A seguito del decreto legislativo cd. Depenalizzazioni, il reato di ingiuria è divenuto illecito civile sottoposto a sanzione pecuniaria. In particolare, il D.lgs. 15 gennaio 2106, n. 7 recante «Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili» ed il D.Lgs. 15 gennaio 2106, n. 8 recante «Disposizioni in materia di depenalizzazione» sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2016 (attuazione della legge delega del 28 aprile 2014, n. 67). La depenalizzazione (che riguarda anche il reato di ingiuria: art. 1, D.lgs., n.7/2016) è quindi in vigore dal 6 febbraio 2016. L'ingiuria rimane, dunque, un comportamento illecito, ma senza avere più rilevanza penale.
Nozione
BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE
Integra il reato di ingiuria l'offesa all'onore o al decoro della persona presente (art. 594, comma 1, c.p.). L'offesa può essere rivolta anche tramite uno scritto o disegno di varia natura (art. 594, comma 2, c.p.). Aggravano il reato l'attribuzione di un fatto determinato (art. 594, comma 3, c.p.) o la compresenza alla dichiarazione offensiva di più persone (art. 594, comma 4, c.p.).
Autore del reato e vittima dello stesso possono essere qualunque persona (non è dunque richiesta alcuna particolare qualità soggettiva per essere autori o vittime del reato; né di cittadinanza, né di ruoli pubblici o privati o di altre qualità).
La fattispecie incriminatrice tutela espressamente l'onore e il decoro: più in generale, il bene giuridico tutelato è la dignità ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost. (Cass. pen., sez. V, sent., n. 34599/2008); bene giuridico della dignità qui rievocato come diritto inviolabile di ogni uomo e della sua personalità(artt. Cost. citati). Nell'ambito della Convenzione Europea per i diritti dell'uomo anche i diritti fondamentali di pensiero, coscienza, religione e il diritto di espressione (artt. 9 e 10 Cedu) trovano un limite esplicito nelle misure necessarie per salvaguardare i diritti e le libertà altrui e nelle norme poste a tutela della reputazione (artt. Cedu citati).
Elemento oggettivo
L'elemento oggettivo del reato di ingiuria è costituito dall'offesa all'onore e al decoro della persona presente. I concetti di onore e decoro non sono espressamente definiti da alcuna norma e rappresentano l'esempio più chiaro di come alcune categorie concettuali del diritto siano soggette a mutare nel corso del tempo. L'onore è costituito dalle qualità che concorrono a determinare il valore di un individuo; il decoro (l'insieme delle caratteristiche fisiche, intellettuali e sociali) si riferisce al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è sempre e comunque degno (così Cass. pen., sez. V, sent., n. 34599/2008); i due concetti possono essere intesi sia in senso soggettivo (percezione che la persona ha di sé); sia in senso oggettivo (percezione sociale).
Scorrendo la giurisprudenza della Corte di Cassazione si scopre come fino agli anni '70 – '80 circa la giurisprudenza di legittimità ha creduto di poter ancorare i concetti di onore e decoro a contenuti intrinseci e quasi immutabili nel tempo. La successiva accelerazione dei costumi e delle relazioni umane ha spinto la Suprema Corte a risolvere i casi portati alla sua attenzione fornendo all'interprete alcuni canoni di valutazione senza più affermare in maniera assoluta che una certa espressione ha o non ha un contenuto offensivo; piuttosto la Suprema Corte ha preferito offrire al giudice del merito dei canoni interpretativi di portata generale per valutare l'offensività di un espressione. I canoni individuati possono essere così riassunti:
il contesto spazio-temporale (così detto loci causa): l'espressione ingiuriosa deve essere contestualizzata nell'occasione in cui viene pronunciata (Cass. pe., sez. V, sent., n. 32907/2011), avendo riguardo alla sensibilità sociale dei presenti (in questo senso non si è ritenuto ingiurioso dare del «bugiardo e mentitore» all'amministratore di condominio, stante la nota conflittualità che anima le assemblee condominiali (Cass. pen., sez. V, sent., n. 10420/2007; al contrario, i rapporti di buon vicinato (proprio perché vanno preservati come tali, essendo necessari per la civile convivenza di ogni giorno) non rendono lecito l'uso di espressioni ordinariamente percepite come offensive (Cass. pen., sez. V, sent., n. 32738/2010).
il canone della così detta «media convenzionale» (Cass. pen., sez. V, sent. n. 39454/2005), là dove la parola “media” fa riferimento al significato mediamente attribuito in un certo ambiente ad una parola o ad una espressione. L'aggettivo “convenzionale” esplicita ulteriormente il significato non oggettivo (oggettivamente offensivo o, al contrario, innocuo) di un'espressione ma il senso convenzionalmente attribuitogli da una concreta comunità di persone (secondo questo criterio la parola “bastardo”, pur distaccandosi completamente dall'originario significato di figlio illegittimo, conserva comunque un valore ingiurioso riconducibile a «farabutto; mascalzone»: Cass. pen., sez. V, sent., n. 32738/2010).
Rapporto tra significato oggettivo dell'espressione ingiuriosa e significato specificamente attribuito dalle parti (offensore ed offeso). Secondo questo criterio l'espressione «non rompermi le scatole» veniva giudicata intrinsecamente offensiva nel risalente 1986 (Cass. pen., sez. V, sent., n. 5708/1986) e, al contrario, valutata come penalmente irrilevante nei più recenti anni 2005 – 2010 (Cass. pen., sez. V, sent., n. 39454/2005; Cass. pen., sez. V, sent., n. 21264/2010).
La giurisprudenza di legittimità tende, tuttavia, a trovare degli ulteriori canoni interpretativi “di chiusura” ritenendo, per un verso, che vi siano parole/espressioni intrinsecamente offensive perché contrasti con valori della persona riconosciuti come tali dall'ordinamento giuridico (specialmente a livello costituzionale) (Cass. pen., sez. V, sent., n. 11632/2008); per altro verso la giurisprudenza di legittimità ha espresso (in diversi ambiti e settori giuridici) il criterio della così detta «gerarchia mobile» (Cass. civ., sez. L, sent. n. 18279/2010) in virtù del quale in caso di conflitto tra beni giuridici tutti tutelati dall'ordinamento (aventi cioè “copertura” costituzionale), è compito dell'interprete valutare (con adeguata motivazione) quale bene debba essere sacrificato a favore dell'altro. Nel caso di specie (reato di ingiuria), la tutela dell'onore e del decoro potrebbero entrare in conflitto con il diritto di critica, con quello di cronaca e col diritto di libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.).
Concludendo la trattazione dedicata all'elemento oggettivo della fattispecie del reato di ingiuria, occorre ricordare che il requisito della presenza dell'offeso è assicurata anche da qualsiasi forma di comunicazione rivolta allo stesso (art. 594, comma 2, c.p.). Il ricorso ad un intermediario (che si curerà di recapitare un messaggio verbale o scritto) determina ugualmente il perfezionamento del reato nel momento in cui l'intermediario recapita il messaggio offensivo (Cass. pen., sez. V, sent., n. 16425/2008 relativa ad una mail che sarebbe stata inoltrata anche alla persona offesa; il caso della e-mail rivolta a destinatari plurimi (tra cui anche la persona cui sono rivolte le offese, è stato risolto in modo contrastante dalla giurisprudenza: a volte ritenendo il concorso tra diffamazione ed ingiuria (Cass, sez. V, sent., n. 12160/2002), altre volte ritenendo che fosse ravvisabile la sola diffamazione; non potendosi ipotizzare il concorso tra i due reati (Cass. pen., sez. V, sent., n. 44980/2012).
Il fatto che la persona offesa sia presente ma non percepisca integralmente l'offesa ricevuta è irrilevante se i compresenti la mettono immediatamente a conoscenza dell'offesa (Cass. pen., sez. V, sent., n. 4872/1972).
Risulta invece controverso (e contraddittorio) il rilievo da attribuire alla capacità dell'offeso di percepire l'espressone offensiva (e il tema è delicato nella prospettiva del risarcimento del danno): il dato testuale della norma incriminatrice (l'offesa ad un persona presente) e la prevalente interpretazione giurisprudenziale (a partire da Cass. Penale, sez. V, sent., n. 11909/1975) sembrerebbe richiedere il turbamento della dignità quale conseguenza dell'offesa subita. Tuttavia la L. n. 104/1992 in materia di diritti delle «persone handicapate» prevede un'aggravante applicabile a tutti i delitti dolosi contro la persona (quindi anche all'ingiuria), ipotizzando che la persona offesa possa essere una persona (anche totalmente) menomata dal punto di vista sensoriale (ad es. sorda) o psichico. La dottrina tradizionale ha sempre ritenuto l'ingiuria un reato di pericolo e come tale posto a tutela della dignità, a prescindere dall'effettivo turbamento percepito dalla vittima. Ciò che rileverebbe sarebbe dunque l'offensività (infatti la veridicità o meno della qualifica attribuita è ordinariamente irrilevante ex art. 596, comma 1, c.p.).
La persona giuridica in quanto tale non può essere vittima di ingiuria; tuttavia l'ingiuria rivolta contro una persona giuridica può costituire ingiuria nei confronti del suo titolare o dei suoi legali rappresentati se vi è immediata riconducibilità a questi ultimi (Cass. pen., sez. V, sent., n. 6265/1980). L'onore dei defunti è tutelato da un'apposita norma (art. 597 comma 3, c.p.) e non dalla norma sull'ingiuria.
Elemento soggettivo
Il reato di ingiuria non richiede la volontà specifica di offendere l'onore o il decoro; è quindi sufficiente il dolo generico, relativo alla consapevolezza della portata offensiva delle parole o degli scritti. Il reato è compatibile con il dolo eventuale (Cass. pen., sez. V, sent., n. 7597/1999) (sulla sufficienza del dolo generico e sulla possibilità anche del dolo eventuale v. anche Cass. pen., sez. V, sent., n. 6169/2012).
L'eventuale finalità ludica va valutata alla luce dei criteri sopra ricordati (v. elemento oggettivo) circa la rilevanza obiettiva dell'offensività di quanto detto o scritto.
Le aggravanti
Lo stesso art. 594 c.p. indica due circostanze aggravanti: la determinatezza del fatto attribuito (al comma3) e la presenza di più persone (comma 4). Il fatto attribuito rimane determinato a prescindere dall'indicazione di precisi riferimenti di tempo o di luogo. Sulla scorta della ricostruzione della fattispecie fin qui operata occorre ritenere che almeno una delle più persone compresenti abbia percepito l'offesa rivolta alla vittima (aggravando così il disonore causato alla stessa).
Il d.l. 122/1993 convertito nella legge 205/1993, oltre ad aver introdotto il delitto di istigazione all'odio o alla discriminazione raziale, ha introdotto (art. 3 legge cit.) anche un'aggravante di portata generale, applicabile a tutti i reati «commessi per finalità di discriminazione o odio raziale, etnico, nazionale, religioso …». Il reato di ingiuria è certamente uno di quelli che si presta maggiormente all'applicazione di tale aggravante. Mentre in sede di prima e più remota interpretazione la Suprema Corte aveva ritenuto che l'aggravante sussistesse solo se l'offesa fosse idonea a suscitare e incrementare forme di odio o di discriminazione (Cass. pen., sez. V, sent., n. 44295/2005), più recentemente tutta la giurisprudenza di legittimità sembra orientata nel senso di ritenere sussistente l'aggravante ogni qual volta l'offesa sia resa più grave da un pregiudizio (raziale, etnico, nazionale o religioso) che l'ordinamento giuridico ritiene a priori infondato e connotato dal disvalore della inconcepibile disuguaglianza tra gli essere umani (disuguaglianza “ontologica” in contrasto con gli art. 3 Cost. e art. 14 Cedu). (da ultimo v. Cass. pen., sez. V, sent., n. 22570/2010).
Rapporti con altre figure di reato: diffamazione, molestie, atti contrari alla pubblica decenza, percosse o lesioni
Il reato di diffamazione è disciplinato dall'art. 595 c.p., articolo immediatamente successivo a quello dell'ingiuria. I punti di contatto tra le due ipotesi di reato sono molti (offesa dell'onore o del decoroper l'ingiuria; offesa della reputazioneper la diffamazione); la differenza essenziale risiede nella presenza della persona offesa (ingiuria) piuttosto che nel comunicare con più persone (diffamazione). I due reati, però, potrebbero concorrere ogni qual volta la comunicazione offensiva sia diretta sia all'interessato che a terze persone (da ultimo v. Cass. pen., sez. V, sent., n. 48651/2009): le norme incriminatrici descrivono, infatti, due fattispecie diverse, con lesione del bene della dignità in forme e intensità diverse (la questione rimane controversa in giurisprudenza: vedi casistica).
Le molestie alle persone (art. 660 c.p.) sono un reato contravvenzionale caratterizzato da molestia o disturbo dovuti a motivi biasimevoli. La norma fa riferimento al mezzo del telefono e la casistica annovera sempre più spesso (oltre al caso delle telefonate ripetitive ed inopportune) anche il caso di SMS (Cass. pen., sez. I, sent., n. 18449/2009) e simili: qualora tali comportamenti siano non solo molesti ma anche offensivi, il reato di molestie può concorrere con quello di ingiuria (v. Cass. pen., sez. I, sent., n. 21158/2007), anche in considerazione del fatto che i beni giuridici protetti (tranquillità in un caso; onore e decoro nell'altro) sono differenti.
Gli atti contrari alla pubblica decenza sono un'ipotesi di reato contravvenzionale (art. 726 c.p.) caratterizzato da comportamenti in luogo pubblico o aperto al pubblico contrari alla decenza (il reato di turpiloquio è stato abrogato con l. n. 205/1999). Anche in questo caso gli atti indecenti possono essere contemporaneamente atti offensivi dell'onore o del decoro di una persona presente, così comportando il concorso dei due reati (da ultimo v. Cass. pen., sez. V, sent., n. 2194/1986)
I comportamenti contro l'incolumità fisica (come schiaffi, spinte e simili) integrano ordinariamente i reati di percosse o lesioni (artt. 581 e 582 c.p.). Tuttavia, nel caso in cui si tratti di una violenza simbolica più che altro volta a manifestare disprezzo, allora tali comportamenti potrebbero integrare il solo reato di ingiuria (Cass. pen., sez. V, sent. n. 12674/2010). La dottrina ha spesso ipotizzato il caso della ostentata negazione del saluto come ipotesi di offesa all'onore, ma la giurisprudenza non ha avallato tale ipotesi.
Le scriminanti della ritorsione (o reciprocità) e della provocazione: art. 599 c.p.
L'art. 599 c.p. introduce due diverse situazione scriminanti. La prima riguarda la reciprocità delle offese e la seconda riguarda quella della provocazione. La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare che la provocazione è scriminante anche se non ha immediatamente preceduto la successiva ingiuria ma è comunque legata da una ragionevole continuità temporale (Cass. pe., sez. V, sent. n. 30502/2013); tra provocazione ed ingiuria non è necessario che vi sia proporzionalità delle offese ma è sufficiente la sussistenza di un nesso causale (Cass. pen, sez. V, sent., n. 43173/2012). La ratio delle due scriminanti deve in generale essere rinvenuta nel turbamento che è provocato dal comportamento altrui, senza che debba sussistere in astratto la punibilità di entrambi i comportamenti (Cass. pen., sez. V, sent. n. 34899/2010).
Aspetti processuali
La competenza a giudicare in materia di ingiuria è sempre del GdP (comprese le ipotesi aggravate dei commi 3 e 4 art. 594 c.p.). Soltanto la presenza di aggravanti molto particolari (ad es. la finalità terroristica) elencate nel D.lgs. n. 274/2000 (legge sulla competenza penale del GdP), art. 4, comma 3, fa scattare la competenza del tribunale (Cass. pen., sez. I, sent., n. 15465/2010). Frequentemente l'ingiuria è connessa a reati più gravi e quindi di competenza del tribunale e ciò determina la competenza di quest'ultimo per ragioni di connessione (art. 6, comma 2, D.lgs. n.274/2000).
Non sono consentititi arresto, fermo o misure cautelari di alcun genere.
La procedibilità è sempre a querela di parte.
La prescrizione è quella ordinaria dei delitti e non quella speciale (3 anni) per i reati di esclusiva competenza del GdP (Cass. pen., Sez. V, sent. n. 42069/2007).
Le pene irrogate dal GdP non contemplano la possibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena.
La trasformazione del reato di ingiuria in illecito civile-amministrativo
Il D.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 recante «Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili» ed il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 recante «Disposizioni in materia di depenalizzazione» sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2016 (attuazione della legge delega del 28 aprile 2014, n. 67). La depenalizzazione (che riguarda anche il reato di ingiuria: art. 1, D.lgs., n.7/2016) è quindi in vigore dal 6 febbraio 2016.
L'ingiuria rimane, dunque, un comportamento illecito, ma senza avere più rilevanza penale (v. A. Leopizzi, Illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie, in Ri.Da.Re.).
La principale novità, rispetto ai comuni illeciti civili, sta nel fatto che il giudice civile (art. 8 D.lgs. n. 7/2016) che dovesse riconoscere un risarcimento alla persona ingiuriata secondo gli ordinari parametri del risarcimento da fatto illecito, potrà irrogare anche una «sanzione pecuniaria civile» in favore dello Stato (da € 100 ad € 8.000; artt. 3 - 5 D.lgs. n. 7/2016). Tale eventualità richiede, tuttavia, che la persona offesa abbia promosso una causa civile (nessun automatismo è previsto da parte dell'Amministrazione Pubblica).
Anche nella nuova veste di illecito civile/amministrativo è sopravvissuta la esimente della provocazione (art. 4, comma 2,D.lgs. n. 7/2016).
È prevedibile, tuttavia, che rispetto ad altre fattispecie trasformate da illecito penale (reato) ad illecito civile/amministrativo, l'ingiuria potrà porre dei problemi di carattere processuale. Infatti mentre in sede penale la testimonianza della persona offesa da reato è pienamente ammissibile e può anche essere da sola sufficiente a provare la colpevolezza dell'imputato (Cass., sez. I, sent., 24 giugno 2010, n. 29372); al contrario, in sede civile, l'ingiuriato sarebbe attore del processo e non potrebbe avere anche il ruolo di testimone (il problema probatorio non si porrebbe nel caso della compresenza di più persone prevista dall'aggravante del vecchio comma 4 dell'art. 594 c.p.).
Attenzione, però, perché la sanzione amministrativa sarà molto più pesante rispetto alle vecchie sanzioni penali.
In base alle nuove disposizioni viene sancita la depenalizzazione di tutti i reati per cui è stabilita la sola pena della multa o dell'ammenda, previsti al di fuori del codice penale. Diventano, quindi, illeciti civili i reati indicati nel provvedimento legislativo, tra cui l'ingiuria.
Nesso di causalità
Tra le espressioni o lo scritto rivolti alla vittima dell'ingiuria e la lesione del bene giuridico dell'onore o del decoro deve evidentemente intercorrere un diretto nesso di causalità. La parole o lo scritto offensivo devono essere stati quindi in grado di comprometterne l'onore (cioè le qualità individuali) o il decoro (cioè il rispetto che ogni essere umano merita) della vittima (Cass. pen., sez. V, sent., n. 34599/2008).
Criteri di liquidazione del danno e costituzione di parte civile
L'ingiuria (insieme con il solo reato di diffamazione) è uno dei due delitti contemplati dal c.p. contro l'onore (Capo II dei delitti contro la persona). Il reato produce certamente un danno morale, come tale riconducibile alla più generale categoria del danno non patrimoniale (i beni dell'onore e del decoro sono certamente beni non patrimoniali).
Gli aspetti generali che possono incidere sull'entità del danno (e del conseguente risarcimento) sono certamente riconducibili al numero e alla gravità delle offese arrecate. Sono inoltre riconducibili alla sussistenza di eventuali aggravanti (a cominciare da quelle previste dallo stesso art. 594 c.p., quali l'attribuzione di un fatto determinato (che rende l'offesa più pungente) o la compresenza di altre persone alle lesione dell'onore o del decoro (situazione che determina una maggiore sofferenza – almeno potenziale - della vittima dell'offesa).
Sebbene sia sufficiente a configurare il reato il solo dolo generico, tuttavia l'intensità del dolo e l'eventuale presenza di un animus inuriandi vel nocendi incide sull'entità della lesione della dignità e sul conseguente risarcimento. Anche il mezzo utilizzato per esporre l'ingiuria alla vittima (l'art. 594 c.p. fa riferimento anche a scritti e disegni) può influire sull'entità del danno. Il criterio della contestualizzazione (sociale, spaziale e temporale) oltre ad incidere sulla determinazione della valenza offensiva o non offensiva delle espressioni rivolte alla vittima, può incidere sulla gravità della lesione arrecata alla dignità. In questo ambito rientreranno, ma con un loro peso specifico, i comportamenti che hanno preceduto e seguito l'atto ingiurioso.
In tema di costituzione di parte civile per il risarcimento del danno da ingiuria, è utile rammentare che la Suprema Corte (superando un precedente orientamento) ha ritenuto che sia sufficiente che la persona offesa espliciti la pretesa fatta valere, senza necessità di enucleare le ragioni atte a determinarne l'accoglimento; nel caso dell'ingiuria, infatti, il rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa azionata è immediato e risulta sufficiente il richiamo al capo di imputazione (Cass. pen., sez. V, sent., n. 6910/1999).
L'estinzione del reato prevista in caso di preventiva riparazione del danno (art. 35 d.lgs. n. 274/2000) per i reati giudicati dal GdP può essere pronunciata anche in caso di sospensione dell'udienza dibattimentale finalizzata proprio a consentire la riparazione (Cass. pen., sez. V, sent., n. 44394/2013).
Casi pratici di liquidazione del danno nella più recente giurisprudenza
Per tutti i reati che non arrecano un danno patrimoniale (come tale più facilmente quantificabile), occorre ribadire il principio (già sopra implicitamente richiamato) secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale non potrà che essere di tipo equitativo (e quindi con ampia discrezionalità, da riferire al caso concreto). A tale proposito afferma Cass. pen., sez. V, sent. n. 32463/2013: «Quanto alla somma liquidata dalla Corte territoriale […] Va anche rilevata la sua piena conformità alla forma equitativa: secondo un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale, unica forma possibile di liquidazione di danni privi di caratteristiche patrimoniali è quella equitativa, in cui la dazione di somma di denaro non è reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico. E' quindi logicamente escluso che il giudice abbia l'obbligo - in assenza di parametri normativi di commutazione - di scandire gli specifici elementi valutativi da lui considerati nella quantificazione della entità del danno e della correlata dimensione del ristoro pecuniario, a fronte di accertati comportamenti, che inequivocabilmente sono da ritenere, secondo la comune esperienza e secondo consolidati criteri della civile convivenza - fonte di sofferenza per chi ne sia stato investito»
Fatta questa premessa di carattere generale è molto interessante richiamare una sentenza del Tribunale di Monza, 5 aprile 2010 che in sede civile accerta incidentalmente la sussistenza del reato di ingiuria e liquida il conseguente risarcimento del danno. L'ingiuria era stata perfezionata dall'autore del reato tramite il noto social network Facebook e, specificamente, tramite messaggi inviati da un uomo alla ex fidanzata e contenenti espressioni offensive: «Senti brutta Troia strabica che non sei altro…». Il Giudice da atto dei contrasti esistenti nella giurisprudenza di legittimità circa l'esistenza o meno di un'autonomia del danno morale rispetto alla più ampia categoria del danno non patrimoniale (Cass. civ., sent. 12 dicembre 2008 n. 29191; Cass. civ.,
Sez. Un., sent. 11 novembre 2008 n. 26972 e 26975) ma, con un'indicazione di grande utilità pratica, fa rilevare che la distinzione teorica risulta del tutto irrilevante per quei danni da reato che (per previsione di legge) riguardano beni giuridici di carattere non patrimoniale. La sentenza ricorda anche che i danni non patrimoniali risarcibili sono non solo quelli da reato ma anche quelli che pregiudicano qualsiasi valore di rilievo costituzionale (Corte Cost., sent., 30 giugno 2003 n. 233). Sulla scorta di queste premesse la sentenza arriva a determinare la liquidazione del danno per le già ricordate (e più volte reiterate) ingiurie: «Qui va rimarcata la risarcibilità, attesi i limiti della domanda attrice, del solo danno morale soggettivo inteso quale “transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima” del fatto illecito, vale a dire come complesso delle sofferenze inferte alla danneggiata dall'evento dannoso, indipendentemente dalla sua rilevanza penalistica. Rilevanza che, peraltro, ben potrebbe essere ravvisata nel fatto dedotto in giudizio, concretamente sussumibile nell'ambito della astratta previsione di cui all' art. 594 c.p. (ingiuria) … Elemento, quest'ultimo, idoneo ad ulteriormente qualificare la potenzialità lesiva del fatto illecito, in uno con i documentati problemi di natura fisica ed estetica sofferti da Mevia (doc.1). Alla luce di quanto accertato in fatto, della evidente lesione di diritti e valori costituzionalmente garantiti (la reputazione, l'onore, il decoro della vittima) e delle conseguenti indubbie sofferenze inferte all'attrice dalla vicenda della quale si discute, in via di equità, può essere liquidata ai valori attuali, a titolo di danno morale ovvero non patrimoniale, la somma di € 15.000,00».
Casistica
Il reato di ingiuria non rimane assorbito in quello di resistenza a pubblico ufficiale del quale non costituisce elemento costitutivo e che tutela dei beni giuridici completamente diversi (Cass. pen., sez. V, sent., n. 49478/2013).
L'espressione «mascalzone» utilizzata nell'ambito delle attività sindacali (dove è consentito l'uso di espressioni più forti e pungenti rispetto ad un normale contesto) non costituisce reato (Cass. pen., sez. V, sent., n. 46424/2013); anche in ambito sindacale, tuttavia, l'espressione che non consista in un dissenso motivato ed espresso in termini misurati ma costituisca un attacco personale integra il reato di ingiuria (Cass. pen., sez. V, sent., n. 35992/2013).
Non hanno contenuto ingiurioso le espressioni finalizzate a dichiarare insofferenza (nel caso di specie l'imputato aveva usato l'espressione «… mi hai rotto i coglioni» nel corso di una animata discussione) (Cass. pen., sez. V, sent., n. 19223/2012).
Il delitto di maltrattamenti in famiglia in danno del coniuge assorbe i reati di ingiuria, molestia e atti persecutori… (Cass. pen., sez. VI, sent., n. 7369/2012).
Il diritto di critica politica può essere scriminante rispetto al reato di ingiuria nella misura in cui le espressioni utilizzate, per quanto pungenti, abbiano attinenza con l'attività politica (sentenza resa con riferimento ad affermazioni sulla fedina penale di un consigliere comunale e della sua famiglia (Cass. pen., sez. V, sent., n. 7626/2011); allo stesso modo gli appellativi di «buffone, ridicolo» rivolti da un cittadino al sindaco con riferimento alla sua attività politica e non alla sua dignità personale escludono il reato di ingiuria (Cass. pen., sez. V, sent., n. 4129/2007).
Ha natura offensiva l'espressione «zappatore» qualora nel contesto in cui sia pronunciata riveste il significato di «incompetente» (Cass. pen., sez. V, sent. n. 30187/2011).
La cosiddetta “pregiudizialità disciplinare” in ambito sportivo (articolo 2 l. 280/2003) non opera quando gli illeciti sportivi costituiscano anche illecito penale (nel caso di specie, ingiuria) (Cass. pen., sez. V, sent., n. 21301/2011).
Il verbale di un processo civile contenente un'espressione ingiuriosa può essere validamente acquisito nel procedimento penale quale documento dotato di pubblica fede ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. (Cass. pen., sez. V, sent., n. 22601/2010).
Apporre sulla porta del garage del vicino un cartello con la dicitura «siete dei ladri» integra il reato di ingiuria (essendo rivolto direttamente al destinatario) e non quello di diffamazione (Cass. pen., sez. V, sent., n. 19544/2010).
La scriminante della reciprocità delle offese (art. 599 c.p.) non distingue tra chi abbia offeso per primo e chi per secondo (Cass. pen., sez. V, sent., n. 48650/2009)
L'esibizione dell'organo genitale maschile integra il delitto di atti osceni e non il delitto di ingiuria (Cass. pen., sez. III, sent., n. 46356/2008)
Si giova della scriminante della provocazione (art. 599 c.p.) il marito che ingiuria la ex moglie che lo costringeva ad incontrare la propria bambina soltanto alla presenza di un familiare e filmando con videocamera l'intero incontro (Cass. pen., sez. V, sent., n. 40256/2008)
Non integra il delitto di ingiuria la comunicazione scritta con cui l'assistito indica al proprio avvocato di voler recedere dal rapporto fiduciario a causa di un grave e reiterato inadempimento professionale e di indebita percezione del corrispettivo (Cass. pen., sez. V, sent., n. 29413/2007)
Apostrofare una persona con l'aggettivo «marocchino» inteso in senso discriminatorio integra il reato di ingiuria aggravata (Cass. pen., sez. V, sent., n. 19378/2005)
Il genitore che utilizzi espressioni volgari nei confronti della propria figlia non può invocare a propria difesa lo ius corrigendi (Cass. pen., sez. V, sent., n. 12521/1994); analogamente risponde del reato di ingiuria l'insegnante che si rivolga ad un alunno minorenne con gli epiteti «stupido, imbecille, idiota e omosessuale» (Cass. pen., sez. V, sent., n. 12510/1994).