Responsabilità civile
RIDARE

Proprietà intellettuale e industriale (risarcimento del danno da lesione della)

08 Aprile 2015

L'art. 125 c.p.i. detta una disposizione volta a regolare le modalità di ristoro del titolare del diritto leso in materia di violazioni di diritto industriale. Sono diritti di proprietà industriale i segni distintivi – marchi, ditta, insegna, indicazione geografica, denominazione d'origine - le informazioni riservate, le innovazioni tecniche e di design, che hanno per oggetto invenzioni, modelli d'utilità, disegni e modelli industriali e nuove varietà vegetali. Diritti “titolati” sono quelli che si acquistano mediante brevettazione (invenzioni, modelli di utilità e nuove varietà vegetali) e registrazione (marchi, disegni e modelli, topografie dei prodotti e dei semiconduttori), mentre diritti “non titolati” inseriti all'interno del codice di proprietà industriale sono i segreti industriali, i marchi non registrati, le indicazioni geografiche e le denominazione d'origine.

Nozione

BUSSOLA IN FASE DI AGGIORNAMENTO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE

L'art. 125 c.p.i. , intitolato «Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell'autore della violazione», detta una disposizione volta a regolare le modalità di ristoro del titolare del diritto leso in materia di violazioni di diritto industriale. Sono diritti di proprietà industriale i segni distintivi – marchi, ditta, insegna, indicazione geografica, denominazione d'origine - le informazioni riservate, le innovazioni tecniche e di design, che hanno per oggetto invenzioni, modelli d'utilità, disegni e modelli industriali e nuove varietà vegetali. Diritti “titolati” sono quelli che si acquistano mediante brevettazione (invenzioni, modelli di utilità e nuove varietà vegetali) e registrazione (marchi, disegni e modelli, topografie dei prodotti e dei semiconduttori), mentre diritti “non titolati” inseriti all'interno del codice di proprietà industriale sono i segreti industriali (artt. 98 e 99 c.p.i.), i marchi non registrati, le indicazioni geografiche e le denominazione d'origine (art. 29 c.p.i.).

La nuova formulazione dell'art 125 c.p.i. è stata introdotta dall'art. 17, d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140, in attuazione dell'art. 13 della direttiva 2004/48/CE - cd. Direttiva E nforcement - sul rispetto dei diritti di proprietà industriale e prevede regole volte ad agevolare un ristoro da parte dell'autore della contraffazione in favore del danneggiato.

Il danno patrimoniale risarcibile consiste, secondo le regole generali, nel danno emergente e nel lucro cessante.

Il danno emergente comprende le spese sostenute dal danneggiato per promuovere il segno distintivo e rese inutili dalla violazione (ad es. le spese pubblicitarie), nonché quelle affrontate a causa della contraffazione (spese di accertamento della contraffazione, spese di consulenza, di pubblicità per porre rimedio alla contraffazione e agli effetti screditanti, di disturbo e di perdita del credito: Trib. Milano, 21 febbraio 2009; Trib. Milano, 30 gennaio 2009).

Il lucro cessante coincide con il mancato profitto del titolare del diritto leso.

La liquidazione del danno dovuto al danneggiato, che può essere equitativa in forza del richiamo all'art. 1226 c.c., tiene conto, oltre che delle conseguenze economiche negative per il titolare del diritto leso, anche dei benefici realizzati dall'autore della violazione e, nei soli «casi appropriati», del danno morale arrecato e può essere fatta in una somma globale «stabilita in base agli atti di causa e alle presunzioni che ne derivano».

Nel caso di impossibilità d'identificare il lucro cessante secondo le regole generali, e cioè attraverso la prova delle mancate vendite del titolare, l'art. 125, comma 2, c.p.i., una regola sussidiaria che consente “comunque” la determinazione del lucro cessante, in un importo «non inferiore a quello del compenso che il contraffattore avrebbe dovuto pagare al titolare qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso ». Si tratta di una criterio che postula presuntivamente iuris et de iure il consenso del titolare del diritto allo sfruttamento del suo diritto e che può trovare applicazione anche quando il consenso in concreto non sarebbe stato concesso. Il criterio è penalizzante per il soggetto danneggiato perché presuppone l'esistenza di un consenso alla concessione della licenza, anche nelle ipotesi in cui esso non vi sarebbe stato.

In attuazione della direttiva Enforcement 2004/48/CE, il d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140 ha introdotto, al comma 3, dell'art. 125 c.p.i., il rimedio della retroversione degli utili. Su istanza del danneggiato, in alternativa al risarcimento del danno per lucro cessante, l'autore della contraffazione può essere condannato alla restituzione degli utili dal medesimo realizzati in conseguenza della violazione (art. 125, comma 3, c.p.i.).

Tale misura, in presenza della domanda di parte, può essere cumulata con il risarcimento del danno per lucro cessante nella sola ipotesi in cui gli utili realizzati dal contraffattore eccedano la somma dovuta a titolo di risarcimento del lucro cessante (art. 125, comma 3, c.p.i.).

Le misure del risarcimento del danno e della reversione degli utili vanno considerate misure «operativamente e concettualmente distinte essendo riconducibili rispettivamente al profilo della reintegrazione del patrimonio leso ed a quello – ben diverso - dell'arricchimento senza causa » (cfr. relazione al d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140).

La diversa natura dei rimedi del risarcimento del danno e della reversione degli utili, pur inseriti nella medesima disposizione, rende opportuna la loro trattazione separata, con l'avvertenza che i benefici realizzati dal contraffattore possono essere tenuti in conto, non solo, come è naturale, nella quantificazione degli utili da restituire ai sensi dell'art. 125, comma 3, c.p.i., in presenza di domanda di parte, ma anche nella liquidazione del danno patrimoniale da lucro cessante ai sensi del primo comma dell'art. 125 c.p.i..

Elemento oggettivo

a) Il risarcimento del danno ex art. 125, comma 1, c.p.i .

Il danno risarcibile in materia di diritto industriale è patrimoniale o non patrimoniale (l'art. 125 c.p.i., a differenza dell'art. 158 materia di diritto autore - L. 22 aprile 1941, n. 633 -, menziona espressamente il diritto morale).

Il danno patrimoniale risarcibile, di regola identificato nel danno emergente e in quello da lucro cessante, tiene conto, nel diritto industriale, per espressa disposizione normativa, di tutte le componenti economiche negative, tra le quali il mancato guadagno del titolare del diritto leso e i benefici realizzati dal contraffattore.

Il risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante, secondo la nozione civilistica classica, corrisponde ai mancati profitti del titolare del diritto leso conseguenti alla violazione ed è accertabile mediante la prova della diminuzione delle vendite subite dal soggetto danneggiato a causa dell'illecito.

Il risarcimento del danno patrimoniale non si esaurisce nel danno emergente e in quello da lucro cessante, ma può comprendere anche altri elementi economici tra cui, in primis, il profitto del contraffattore. Per tale ragione, la dottrina ha rilevato che il risarcimento del danno patrimoniale può eccedere i mancati utili del soggetto danneggiato, ritenendosi superato nella materia del diritto industriale il principio della responsabilità civile secondo cui il risarcimento non può determinare alcun arricchimento del danneggiato (Ricolfi, Spolidoro).

I benefici del contraffattore rappresentano un elemento integrativo di quantificazione del danno patrimoniale subito dal titolare del diritto leso, in conformità alll'art. 125, comma 1, c.p.i., mentre costituiscono l'unica componente da considerare per la quantificazione della retroversione degli utili, chiesta dal titolare della privativa ai sensi dell'art. 125, comma 3,c.p.i..

Il danno morale, o pregiudizio non economico, è uno delle componenti che può essere tenuto in considerazione «nei soli casi appropriati» di violazione di diritti della proprietà intellettuale, per espressa previsione dell'art. 125, comma 1, c.p.i.. Si tratta di un'ipotesi di danno non patrimoniale per il quale la legge ne consente la risarcibilità, senza che sia astrattamente configurabile un reato e pur in mancanza di violazione in modo grave di diritti inviolabili della persona (Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26975; Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26974; Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26973). Con una formula molto elastica, la legge subordina la risarcibilità alla sola esistenza di «casi appropriati», suggerendo all'interprete, cui spetta la loro individuazione, che il danno non è dovuto in qualsiasi caso di violazione di diritto di proprietà industriale.

Il danno non patrimoniale può riferirsi alla lesione dell'immagine e del prestigio imprenditoriale, per gli effetti screditanti, di svilimento, di diluizione o di perdita di forza attrattiva dei segni distintivi, ad esempio conseguente alla vendita di prodotti contraffatti ad un prezzo inferiore o di qualità scadente (Trib. Milano, 9 luglio 2014, n. 9191; Trib. Milano, 9 ottobre 2013, n. 12546).

Caso tipico di lesione del diritto morale è rappresentato dalla violazione del diritto dell'inventore ad essere riconosciuto autore dell'invenzione.

b) Il risarcimento del danno secondo il criterio del giusto corrispettivo

Il giusto corrispettivo, equivalente al canone che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare in caso di licenza, rappresenta il criterio alternativo di liquidazione del danno da lucro cessante, contemplato dal comma 2, dell'art. 125 c.p.i.. Tale criterio consente di quantificare il danno patrimoniale da lucro cessante nella misura minima dovuta al soggetto titolare del diritto leso. Il risarcimento di tale danno non può essere inferiore all'ammontare del canone che sarebbe stato versato al titolare del diritto in caso di licenza. Si tratta di un canone virtuale, che fa riferimento a un compenso giusto e congruo, che prescinde dall'effettività del consenso del titolare del diritto e che si applica anche nei casi in cui il titolare del diritto in concreto non avrebbe dato alcun consenso allo sfruttamento del diritto.

Il risarcimento del danno da lucro cessante con il criterio della royalty virtuale può cumularsi con il risarcimento del danno emergente e del danno non patrimoniale. Esso rappresenta il limite inferiore del risarcimento da lucro cessante.

c) Restituzione degli utili dell'autore della violazione ex art 125 , comma 3, c.p.i .

In alternativa al risarcimento del danno da lucro cessante, o nella sola misura in cui gli utili eccedano tale risarcimento, il danneggiato può ottenere ristoro patrimoniale mediante la restituzione degli utili realizzati dal contraffattore (art. 125, comma 3, c.p.i.).

La retroversione degli utili dà luogo a una tutela restitutoria e non risarcitoria, essendo volta a rimuovere l'arricchimento illecito realizzato dal contraffattore (Trib. Genova, 23 febbraio 2011).

Gli utili conseguiti dal contraffattore in conseguenza della violazione possono rilevare, si è visto, sia per la determinazione del danno, ai sensi del comma 1 dell'art. 125 c.p.i., quale elemento integrativo, sia per il diverso rimedio della retroversione di cui al comma 3 norma cit..

Nella domanda di retroversione degli utili di cui al comma 3 dell'art. 125, a differenza di quella risarcitoria di cui all'art. 125, comma 1, gli utili non sono uno degli elementi di quantificazione delle somme dovute al titolare del diritto, ma l'unico criterio per la determinazione degli importi da versare.

Non è ammesso il cumulo tra indennizzo del lucro cessante e restituzione degli utili, se non limitatamente alla misura in cui gli utili eccedano il risarcimento del danno (Trib. Milano, 20 gennaio 2015, n. 697 e Trib. Milano, 3 febbraio 2015, n. 1409).

La retroversione degli utili può, invece, essere cumulata con il risarcimento del danno non patrimoniale e con il risarcimento del danno emergente. Il legislatore, nel recepire la direttiva comunitaria, ha coordinato i rimedi del risarcimento del danno e della retroversione degli utili in modo da evitare ingiuste duplicazioni e, a tale fine, ha previsto la sua alternatività al solo danno per lucro cessante e non a quello emergente e a quello non patrimoniale (Trib. Milano, 3 febbraio 2015, n. 1409).

La disciplina specialistica del recupero degli utili del contraffattore è volta a disincentivare la violazione dei diritti di proprietà industriale e a rafforzare la tutela del titolare del diritto leso, consentendo che vengano restituiti profitti, direttamente e causalmente collegati alla violazioni, eventualmente anche in misura maggiore al danno subito dal titolare del diritto.

Tale misura di natura restitutoria, pur inquadrabile nel solco dell'azione generale di arricchimento di cui all'art. 2041 c.c. - come esplicitato dalla relazione al d. lgs. 16 marzo 2006, n. 140 -, ha degli elementi di specialità rispetto alla detta azione civilistica, perché: non ha natura sussidiaria rispetto all'azione di risarcimento del danno; la restituzione non deve essere contenuta nei limiti dell'impoverimento effettivamente subito dalla parte lesa (Vanzetti; Scuffi, Spolidoro)

Elemento soggettivo

a) Risarcimento del danno

Con riguardo all'elemento soggettivo si deve distinguere la misura risarcitoria prevista dall'art. 125,commi 1 e 2, c.p.i. da quella della retroversione degli utili di cui al comma 3.

Il danno da violazione di privativa industriale, di cui all'art. 125,commi 1 e 2, c.p.i., è conseguenza di un illecito e può essere risarcito solo in presenza del presupposto soggettivo di cui all'art. 2043 c.c., che è costituito dal dolo o dalla colpa dell'autore dell'illecito.

A differenza delle misure inibitorie, particolarmente diffuse nel diritto industriale - misure che postulano un accertamento esclusivamente oggettivo della violazione del diritto del titolare e prescindono dalla prova della colpa e del danno - la condanna al risarcimento dei danni comporta la necessità della presenza del dolo o della colpa del contraffattore. Tale necessità è stata ribadita anche dalla direttiva comunitaria 2004/48/CE che, all'art. 13.1, ha attribuito rilievo allo stato soggettivo dell'autore della violazione al fine del risarcimento del danno.

Il danneggiato non ha però l'onere di provare la sussistenza dell'elemento soggettivo poiché opera la presunzione relativa di colpa a carico del contraffattore, per i titoli di proprietà industriali, in considerazione della loro pubblicità legale e, per i diritti non titolati (marchio non registrato, indicazioni geografiche e denominazione d'origine), in applicazione della presunzione di colpa di cui all'art. 2600 c.c. secondo cui, accertati gli atti di concorrenza, la concorrenza si presume.

In forza della detta presunzione iuris tantum, incombe sul contraffattore l'onere di provare l'assenza di colpa.

b) Retroversione degli utili

Il rimedio della retroversione degli utili realizzati dall'autore della violazione, ex art. 125, comma 3,c.p.i., può trovare applicazione anche per le violazioni “inconsapevoli” e quindi non richiede la prova dell'elemento soggettivo ( Spolidoro, Vanzetti, Di Cataldo, Dragotti, Floridia).

L'art. 13 della direttiva Enforcement, di cui la norma è attuazione, prevedeva che il rimedio della retroversione degli utili, a differenza di quello risarcitorio, potesse essere disposto dagli stati membri per le sole attività di violazioni incolpevoli (“nei casi in cui l' autore della violazione è stato implicato in un'attività di violazione senza saperlo o senza avere motivi ragionevoli per saperlo, gli stati membri possono prevedere la possibilità che l'autorità giudiziaria disponga il recupero dei profitti”).

Il nostro legislatore ha esteso tale rimedio a tutti i casi (“in ogni caso”) in cui il titolare del diritto leso la chieda, purché sia alternativa al risarcimento del lucro cessante o per la parte in cui gli utili eccedano tale risarcimento e cioè sia alle violazioni incolpevoli che a quelle colpevoli.

Potendo applicarsi anche alle violazioni “incolpevoli”, la misura della retroversione degli utili non richiede, quindi, come elemento costitutivo, l'elemento soggettivo.

Il legislatore nazionale ha esplicitato, nella relazione al menzionato d. lgs. n. 140/2006, la natura distinta dei due rimedi del risarcimento del danno e della retroversione degli ultimi, affermando che esse sono misure “ operativamente e concettualmente distinte essendo riconducibili rispettivamente al profilo della reintegrazione del patrimonio leso ed a quello –ben diverso- dell'arricchimento senza causa”. La prima è diretta a rimuovere il pregiudizio che si è verificato nel patrimonio del titolare del diritto leso, la seconda a rimuovere l'arricchimento illecito realizzato nel patrimonio dell'autore dell'illecito.

La prova dell'elemento soggettivo rimane in ogni caso necessaria per conseguire, oltre alla restituzione degli utili, anche il risarcimento del danno emergente e del danno non patrimoniale o, ancora, del danno da lucro cessante per la parte eccedente gli utili; danni che, come visto, possono cumularsi con la retroversione degli utili senza determinarne ingiusta duplicazione (Trib. Milano, 3 febbraio 2015 cit.)

Nesso di causalità

a) Risarcimento del danno da lucro cessante

La prova del lucro cessante non può prescindere dall'esistenza di un nesso causale tra il danno subito e l'atto illecito, salvo che non venga determinato, ai sensi del secondo comma della norma citata e cioè con il metodo del canone virtuale.

L'alternativo criterio di liquidazione del danno per lucro cessante di cui all'art. 125 comma secondo CPI, prevede la commisurazione del danno al prezzo del consenso per la concessione da parte del titolare del diritto leso di una licenza, anche nei casi in cui è certo che il titolare non avrebbe concesso la licenza (Trib. Milano, 3 febbraio 2015 cit). Il criterio della royalty virtuale rappresenta il limite minimo del risarcimento, di regola maggiore.

b) Retroversione degli utili

Il criterio della retroversione degli utili non deroga alla necessità della sussistenza del nesso causale tra la violazione e il profitto conseguito, da accertarsi in concreto. L'incremento patrimoniale del contraffattore o dell'autore dell'illecito non deve, cioè, essere ascrivibile all'opera da questi autonomamente svolta, ma deve essere stato realizzato con l'attività contraffattoria (Trib. Milano, 17 settembre 2014, n. 11010; Trib. Genova, 23 febbraio 2011).

Onere della prova

a) Risarcimento del danno

Il titolare del diritto leso, che ha formulato la domanda di risarcimento del danno, ha l'onere di provare le spese sostenute in conseguenza della violazione riferibile all'autore convenuto, a titolo di danno emergente.

Con riguardo al lucro cessante egli ha l'onere di provare il mancato profitto del titolare del diritto eziologicamente riconducibile alla violazione e cioè la differenza tra il profitto – ossia i flussi di vendita - che il titolare avrebbe avuto senza la contraffazione e quelli che ha effettivamente avuto.

Il metodo dell'utile del titolare della privativa comporta l'onere in capo a questi di provare i maggiori utili che avrebbe conseguito in mancanza di contraffazione, attraverso il calo di fatturato derivatone.

Al fine di provare l'esistenza del danno da lucro cessante, il danneggiato ha l'onere di provare le proprie scritture contabili, la documentazione contabile (fatture bilanci, registri IVA), dai quali emerga la contrazione delle vendite in conseguenza dell'illecito.

Il danno può essere determinato tenendo conto dei benefici realizzati dal contraffattore e cioè delle vendite effettuate dall'autore della violazione (Trib. Milano, 9 ottobre 2013, n. 12546; Trib. Milano, 6 giugno 2014, n. 7452). In tale ipotesi, però, il danno non è provato di per sé dalle vendite effettuate dall'autore della violazione perché non vi è sic et semplicer corrispondenza tra numero delle mancate vendite del titolare del diritto leso e numero delle vendite realizzate dall'autore della violazione. Il – pur rilevante - dato rappresentato dalle vendite effettuate dall'autore della violazione deve essere inquadrato nel mercato di riferimento per evincerne elementi utili per accertare se gli acquirenti del bene contraffatto avrebbero acquistato dal titolare del diritto leso. Tali sono, ad esempio, i prezzi dei beni, la intercambiabilità dei prodotti, i mercati cui si rivolgono i beni (Trib. Milano, 3 febbraio 2015).

b) Risarcimento del danno con riguardo al criterio del giusto corrispettivo

Il metodo della commisurazione del danno alla royalty di cui al comma 2 dell'art. 125 c.p.i. consente di liquidare il danno patrimoniale da lucro cessante equiparando il danno sofferto dal titolare al ricavo che egli avrebbe conseguito mediante la concessione al contraffattore della licenza.

A tale fine può tenersi conto delle tabelle del settore relative alle royalties e degli eventuali contratti di licenza già stipulati, prodotti dalla parte interessata - che chieda, sia pure in via residuale, l'applicazione di tale criterio di liquidazione - o eventualmente consegnati al CTU nel corso delle operazioni peritali, in applicazione del disposto di cui all'art. 121, comma 5, c.p.i..

In ogni caso, per l'applicazione di tale criterio dovrà essere conosciuto il fatturato del contraffattore e, a tale fine, in caso di mancata spontanea produzione dei dati contabili, il titolare del diritto avrà l'onere di chiedere l'esibizione al contraffattore.

Poiché fa riferimento a una royalty virtuale, tale criterio di quantificazione del danno prescinde dalla prova del consenso dell'attore ad autorizzare lo sfruttamento del diritto da parte del convenuto, ma può trovare applicazione anche nell'eventualità in cui è certo che il titolare del diritto leso non avesse dato alcuna autorizzazione allo sfruttamento del diritto.

c) Retroversione degli utili

La retroversione degli utilidà luogo a una tutela restitutoria e non risarcitoria. Con riguardo alla domanda di retroversione degli utili, il danneggiato ha l'onere di provare gli utili realizzati dal l'autore della violazione. Tale prova può essere raggiunta, con maggiore facilità rispetto a quella del danno subito per lucro cessante, con l'esame delle scritture contabili del contraffattore, che possono essere acquisite grazie all'istanza di esibizione formulata dal soggetto leso (art. 210 c.p.c.).

Nella materia del diritto industriale il consulente può ricevere i documenti dalle parti nel corso delle operazioni peritali, anche in assenza di consenso, purché sottoposte all'esame della controparte e quindi in presenza della condizione imprescindibile del rispetto del contraddittorio (art. 121, u.c., c.p.i.). Tale norma eccezionale consente il superamento delle preclusioni istruttorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c..

Gli utili realizzati dal contraffattore vanno restituiti solo nella misura in cui il danneggiato provi che siano stati realizzati dall'autore della violazione senza giusta causa e cioè per effetto dell'illecito perpetrato (Trib. Milano, 3 febbraio 2015, n. 1409; Trib. Milano, 17 settembre 2014, n. 11010; Trib. Genova, 23 febbraio 2011).

Criteri di liquidazione

La liquidazione del danno avviene in una somma globale, non avendo il giudice l'obbligo di quantificare e motivare l'incidenza dei singoli elementi presi in considerazione (art. 125, comma 2, c.p.i.).

La quantificazione dei danni deve essere adeguata al pregiudizio effettivo subito dalla parte lesa a causa della violazione (art. 13 direttiva Enforcement)

La liquidazione può essere equitativa, applicandosi l'art. 1226 c.c..

La liquidazione equitativa del danno non deve essere inferiore all'ammontare dei canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare (art. 125, comma 2, c.p.i.)

Sotto il profilo risarcitorio, sono previste due modalità alternative di liquidazione del danno da lucro cessante.

Nel primo caso, il risarcimento del danno tiene conto del mancato guadagno del soggetto leso e, tra le conseguenze economiche negative, del profitto dell'autore della violazione.

Nel secondo si applica il criterio della royalty virtuale, o prezzo del consenso ovvero ai canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso. A tale fine può tenersi conto degli eventuali contratti di licenza già stipulati o a tabelle del settore relative alle royalties.

Con riguardo all'utile perso del titolare del diritto, pare corretto fare riferimento a quello marginale (o incrementale), costituito dalla differenza tra il ricavo che sarebbe derivato dalla vendita delle unità aggiuntive rispetto a quelle commercializzate e il costo marginale (o incrementale) relativo ai costi che sarebbero stati sostenuti per la produzione di quelle unità, non considerandosi invece, a tale fine, i costi fissi già assorbiti dalla produzione effettiva e quelli variabili non incrementali (Trib. Milano, 24 settembre 2014, n. 11178). In applicazione di tale criterio, i profitti persi dal titolare vengono calcolati sottraendo dai ricavi persi (unità di prodotto perdute moltiplicato per il prezzo di vendita) i soli costi incrementali, cioè quei costi che la società titolare della privativa avrebbe subito per la produzione e vendita delle unità perse e non quelli fissi e variabili diretti non incrementali (Spolidoro; Renoldi; Rutigliano-Faccincani)

Quanto alla retroversione degli utili di cui all'art. 125, comma 3, c.p.i., è discusso se la quantificazione degli utili da restituire debba essere effettuata applicando il metodo del costo marginale, che comporta la decurtazione dai ricavi dei soli costi variabili con natura incrementale.

Quando la contraffazione è colpevole, si suggerisce in dottrina l'opportunità di applicare il criterio che deduca dai ricavi i soli costi variabili incrementali e non anche quelli fissi e variabili che il contraffattore avrebbe sostenuto indipendentemente dalla natura contraffattoria. L'adozione di tale criterio evita che la contraffazione sia comunque vantaggiosa per il contraffattore (Franzosi, Renoldi, Spolidoro). Seguendo tale impostazione, non vanno decurtati dai ricavi i costi fissi di produzione e quelli variabili non incrementali (costi generali, amministrativi, commerciali e variabili di produzione) che la società avrebbe sostenuto anche in mancanza dell'attività contraffattoria (Rutigliano - Faccincani). Per l'applicazione di tale criterio, si vedano:

  • Trib. Milano, 11 giugno 2014, n. 7708, che ha detratto dai ricavi i costi per fiere ed esposizioni - non essendo stata fornita prova di esborsi specificamente imputabili alla commercializzazione di prodotti oggetto di causa -, quelli per lavoro interinale - mancando la prova dell' impiego di forza lavoro diversa da quella già considerata nel costo di produzione- e i costi di locazione degli immobili, non essendo stata provata la destinazione dedicata alla specifica produzione della serratura;
  • Trib. Milano, 29 ottobre 2014, n. 12745, che non ha ritenuto costo incrementale, in quanto tale deducibile, il costo del personale, in quanto «tendenzialmente un costo fisso connesso alla complessiva attività dell'azienda e non imputabile ad una o più specifica lavorazione ».

Casistica

La liquidazione dei danni secondo il criterio del giusto corrispettivo non necessita dell'istanza di parte

La quantificazione dei danni secondo il criterio della royalty non postula la necessità di una autonoma domanda perché essa si risolve in una domanda di risarcimento del danno da lucro cessante. L'art. 125, comma 2, c.p.c. prevede, infatti, che il lucro cessante è “comunque” determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare

La quantificazione degli utili da restituire ex art. 125, comma 3, c.p.c. postula la necessità di una domanda di parte

La natura autonoma e distinta delle domande di risarcimento del danno e di retroversione degli utili, essendo la prima volta a reintegrare il patrimonio leso e la seconda a rimuovere l'arricchimento illecito, comporta, sotto il profilo processuale, la necessità, per la retroversione degli utili, della relativa domanda, che non può considerarsi implicita in quella di risarcimento del danno. Tale domanda deve essere formulata nei termini previsti per le nuove domande (Trib. Torino, 29 settembre 2009; Trib. Milano, 17 settembre 2014, n. 11010)

Il coordinamento tra tutela risarcitoria per mancato guadagno del titolare e quella della retroversione degli utili aventi nesso causale con la violazione

Il risarcimento del danno da lucro cessante non è cumulabile con la retroversione degli utili se non nella misura in cui gli utili eccedano il risarcimento. In presenza di domanda, la retroversione degli utili non esclude la risarcibilità del danno emergente e di quello non patrimoniale purché venga fornita dal titolare del diritto leso la prova dell'elemento soggettivo della colpa o del dolo

La cessazione prima della proposizione del giudizio, o in pendenza di giudizio, dell'attività d'impresa del contraffattore non fa venire meno l'interesse ad ottenere una accertamento della contraffazione

La cessazione, in pendenza di giudizio, dell'attività d'impresa del contraffattore comporta il venire meno dell'interesse ad ottenere una pronuncia inibitoria, ma non la cessazione della materia del contendere in presenza di domanda risarcitoria e/o di retroversione degli utili, sussistendo il diritto del titolare della privativa a fare accertare la contraffazione e a ottenere la condanna del contraffattore al risarcimento dei danni verificatisi prima della cessazione dell' attività illecita (Cass civ., sent. n. 17671/2009)

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