Responsabilità civile
RIDARE

Infermiere e responsabilità professionale

09 Giugno 2014

La prestazione sanitaria, definibile come attività multi professionale, di rado rappresenta una monade governata da un solo operatore sanitario, viene programmata e somministrata all'interno di una struttura organizzata (scheda d'autore: la responsabilità della struttura pubblica, la responsabilità della struttura privata), ove la struttura da un lato e ciascun operatore, dall'altro, svolgono compiti precisi di loro competenza ed uno comune, essendo tutti “ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell'obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex art. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l'integrità.”(cfr. in relazione all'infermiere Cass. pen. sez. IV, 13 maggio 2011, n. 24573; in relazione alla prestazione sanitaria: Cass. pen. sez. IV, n. 9739/2004; Cass. pen. sez. IV, 13 settembre 2000 n. 9638).

Nozione

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

La prestazione sanitaria, definibile come attività multi professionale, di rado rappresenta una monade governata da un solo operatore sanitario, viene programmata e somministrata all'interno di una struttura organizzata (scheda d'autore: la responsabilità della struttura pubblica, la responsabilità della struttura privata), ove la struttura da un lato e ciascun operatore, dall'altro, svolgono compiti precisi di loro competenza ed uno comune, essendo tutti “ex lege portatori di una posizione di garanzia, espressione dell'obbligo di solidarietà costituzionalmente imposto ex art. 2 e 32 Cost., nei confronti dei pazienti, la cui salute devono tutelare contro qualsivoglia pericolo che ne minacci l'integrità.”(cfr. in relazione all'infermiere Cass. pen. sez. IV, 13 maggio 2011, n. 24573; in relazione alla prestazione sanitaria: Cass. pen. sez. IV, n. 9739/2004; Cass. pen. sez. IV, 13 settembre 2000 n. 9638).

Il riconoscimento della posizione di garanzia, di cui sono portatori non solo tutti i protagonisti dell'attività di diagnosi, cura ed assistenza cui si sottopone il paziente, ma anche il personale paramedico è frutto del fermento interpretativo evolutivo che connota l'attività dell'interprete e dell'operatore nel delineare i tratti della responsabilità per prestazione sanitaria, argomento quest'ultimo, attorno al quale dottrina e giurisprudenza testano l'attualità delle categorie tradizionali e la loro tenuta concettuale sotto la spinta delle esigenze di tutela emergenti dalla realtà e del mutato approccio verso le tematiche coinvolgenti la responsabilità civile.

Elemento oggettivo

Acclarato che anche gli infermieri, come tutti i protagonisti della prestazione medica, vedranno valutata l'esecuzione della loro prestazione ai fini dell'affermazione della responsabilità secondo i richiamati principi (cfr. Cass. pen., 13 maggio 2011 n. 24573), occorre ora identificare le regole di carattere speciale, che delineano gli obblighi di condotta sugli stessi gravanti, la cui violazione integra l'elemento oggettivo dell'illecito.

Tali obblighi di condotta erano in passato specificamente individuati da un mansionario, opera del legislatore. Il c.d. “mansionario” di cui al d.p.r. 225/1974, che, ha ridefinito, specificandole, le mansioni già elencate nel r.d. n. 1310/1940, distingueva le mansioni organizzativo-amministrative dell'infermiere da quelle assistenziali dirette ed indirette (in coda l'elenco).

Il mansionario, descrivendo minuziosamente i compiti assegnati all'infermiere, relegava tale figura sanitaria a mero esecutore delle direttive impartite dal personale medico.

La posizione ancillare è venuta meno con l'abrogazione (l. n. 42/1999) del mansionario, che pur per alcuni aspetti conserva carattere esemplificativo.

Infatti la l. n. 251/2000, nel rideterminare i compiti assegnati all'infermiere, ha eliminato l'aggettivo “ausiliario” e delineato un profilo professionale sanitario autonomo, con funzione di collaborazione con il personale medico. Il medesimo intervento normativo ha, peraltro, chiarito che le attività svolte da tale categoria di soggetti sono dirette alla prevenzione, cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, e si esplicano nell'esercizio di “funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell'assistenza”(così recita l'art 1 comma 1, l. 10 agosto 2000 n. 251).

I compiti ora assegnati all'infermiere nel ridisegnato assetto professionale sono sinteticamente ed efficacemente descritti dal D.M. 14 settembre 1994, n. 739, nella versione aggiornata del 2005 composta di soli tre articoli, come segue: “Art. 1-1 E' individuata la figura professionale dell'infermiere con il seguente profilo: l'infermiere è operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante all'iscrizione all'Albo professionale è responsabile dell'assistenza generale infermieristica. 2. L'assistenza infermieristica preventiva, curativa, palliativa e riabilitativa è di natura tecnica, relazionale, educativa. Le principali funzioni sono la prevenzione delle malattie, l'assistenza dei malati e dei disabili di tutte le età e l'educazione sanitaria. 3. L'infermiere:

  1. partecipa all'identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;
  2. identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi;
  3. pianifica, gestisce e valuta l'intervento assistenziale infermieristico;
  4. garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche;
  5. agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali;
  6. per l'espletamento delle funzioni si avvale ove necessario, dell'opera del personale di supporto;
  7. svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell'assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero-professionale…”.

L'indicazione di obblighi generali lascia spazio all'autonomia decisionale, che connota la professionalità dell'infermiere, ora tenuto a prestare assistenza al pazienze e non più al medico.

Particolare rilevanza assume il codice deontologico, adottato nel 2009 che, oltre a definire, all'art. 1, l'infermiere come“ il professionista sanitario responsabile dell'assistenza infermieristica”, introduce, tra gli altri, la natura intellettuale e gestionale degli interventi infermieristici: “l'assistenza infermieristica (...) si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico- scientifica, gestionale, relazionale ed educativa”(così recita l'art. 2, l. 10 agosto 2000 n. 251).

Molto rilevanti sono anche i protocolli operativi, che individuano specifiche fasi dell'assistenza infermieristica. In base ad essi è possibile individuare una prima fase di “raccolta e classificazione dei dati del paziente”, per poter conoscerne la storia clinica; una seconda fase di “identificazione dei bisogni di assistenza infermieristica”; una terza fase di “formulazione degli obiettivi” in relazione alle specifiche esigenze del paziente; una quarta fase di “scelta e attuazione delle azioni infermieristiche” caratterizzata da una totale autonomia dell'infermiere ed, infine, una fase di “valutazione dell'assistenza infermieristica” per poter controllare e migliorare le modalità di raggiungimento degli obiettivi”.

Al progressivo riconoscimento dell'autonomia di tale professione sanitaria consegue l'aggravio della responsabilità. L'infermiere, invero, non è più un semplice esecutore ma un soggetto attivo che svolge le proprie funzioni e risponde delle conseguenze dei propri errori. L'infermiere diventa responsabile della generale assistenza sanitaria che lui stesso decide di assicurare di volta in volta al paziente effettuando quegli interventi che la situazione concreta richieda. Non vi è più solo l'obbligo, per l'infermiere, di adempiere ai compiti che prima erano espressamente indicati nel mansionario secondo le direttive impartite dal medico, ma l'obbligo giuridico di adempiere con autonoma decisionale e con diligenza a tutte quelle prestazioni che emergono dai formanti normativi sopra descritti e che sono prevalentemente riconducibili ad attività di assistenza dei malati, somministrazione dei medicinali e degli alimenti, nonché pulizia personale dei pazienti e anche dei locali, tenuta della documentazione infermieristica, intesa quest'ultima come “strumento operativo gestito dall'infermiere per la raccolta di tutte le informazioni utili riguardanti il paziente” al fine di approntare la più pronta ed efficace attività di tutela ed assistenza, (vedi Patrizia Di Giacomo, Un'analisi della responsabilità infermieristica: riferimenti normativi e giurisprudenziali in Scenario 2008, 25 (3), p. 35).

In sintesi all'infermiere spetta attuare la tutela della sicurezza, la cura della persona, la gestione del dolore ed il monitoraggio.

La competenza e l'autonomia decisionale sono, quindi, evidenti elementi costitutivi della posizione di garanzia ricoperta dall'infermiere che lo rende, al pari del medico, garante del bene salute del malato e gli impone l'obbligo giuridico di fare ciò che è nelle sue possibilità e capacità per tutelare l'integrità fisica e la vita del paziente. Si delinea così l'assunzione di responsabilità per atto infermieristico in evidente parallelismo con la responsabilità per atto medico.

Emerge in giurisprudenza, coerentemente con l'orientamento legislativo, l'affermazione di tale autonoma responsabilità dell'infermiere ed il costante riconoscimento in capo allo stesso di una posizione di garanzia e del suo compito cautelare essenziale nella salvaguardia della salute del paziente. Fermo restando, tuttavia, che nella casistica giurisprudenziale la responsabilità dell'infermiere è stata accompagnata quasi sempre dalla colpa concorrente del medico, in considerazione del dovere di quest'ultimo di vigilare e di controllare l'operato del personale infermieristico.

La casistica giurisprudenziale, che, peraltro vede la prevalenza del formante penalistico rispetto a quello civilistico (per una sintesi completa si rimanda a G. Vanacore, La responsabilità infermieristica tra formante giurisprudenziale civile e penale in Resp. Civ. 2012, 2, 97), e che verrà passata sommariamente in rassegna infra, si concentra tipicamente su ipotesi di errore nel prelevamento o distribuzione dei medicinali (Cass. pen. sez. IV, 26 marzo 1992), di omesso monitoraggio del decorso della convalescenza del paziente ricoverato in reparto (Cass. pen., sez. IV, 13 maggio 2011 n. 24573), di errate manovre compiute sul corpo del paziente, vuoi di posizionamento dello stesso sul letto (Cass. pen. sez. IV, 14 aprile 1983), vuoi di applicazione di dispositivo medico (Trib. Monza, sez. IV, 23 ottobre 2006).

Elemento soggettivo

La responsabilità del personale sanitario della struttura ospedaliera è da inquadrarsi, come noto, nell'ambito della responsabilità di tipo contrattuale. Questo l'esito di un travagliato percorso giurisprudenziale grazie al quale si può oggi sostenere che, con l'accettazione del paziente in ospedale si configuri un contatto sociale qualificato, idoneo a rappresentare la fonte di una obbligazione di tipo contrattuale ai sensi dell'art. 1173 c.c.( primo o terzo periodo a seconda degli orientamenti) non solo tra il paziente e la struttura sanitaria ma anche tra il paziente ed il medico ed il personale ospedaliero.

Lo stesso principio si applica, ovviamente anche a tutte le ipotesi in cui l'infermiere svolga la propria attività al di fuori di una struttura sanitaria, in quanto, a fortiori, sarà configurabile un contratto o un contatto sociale diretto tra paziente e infermiere.

L'inquadramento del rapporto paziente - infermiere nell'alveo contrattuale comporta che la responsabilità di quest'ultimo vada valutata alla stregua dell'inadempimento contrattuale e, similmente a quanto avviene per il medico, sarà dunque necessario valutare la diligenza dell'adempimento ai sensi degli artt. 1176 e 1218 c.c.

L'infermiere, in particolare, dovrà adempiere tenendo la condotta del professionista qualificato e non semplicemente dell'uomo medio o del buon padre di famiglia. Si parla, in merito, di diligenza qualificata, che si esplica nell'impiego di energie, di cognizioni specifiche e di mezzi normalmente e obiettivamente necessari, in rapporto al caso concreto e al tipo di attività esercitata, per adempiere alla prestazione dovuta e soddisfare l'interesse del creditore (cfr. R. Fresa, La colpa professionale in ambito sanitario, Torino, 2008, 400). Sarà dunque il secondo comma dell'art. 1176 c.c. a venire in rilievo, poiché l'avvenuto processo di professionalizzazione dell'infermiere impone allo stesso il dovere giuridico di tenere una condotta rispettosa della perizia tecnica e scientifica inerente alla specifica figura professionale. Pertanto, la sua responsabilità sarà direttamente collegata alle capacità e al campo di conoscenze acquisite per effetto della sua formazione e gli imporrà di tenersi costantemente aggiornato sui continui progressi tecnico scientifici al fine di garantire al paziente un servizio di qualità ed allineato ad uno standard di livello qualificato.

Il parametro di riferimento è dunque dato dalle specifiche cognizioni e abilità tecniche che caratterizzano l'infermiere modello (specializzato o generico) e che, conseguentemente il paziente si aspetta di ricevere dallo stesso.

La misura di diligenza richiesta dovrà essere accertata in concreto, tenuto conto del grado di specializzazione del professionista e delle difficoltà della prestazione sanitaria.

In particolare da ultimo la Cass., 9 ottobre 2012, n. 17143 ha chiarito, in relazione alla diligenza esigibile dal medico, ma estendibile in parte qua anche all'infermiere, che ”La difficoltà dell'intervento e la diligenza del professionista vanno valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione, sicché il medesimo deve valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all'ausilio di un consulto (se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo”( in senso conforme si vedano Cass. civ. sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826; Cass.civ., sez. III, 5 luglio 2004, n. 12273; Cass.civ. sez. III, 21 luglio 2003, n. 11316; Cass.civ., sez. III, 16 maggio 2000, n. 6318). Il processo di oggettivizzazione della responsabilità medica, e professionale in genere, ha eroso anche la tradizionale e giustificata roccaforte di tutela del professionista, che nello svolgimento della propria attività si trova ad affrontare la soluzione di problemi tecnici di particolare complessità, attraverso l'elaborazione di limiti di applicabilità dell'art. 2236 c.c. sempre più stringenti. La limitazione di responsabilità ai casi di colpa grave, prevista dall'art. 2236 c.c., è, invero, applicata dalla giurisprudenza solo nei casi eccezionali o straordinari che non sono stati adeguatamente studiati nella scienza medica e sperimentati nella pratica. Il riconoscimento dell'infermiere come figura professionale dotata di autonomia decisionale rende applicabile anche a tale attività l'art. 2236 c.c.

Occorre, inoltre, rimarcare che sulla valutazione della diligenza del sanitario inciderà in modo notevole anche la considerazione della sussistenza di un legittimo affidamento dello stesso, laddove egli si trovi ad operare in coordinamento con altri professionisti. Invero, l'autonomia professionale riconosciuta all'infermiere non esclude che continuino a permanere determinate attività in cui egli svolga una funzione meramente esecutiva delle direttive del medico o che si affidi per lo svolgimento di determinati compiti all'operato di altri sanitari. Al riguardo occorre rilevare, tuttavia, che il principio del legittimo affidamento è invocabile quale principio di auto - responsabilità delimitativo del dovere obiettivo di diligenza, se rende legittima l'aspettativa di ciascuno che altri si comportino adottando le regole precauzionali proprie dell'attività che di volta in volta viene in questione, e non giustifica l'aspettativa che altri pongano rimedio alle proprie colpevoli e negligenti condotte. Così, se l'infermiere nell'eseguire i propri compiti tiene una condotta non improntata ai doveri di diligenza, prudenza e perizia, non potrà ritenersi invocabile il legittimo affidamento nella circostanza che il medico effettui un successivo controllo diligente e accorto.

Nesso di causalità

Le elaborazioni sul nesso di causalità (materiale) trovano tradizionalmente il loro campo di elezione nell'ambito del diritto penale, oggetto di approfonditi studi in dottrina e di numerose applicazione in giurisprudenza. Di recente il tema ha catalizzato l'attenzione della giurisprudenza civilistica e l'occasione è stata ancora una volta quella della sua applicazione in tema di responsabilità sanitaria.

I giudici civili, pur partendo dal dato normativo in tema di causalità materiale espresso dagli artt. 40 e 41 c.p., tuttavia, seppur in diversi assesti, hanno chiarito che in ambito civilistico è sufficiente per l'affermazione della sussistenza del nesso di causalità la prova, non dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, bensì della “preponderanza dell'evidenza” ovvero del “più probabile che non”.

Si tratta pertanto di una differenziazione non sostanziale, ma soltanto processuale e relativa all'onere della prova.

A giustificare l'approccio di minor rigore sono i diversi interessi in gioco (si veda Cass. civ. S.U., 11 gennaio 2008, n. 581): la responsabilità civile assolve ad una funzione riparatoria, quella penale ad una funzione sanzionatoria sino alla limitazione della libertà personale, la responsabilità civile conosce forme di attribuzione della responsabilità diverse da quelle per colpa (presunzione di colpa, presunzione di causalità, responsabilità oggettiva), la responsabilità civile tutela beni ed interessi connotati da atipicità rispetto a quello penale ove gli interessi tutelati sono predeterminati in funzione del principio di tassatività e tipicità (Per l'approfondimento dei passaggi interpretativi del processo di diversificazione si veda Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2005, n. 7997).

Onere della prova

La natura contrattuale della responsabilità dell'infermiere impone l'applicazione dei principi espressi in tema da Cass. civ. S.U., n. 13533/2001 e, pertanto, il paziente che lamenti un danno, asseritamente provocato dall'infermiere, ha l'onere di allegare e provare l'esistenza del rapporto di cura, di allegare ma non provare l'inadempimento, consistente nell'aggravamento della situazione patologica o nell'insorgenza di nuove patologie per effetto della condotta del paramedico.

Le Sezioni Unite hanno, invero, ribaltato il sistema di ripartizione dell'onere probatorio, determinando a tale riguardo un superamento della distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato.

Sull'infermiere, così, a fronte delle istanze risarcitorie proposte dal paziente che lamenti un peggioramento del proprio stato di salute determinato dall'inadempimento dell'infermiere alle proprie obbligazioni professionali, incomberà l'onere di provare che la prestazione sanitaria è stata eseguita secondo diligenza e che gli esiti peggiorativi sono stati determinati da una causa imprevista e imprevedibile. Egli dovrà fornire la prova, in altre parole, che l'inadempimento alle proprie obbligazioni professionali è dipeso da causa a lui non imputabile, ex art. 1218 c.c. (da ultimo Cass. civ. sez. III, 31 luglio 2013, n. 18341; Cass. civ. S.U., 11 gennaio 2008, n. 577).

E' utile precisare che l'allegazione del creditore non può limitarsi ad indicare un comportamento qualsiasi, ma deve concretarsi nell'individuazione di un comportamento qualificato, ossia astrattamente efficiente alla produzione del danno. In particolare, per quanto concerne la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e la responsabilità professionale da contatto sociale del personale sanitario, l'attore (paziente danneggiato), deve provare sia il contratto (o il contatto sociale) che l'aggravamento della patologia o l'insorgenza di un'affezione ed, inoltre, allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Le Sezioni Unite della Cassazione (Cass., n. 577/2008, cit.) mostrano, invero, di aderire a quell'orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. civ. sez. III, 19 maggio 2004, n. 9471) secondo il quale grava sull'attore l'onere di allegare i concreti profili di colpa posti a fondamento della proposta azione risarcitoria, sebbene con qualche temperamento. Per le Sezioni Unite, invero, l'allegazione del creditore non può limitarsi ad un semplice inadempimento, di qualsiasi tipo ma deve riguardare un inadempimento astrattamente efficiente alla produzione del danno.

Tali oneri probatori, come chiarito dalla più recente giurisprudenza di legittimità in relazione all'attività medica (Cass. civ. sez. III, 9 ottobre 2012, n. 17143), restano fermi anche ove la prestazione del paramedico si configuri di speciale difficoltà, in quanto, l'esonero di responsabilità di cui all'art. 2236 c.c. non incide sui criteri di riparto dell'onere della prova ma costituisce soltanto, come sopra rilevato, parametro della valutazione della diligenza tenuta dal medico o dalla struttura sanitaria nell'adempimento.

Criteri di liquidazione del danno

Il risarcimento del danno patrimoniale, secondo la teoria della differenza, è disciplinato dalle regole di cui all'art. 1223 c.c. e deve ricomprende il danno emergente ed il lucro cessante ove provato rigorosamente dal danneggiato.

Il risarcimento del danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c., sub specie danno biologico o danno da lesione del diritto alla salute ex art. 32 Cost., deve essere quantificato ai sensi del d.l. 13 settembre 2012 n. 158, convertito in legge n. 189/2012, sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 d.lgs.7 settembre 2005 n. 209. Tuttavia ciò non esclude né la c.d. personalizzazione del danno, né la risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla lesione di altri diritti costituzionalmente garantiti.

Aspetti processuali

Gli aspetti processuali di maggiore interesse e difficoltà attengono:

  • per il danneggiato, alla prova della sussistenza del nesso di causalità ed all'allegazione della condotta astrattamente idonea a cagionare il danno in relazione agli specifici compiti affidati a ciascun operatore sanitario;
  • per l'infermiere, attengono alla dimostrazione, oltre all'eventuale assenza di colpa, della sussistenza delle circostanze esimenti la responsabilità, tipicamente la dimostrazione che gli apporti causali delle condotte degli altri operatori sono stati da soli sufficienti a cagionare l'evento;
  • per il Giudice, alla predisposizione di un quesito al C.T.U. che rilevi gli eventuali profili di colpa relativi alle competenze di ciascun operatore, nonché al grado di efficienza causale di ciascuna condotta.

Il mansionario

Mansioni di tipo organizzativo-amministrative dell'infermiere e mansioni assistenziali dirette ed indirette.

Le mansioni di tipo organizzativo-amministrative dell'infermiere emergevano dall'art. 1 ed erano così individuate:

a) programmazione di propri piani di lavoro e di quelli del personale alle proprie dipendenze, loro presentazione ai superiori e successiva attuazione;

b) annotazione sulle schede cliniche degli abituali rilievi di competenza (temperatura, polso, respiro, pressione, secreti, escreti) e conservazione di tutta la documentazione clinica sino al momento della consegna agli archivi centrali; registrazione su apposito diario delle prescrizioni mediche, delle consegne e delle osservazioni eseguite durante il servizio);

c) richiesta ordinaria e urgente di interventi medici e di altro personale a seconda delle esigenze sanitarie, sociali e spirituali degli assistiti;

d) compilazione dei dati sul movimento degli assistiti e collaborazione alla raccolta ed elaborazione di dati statistici relativi al servizio;

e) tenuta e compilazione dei registri e dei moduli di uso corrente;

f) registrazione del carico e scarico dei medicinali, dei disinfettanti, dei veleni e degli stupefacenti; loro custodia e sorveglianza sulla distruzione; custodia delle apparecchiature e delle dotazioni di reparto;

g) controllo della pulizia, ventilazione, illuminazione e riscaldamento di tutti i locali del reparto;

h) sorveglianza sulle attività dei malati affinché le stesse si attuino secondo le norme di convivenza prescritte dai regolamenti interni.

Ancora, è loro prescritto:

1) a partecipare alle riunioni periodiche di gruppo ed alle ricerche sulle tecniche e sui tempi dell'assistenza;

2) a promuovere tutte le iniziative di competenza per soddisfare le esigenze psicologiche del malato e per mantenere un clima di buone relazioni umane con i pazienti e con le loro famiglie;

3) ad eseguire ogni altro compito inerente alle loro funzioni.


Quanto alle mansioni assistenziali dirette ed indirette:

1) assistenza completa dell'infermo;

2) somministrazione dei medicinali prescritti ed esecuzione dei trattamenti speciali curativi ordinati dal medico;

3) sorveglianza e somministrazione delle diete;

4) assistenza al medico nelle varie attività di reparto e di sala operatoria;

5) rilevamento delle condizioni generali del paziente, del polso, della temperatura, della pressione arteriosa e della frequenza respiratoria;

6) effettuazione degli esami di laboratorio più semplici;

7) raccolta, conservazione ed invio in laboratorio del materiale per le ricerche diagnostiche;

8) disinfezione e sterilizzazione del materiale per l'assistenza diretta al malato;

9) opera di educazione sanitaria del paziente e dei suoi familiari;

10) opera di orientamento e di istruzione nei confronti del personale generico, degli allievi e del personale esecutivo;

11) interventi d'urgenza (respirazione artificiale, ossigenoterapia, massaggio cardiaco esterno, manovre emostatiche) seguiti da immediata richiesta di intervento medico;

12) somministrazione dei medicinali prescritti ed esecuzione dei seguenti trattamenti diagnostici e curativi ordinati dal medico: a) prelievo capillare e venoso del sangue; b) iniezioni ipodermiche, intramuscolari e test allergo-diagnostici; c) ipodermoclisi; d) su prescrizione e sotto controllo medico, vaccinazioni per via orale, per via intramuscolare e percutanee; e) rettoclisi; f) frizioni, impacchi, massaggi, ginnastica medica; g) su prescrizione e sotto controllo medico, applicazioni elettriche più semplici, esecuzione di e.c.g., e.e.g. e similari; h) medicazioni e bendaggi; i) clisteri evacuanti, medicamentosi e nutritivi; l) lavande vaginali; m) cateterismo nella donna; n) su prescrizione e sotto controllo medico, cateterismo nell'uomo con cateteri molli; o) su prescrizione e sotto controllo medico, sondaggio gastrico e duodenale a scopo diagnostico; p) su prescrizione e sotto controllo medico, lavanda gastrica; q) bagni terapeutici e medicati; r) prelevamento di secrezioni ed escrezioni a scopo diagnostico; prelevamento dei tamponi.

In ogni caso, si consentì agli infermieri professionali, soltanto nell'ambito di organizzazioni ospedaliere o cliniche universitarie e sotto indicazione specifica del medico responsabile del reparto, la pratica delle iniezioni endovenose.

Casistica

La casistica relativa alla responsabilità dell'infermiere è emblematica nel mettere in evidenza il suo ruolo di professionista autonomo e ad escludere che egli possa essere considerato quale mero esecutore materiale di quanto richiesto dai medici.

A riguardo, come sopra evidenziato, il formante penalistico è molto più copioso di quello civilistico e si individuano ipotesi significative di responsabilità dell'infermiere in relazione a casi di errore nella trasfusione di sangue (Cass. pen. sez. IV, 15 luglio 1991), laddove l'infermiera è stata ritenuta responsabile per aver omesso il controllo dei dati riportati su una sacca di sangue, utilizzata per effettuare la trasfusione ad un paziente appartenente ad un gruppo sanguigno diverso da quello segnato sulla sacca. Tale controllo fu ritenuto dai giudici non solo doveroso ma anche concretamente esigibile e, in particolare, fu ritenuto non invocabile il principio del legittimo affidamento per cui l'infermiere avrebbe confidato nel successivo e altrettanto doveroso controllo da parte del medico. Invero, i giudici rilevano come tale principio non può trovare applicazione nei confronti di chi già versa in colpa, configurandosi altrimenti una legittimazione dell'aspettativa che altri pongano rimedio ai propri errori.

Si configurano ipotesi di responsabilità dell'infermiere anche in relazione all'errore nella somministrazione dei farmaci. Quest'ultima rappresenta, invero, una classica prestazione infermieristica, che era, peraltro, espressamente prevista nel Mansionario (che richiedeva la corretta esecuzione della somministrazione). La giurisprudenza (Cass. pen. sez. IV, 25 ottobre 2000, n. 1878) ha affermato la responsabilità di una infermiera professionale per aver cagionato la morte di due pazienti in quanto, rispetto alle variazioni di dosaggio di un medicinale resesi necessarie in relazione al paziente, non si era attivata per ottenere una prescrizione per iscritto da parte del medico delle nuove dosi. Infatti, nel caso specifico, il medico si limitò a dare solo generiche indicazioni orali all'infermiera, la quale, senza richiedere al medico che modificasse per iscritto la prescrizione, delegò alla infermiera generica la preparazione della soluzione che causò la morte dei pazienti. Come rilevato dalla Corte, l'attività di preparazione del flacone non deve essere prestata in modo meccanicistico, bensì collaborando con il medico “al fine di richiamare l'attenzione su dubbi avanzati a proposito del dosaggio in presenza di una variazione del farmaco, conseguendo proprio dal dovere professionale l'obbligo di attivarsi in tal senso”.

La responsabilità, di tipo omissivo dell'infermiere è stata inoltre ravvisata in relazione alle ipotesi di mancata richiesta di intervento del medico a fronte di reiterate richieste di aiuto dei familiari ed amici. Una recente pronuncia del giudice penale (Cass. pen. sez. IV, 20 giugno 2011, n. 24573), a riguardo afferma che rientra nell'ambito dei doveri dell'infermiere quello di controllare la convalescenza del paziente ricoverato, al fine di permettere, nel caso si renda necessario, un tempestivo intervento del medico. Di tal guisa, in caso di dubbio ragionevole, fondabile anche sulle reiterate indicazioni dei parenti, si rende esigibile dall'infermiere la richiesta di intervento del medico.

La responsabilità per omissione è stata altresì ravvisata nella condotta dell'infermiere che non aveva apposto la sponda al letto del paziente (Cass. sez. IV pen., 12 febbraio 2012-17 maggio 2013 n. 21285)

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Il formante civilistico presenta una casistica meno variegata ma non per questo meno interessante. Emergono ipotesi di responsabilità dell'infermiere per errore nello spostamento del paziente dal tavolo operatorio alla barella (Cass. civ. sez. II, 21 gennaio 2000, n. 632) in cui, dopo aver accertato, in base alle risultanze della CTU medico-legale, che le lesioni riportate dal paziente non potessero essere eziologicamente riconducibili all'intervento chirurgico, si ritiene che esse dovessero esse determinate dalle probabili manovre di stiramento effettuate dal personale infermieristico nello spostamento del paziente, dopo l'intervento, dal letto alla barella. Tale sentenza rileva soprattutto sulla valutazione del nesso causale, in quanto accoglie la teoria, di matrice penalistica, della causalità adeguata, in base alla quale causa dell'evento è solo quella condizione che, secondo l'id quod plerumque accidit, ovvero secondo la comune esperienza, è la più idonea a produrlo. In base a tale impostazione, invero, esiste un rapporto giuridicamente rilevante di causa-effetto se l'agente ha determinato l'evento con un'azione o omissione che, secondo lo sviluppo eziologico normale della vicenda, è adeguata a produrlo.

La responsabilità dell'infermiere è stata affermata in sede civilistica anche in relazione alle ipotesi di omissione di vigilanza sui soggetti disabili, (Cass. civ. sez. I, 10 novembre 1997 n. 11038). La giurisprudenza in tale ipotesi ha sottolineato la sussistenza di un obbligo di sorveglianza da parte non solo del medico ma anche del personale sanitario, basato sulla stessa diagnosi dei sanitari, sulle precise prescrizioni affidate al personale infermieristico, la cui mancata osservanza determina un inadempimento dell'obbligo contrattualmente assunto di vigilanza e di assistenza.

Significativo è, infine, un arresto (Trib. Monza, 23 ottobre 2006) in cui è stato ravvisato un profilo di negligenza dell'ausiliaria nell'erronea applicazione di un dispositivo sul corpo del paziente, determinando un'ustione sul corpo dello stesso. Nel caso specifico venne, peraltro esclusa qualsivoglia responsabilità professionale dei chirurghi e dell'anestesista che ebbero ad eseguire l'intervento chirurgico, “considerato che l'infermiera professionale deve essere in grado di eseguire correttamente i compiti, di sua pertinenza, che gli vengono affidati dai medici”.

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