incapace un equo indennizzo parametrato alle condizioni economiche delle parti (Trib. Macerata, 20 maggio 1986) sia nell'"an" che nel "quantum", per cui il ristoro atteso potrebbe subire decurtazioni, rispetto all'entità del risarcimento integrale del danno, secondo equi temperamenti dettati dalle condizioni economiche del soggetto cui essa dovrebbe far carico, fino a considerarsi del tutto non dovuta quando, dalla valutazione comparativa richiesta dalla norma, emerga eventualmente una manifesta sperequazione tra le floride condizioni economiche del danneggiato e quelle deteriori del danneggiante. In una isolata pronuncia di merito (Trib. Venezia, 14 luglio 1999) è stato precisato che il carattere indennitario della condanna irrogata fa sì che la somma liquidata non possa comprendere i danni morali. La domanda diretta alla liquidazione dell'indennità prevista dall'art. 2047 c.c. a differenza da quella riguardante la diversa indennità di cui all'art. 2045 c.c., non può ritenersi implicita nella domanda di risarcimento del danno proposta contro l'incapace ed il soggetto tenuto alla sua sorveglianza, stante la diversità dei fatti costitutivi posti a base delle due domande (Trib. Roma, 28 maggio 1987) e tenuto conto proprio della natura sussidiaria dell'istanza di cui si discute. Aspetti medico legali Ove si siano verificati danni alla persona, è necessario disporre consulenza tecnica d'ufficio che accerti l'entità del danno biologico temporaneo e permanente con la formulazione di appositi quesiti. Criteri di liquidazione In punto di quantum debeatur spetta al danneggiato l'integrale risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale. Quanto alle modalità di liquidazione del danno, in assenza di specifici criteri, si applicano le tabelle del Tribunale di Milano, le quali ormai costituiscono il parametro di riferimento per tutti i giudici di merito in grado di garantire parità di trattamento nel rispetto dell'art. 3 Cost. (Cass.civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408 e Cass.civ., sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28290). Alcuni uffici giudiziari, nel caso di micropermanente, applicano i parametri di cui all'art. 139 Cod. Ass., nonostante detta disposizione si riferisca (Cass.civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408) unicamente alla quantificazione del danno patito in conseguenza di sinistro stradale. Aspetti processuali Il giudizio va radicato innanzi al giudice competente per materia e per valore exartt. 7 e 40 c.p.c. L'attore dovrà enucleare la causa petendi, allegando le modalità di verificazione dell'evento dannoso anche al fine di ricostruire il fatto illecito con riferimento al nesso di causalità tra la condotta tenuta dal''incapace e il danno, oltre alla qualità soggettiva del convenuto quale sorvegliante e contestata, la del danneggiante al momento del fatto. Opportuno appare il richiamo all'art. 2047c.c. in riferimento alla specifica veste del convenuto quale sorvegliante dell'incapace, posto che è proprio ed in relazione alla prospettazione del fatto narrato che il giudice può qualificare la domanda e far da essa discendere il correlato onere probatorio, non potendo questi sostituire d'ufficio un'azione diversa da quella esercitata (Trib. Napoli, 14 giugno 2007, Cass. 28 luglio 2005, n. 15802, Cass. 4 agosto 2006, n. 17760; Cass. 6 aprile 2006, n. 8107) e l'indicazione di tutti gli elementi idonei a consentire la successiva prova dei danni subiti Invece il sorvegliante convenuto dovrà prendere posizione rispetto a quanto allegato dall'attore, difendendosi in punto di nesso di causalità tra la condotta dell'incapace e l'evento dannoso anche al fine di escludere (p.es. per caso fortuito) o ridurre il danno risarcibile ex art. 1227 c.c., oppure in merito alla eventuale capacità del danneggiante nonchè, quale prova liberatoria, dimostrare l'esistenza di una situazione che gli impedisse in modo assoluto di evitare il fatto (costringimento fisico ad opera di terzi, caso fortuito o forza maggiore) e/o di aver adeguatamente sorvegliato l'autore del fatto. Trattasi di mere difese rilevabili d'ufficio che non richiedono la costituzione tempestiva del convenuto ai sensi dell'art. 166 c.p.c. Profili penalistici A seguito dell'introduzione della l. 180/1978 (cd. legge Basaglia), è stato abolito il reato di cui all'art. 714 c.p. (omessa o non autorizzata custodia, in manicomi o in riformatori, di alienati di mente o di minori). Sotto l'aspetto più squisitamente penalistico, ove il fatto compiuto dall'incapace integri fattispecie rilevante sotto l'aspetto penale (p.es. lesioni personali), il sorvegliante può essere chiamato a rispondere della corrispondente fattispecie di reato nella forma colposa anche ed in applicazione dell'art. 40 c.p. (vedi per il caso di omicidio perpetrato dall'infermo di mente Cass. pen., sez. IV, 14 novembre 2007, n. 10795, Trib. Bologna, 4 aprile 2007, Cass. pen., sez. IV, 7 ottobre 2010, n. 43386, App. Perugia, 9 novembre 1984). Ove il fatto commesso non sia punibile a titolo di colpa, il soggetto preposto alla vigilanza potrà rispondere soltanto in àmbito civilistico. L'eventuale sentenza che abbia assolto ex art. 530 c.p.p. il danneggiante perchè il reato è stato commesso da persona non imputabile all'esito di processo celebrato in sede penale contro l'incapace, può essere utilizzata dal giudice come fonte del proprio convincimento ove in sede civile si agisca nei confronti del suo sorvegliante ex art. 2047c.c., esaminandone direttamente il contenuto ovvero ricavandolo dalla sentenza o dagli atti del processo penale ed effettuando la relativa valutazione con ampio potere discrezionale, senza essere vincolato dalla valutazione che ne abbia fatto il giudice penale (Cass.civ., sez. lav., 16 maggio 2000, n. 6347 e Cass.civ., sez. III, 20 gennaio 1995, n. 623) ai soli fini del risarcimento del danno. Possono essere utilizzate anche le risultanze derivanti da atti di indagini preliminari, da considerarsi semplici indizi (Cass.civ., sez. III, 2 luglio 2010, n. 15714 e Cass.civ., sez. III, 20 dicembre 2001, n. 16069). Casistica Attività ludica e ricreativa
Altre ipotesi
Bibliografia Scognamiglio, voce Responsabilità per fatto altrui, in Novissimo Digesto Italiano, XV, Torino, 1968; Bianca, Diritto Civile, V, La responsabilità, Milano, 1994; De Cupis, Il danno, I, Milano, 1979; Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, Giuffrè 1964; Monateri, La responsabilità civile, in Trattato Sacco, Torino, 1998; Franzoni, L'illecito, I in Tratt. Franzoni, Milano, 2010; Facci, I nuovi danni della famiglia che cambia, Milano, 2009. |