Rovina di edificio

Caterina Centola
09 Luglio 2014

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Nozione

La norma, che rientra nelle ipotesi specifiche di responsabilità extracontrattuale disciplinate nel titolo IX “Dei fatti illeciti”, disciplina la responsabilità del proprietario di una costruzione per il fatto della sua rovina. Essa si riferisce a qualsiasi tipo di costruzione intesa quale opera umana che sia radicata al suolo, anche in via provvisoria (Cass. civ., sez. III, sent., 12 novembre 2009, n. 23939), comprese le parti incorporate nella cosa principale. Essa trae la sua origine dall'art. 1155 del codice del 1865 (che poneva, invece, a carico del danneggiato l'onere di provare che la rovina dipendesse da un vizio di costruzione o da un difetto di manutenzione dell'edificio) e si pone in rapporto di species a genus rispetto alla responsabilità per il danno da cose in custodia di cui all'art. 2051 c.c. (Cass. civ., sez. III sent., 8 settembre 1998, n. 8876) realizzando un'ipotesi peculiare ove si esclude la responsabilità del custode, facendola ricadere invece sul proprietario, salvo il caso di responsabilità concorrente dei entrambi nel verificarsi del crollo della costruzione e salva, in ogni caso, l'azione di regresso del proprietario verso il custode in caso di culpa in vigilando di quest'ultimo, ai sensi dell'art. 2051 c.c.

Per la configurabilità della fattispecie è necessario che la costruzione sporga dal suolo, giacché al contrario essa non potrebbe essere soggetta a “rovina” (tuttavia anche gli edifici sotterranei sono passibili di crollo, mentre va escluso il cedimento della pavimentazione stradale, Cass. Civ., sez. III, sent., 31 ottobre 1961, n. 2530), è invece indifferente che l'edificio sia destinato al servizio dell'uomo potendo trattarsi in ipotesi anche di ruderi, purché essi per vetustà ovvero per altri eventi, naturali o bellici, non abbiano perso ogni caratteristica tipica dell'edificio, in costruzione o in demolizione, riducendosi a un cumulo di macerie non suscettibile di alcuna fruizione, neanche estetica (cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 7 giugno 1954, n. 1846).

La nozione di rovina è stata interpretata in giurisprudenza in senso ampio, volto a ricomprendere non solo la disintegrazione di parti essenziali di un edificio ma ogni tipo di disgregazione, anche di piccole parti ovvero il distacco di un singolo manufatto, anche accessorio e ornamentale che sia stato incorporato alla costruzione (Cass. civ., sez. III, sent., 12 novembre 2009, n. 23939).

La disciplina di cui all'art. 2053 c.c. va raccordata inevitabilmente con le norme previste in tema di proprietà soprattutto in quelle ipotesi concrete nelle quali si debba individuare chi sia il titolare di un bene in contitolarità o parzialmente condiviso ovvero posto sul confine. Con particolare riguardo all'art. 887 c.c. (a norma del quale nei fondi a dislivello il proprietario del fondo superiore deve sopportare per intero le spese di costruzione e di manutenzione del muro di sostegno dalle fondamenta fino all'altezza del proprio suolo) presuppone che il dislivello tra i due fondi sia d'origine naturale, laddove, al contrario, il dislivello sia stato causato dal proprietario del fondo inferiore, l'obbligo della costruzione e della manutenzione del muro di sostegno incombe su quest'ultimo che risponde ex art. 2053 c.c. dei danni cagionati dalla sua rovina (Cass. civ., sez. III, sent., 12 novembre 2009, n. 23939).

La nozione di rovina non comprende il “pericolo di rovina”, si ritiene infatti che l'azione ex art. 2053 c.c. si applichi ex post e non ex ante a situazioni che mettano in pericolo la stabilità dell'edificio.

Si è ritenuto in dottrina che la rovina dovesse avere i requisiti della repentinità e della violenza, quasi che rovina e danno dovessero essere contestuali, la giurisprudenza ha invece esteso l'applicazione della fattispecie a tutti i casi in cui sussista il nesso eziologico tra rovina e danno anche in via mediata e indiretta: se la ratio della norma è infatti quella di individuare su chi gravi la responsabilità per il danno cagionato dalla disgregazione di una costruzione o di alcune parti della stessa non avrebbe senso distinguere tra danno provocato nell'immediatezza e danno verificatosi non immediatamente, sempre che persista il nesso causale tra evento e danno.

Natura della responsabilità

E' controversa sia in dottrina che in giurisprudenza la natura della responsabilità ex art. 2053 c.c. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte tale responsabilità avrebbe natura soggettiva, si fonderebbe dunque sulla colpa e graverebbe sul proprietario alla luce del dovere sul medesimo incombente di cura e vigilanza sul bene, quale specificazione del principio generale del neminem laedere (Cass. civ., sez. III, sent., 24 marzo 1983, n. 2079).

Secondo altra parte della giurisprudenza il criterio di imputazione della responsabilità sarebbe squisitamente oggettivo (Cass. civ., sez. III, sent., 21 gennaio 2010 n. 1002), il proprietario sarebbe tenuto in forza del potere di controllo sulla stabilità dell'edificio, sulla base del brocardo: cuius comoda eius et incomoda. Sul punto la Cassazione nella sentenza sopra citata ha sancito che “secondo la prevalente giurisprudenza, a cui questa Corte ritiene di dover aderire, l'art. 2053 c.c. rappresenta un'ipotesi di responsabilità oggettiva che quindi prescinde dall'esistenza dell'elemento psicologico. Si tratta di un'ipotesi, quindi, non di presunzione di colpa (come pure ritenuto da Cass. 30 gennaio 2009, n. 2481), ma di presunzione di responsabilità (e quindi di responsabilità oggettiva), salvo che non si fornisca la prova liberatoria che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione”.

In dottrina si riconosce anche l'esigenza di una tutela pubblica che imporrebbe il sorgere di una responsabilità oggettiva in capo al proprietario a fronte del vantaggio attribuito dal godimento del bene.

Aspetti processuali e onere della prova

Il danneggiato può instaurare un ordinario giudizio di cognizione esperendo un'azione extracontrattuale secondo gli ordinari criteri di competenza per valore e per territorio di cui agli artt. 7-10 c.p.c. Ne deriva che, trattandosi di responsabilità da fatto illecito, la competenza per territorio, in relazione al forum commissi delicti di cui all'art. 20 c.p.c., va determinata con riferimento al luogo ove si sono verificati gli effetti dannosi ed è dunque sorta l'obbligazione risarcitoria.

Valgono in ogni caso i criteri di competenza generale di cui agli artt. 18 e 19 c.p.c.

Peraltro la Cassazione ha anche individuato il forum destinatae solutionis, anche con riguardo alle obbligazioni da atto illecito, precisando che il luogo del pagamento non coincide necessariamente con quello ove è sorta l'obbligazione ("forum commissi delicti"), in quanto l'obbligazione di risarcimento dei danni dipendenti da fatto illecito avendo natura di debito di valore, va adempiuta, ai sensi dell'art. 1182, comma 4, c.c. al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza (così Cass. Civ., sez. III., 7 aprile 1995, n. 4057).

Legittimato attivo all'azione ex art. 2053 c.c. è il soggetto danneggiato.

Il soggetto legittimato passivo dev'essere invece individuato con riguardo al momento del trasferimento della titolarità del bene rispetto a quello in cui si è realizzata la rovina, tale individuazione avviene secondo le regole generali dell'acquisto della proprietà a titolo originario e derivativo.

Laddove il bene sia pubblico legittimata passiva sarà la Pubblica Amministrazione, al pari di qualsiasi altro soggetto privato; se il bene demaniale sia concesso al privato in uso perpetuo, con obbligo di manutenzione a carico del concessionario, quest'ultimo sarà legittimato passivo all'azione di responsabilità ex art. 2053 c.c.

Graverà sull'attore danneggiato l'onere della prova del danno e del nesso eziologico, ovvero della riferibilità del danno al crollo della costruzione. L'attore dovrà in primo luogo indicare il petitum e la causa petendi, con il richiamo espresso all'art. 2053 c.c., dovrà poi allegare e provare la qualifica soggettiva del responsabile (proprietario del bene rovinato), specificare tutte le circostanze dell'evento, con il danno conseguente, provare il nesso di causa tra il crollo e l'evento lesivo del quale chiede ristoro, allegare e provare tutte le circostanze dalle quali emerga la prova del danno patrimoniale e non patrimoniale subito.

Il convenuto sarà tenuto a provare di non rivestire la qualifica soggettiva sulla quale si radica la responsabilità e, nel merito, che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione (cd. “prova liberatoria”), in ogni caso potrà difendersi nello specifico sulle singole voci di danno allegate dall'attore.

Il contenuto della prova liberatoria si risolve essenzialmente nel fortuito in senso ampio, che comprende il fatto del danneggiato e del terzo. In sostanza il titolare del bene dovrà provare che la rovina è derivata da un fattore causale autonomo, del tutto estraneo alla sua condotta o meglio alla sua posizione giuridica (laddove si accedesse alla teoria della responsabilità oggettiva).

In giurisprudenza si è precisato che la nozione di caso fortuito si può delineare sia in negativo, quale assenza del difetto di costruzione o di manutenzione, sia in positivo quale evento imprevedibile e inevitabile dotato di una sua autonomia causale. In dottrina si è ritenuto sussistere la responsabilità anche quando il difetto di manutenzione o il vizio di costruzione non siano dovuti a colpa: il titolare infatti non sarà esonerato da responsabilità ove dimostri di avere conservato l'edificio in modo corretto e neanche ove provi che la mancata manutenzione sia dovuta a causa al medesimo non imputabile, dovrà viceversa offrire la prova positiva del verificarsi di una causa diversa dal difetto di manutenzione e dal vizio di costruzione.

In sostanza dovrà individuare e provare la causa esimente in grado di interrompere il nesso di causa. A titolo d'esempio l'allegazione della responsabilità del soggetto addetto alla manutenzione dell'edificio non esonera il titolare nei confronti della vittima, così come l'allegazione e la dimostrazione di cause pregresse di instabilità della costruzione, quali la vetustà dell'edificio, non consentono di ritenere esente da colpa il proprietario perché si ritiene che tali condizioni dovessero spingerlo ad adottare tutte le cautele necessarie a scongiurare il danno.

Più agevole è la prova del fatto della vittima che abbia cagionato il danno, soprattutto nei casi in cui la condotta sia stata da sola sufficiente a cagionarlo (si pensi al caso del crollo di un tribuna dello stadio per il sovraffollamento), ovvero al caso in cui si verifichino più condotte concorrenti quali ad esempio la rovina di un immobile cagionata sia dalla vetustà che dal sovraffollamento: in tali casi troveranno applicazione le regole consuete della distribuzione della responsabilità secondo il grado della colpa. Non sussiste infatti incompatibilità tra la responsabilità oggettiva del proprietario di edificio per il danno causato dalla rovina (anche parziale) dello stesso ed il concorso del fatto colposo del danneggiato (ai fini della cui configurazione è sufficiente la mera colpa generica, non occorrendo necessariamente la violazione di un obbligo giuridico); in tale caso, ove, a seguito di valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito, sia accertato che nella produzione dell'evento dannoso abbiano concorso le due cause, il giudice dovrà ridurre la misura del risarcimento secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate (Cass. civ., sez. III, sent., 21 gennaio 2010 n. 1002).

La giurisprudenza ha riconosciuto la risarcibilità del danno ai sensi dell'art. 2053 c.c. nel caso in cui danneggiato sia il terzo che non sia la vittima diretta del danno da rovina. L'ipotesi si è verificata nel caso di un uomo precipitato da un ballatoio mentre accorreva in soccorso di una donna che, affacciandosi al medesimo balcone era stata travolta dal parziale cedimento del manufatto: in tal caso è stato ritenuto che il danno al terzo fosse stato cagionato inequivocabilmente dall'avvenuta rovina dell'edificio; in ipotesi simili spetterà al giudice valutare l'eventuale concorso colposo della vittima diretta e di quella indiretta (Trib. Torino, 19 novembre 1962, in FP, 1963, I, 354).

L'accertamento del nesso eziologico e la determinazione del grado delle colpe concorrenti sono demandati all'apprezzamento insindacabile del giudice.

L'azione proposta ex art. 2053 c.c. non è modificabile con la prospettazione di un diverso titolo di responsabilità aquiliana, ricondotto per esempio all'art. 2051 c.c., perché ciò costituirebbe una domanda nuova che introdurrebbe un petitum diverso e più ampio ovvero una diversa causa pretendi, fondata su ragioni giuridiche in precedenza non prospettate (Cass. civ. sez. III, sent., 10 ottobre 2008 n. 24996).

L'azione si prescrive nel termine di cinque anni dal verificarsi del fatto.

Aspetti medico legali

Con riguardo al danno subito dalla persona a seguito del crollo di una costruzione sarà necessario disporre una consulenza tecnica d'ufficio che accerti la durata e l'entità del danno biologico subito. Al medico legale sarà demandato l'accertamento degli effetti della menomazione temporanea e permanente sugli aspetti anatomo-funzionali, relazionali e di sofferenza psico-fisica subiti dal soggetto, anche alla luce delle sue abitudini di vita in relazione all'età, al sesso e alle sue specifiche condizioni soggettive.

I criteri di liquidazione del danno si rifaranno ai normali criteri indicati dalla dottrina e dalla giurisprudenza.

Profili penalistici

La rovina di un edificio può interessare anche il diritto penale, nel cui ambito sorgeranno le ipotesi di cui agli artt. 434 e 449 c.p. eventualmente concorrenti con le ipotesi di lesioni colpose (art. 590 c.p.), di omicidio colposo (art. 589 c.p.), di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p., applicabile solo in concorso formale con l'ipotesi di cui all'art. 434 c.p., in quanto ipotesi dolosa).

Il delitto di cui all'art. 434 c.p. ha quale elemento materiale qualsiasi azione o omissione diretta a cagionare il crollo di una costruzione o di un parte di essa o un altro disastro (trattasi infatti di reato sussidiario e complementare) esso è un reato di pericolo che si consuma col verificarsi del pericolo per la pubblica incolumità, costituendo l'effettivo crollo un'ipotesi aggravata della fattispecie. L'elemento soggettivo richiesto è il dolo.

Il delitto di cui all'art. 449 c.p. punisce tutti i delitti colposi di comune pericolo, ovvero tutti quelli previsti nei due capi precedenti del codice (compreso quello di cui all'art. 434 c.p. ) in cui l'evento, sia commesso per colpa e non con dolo.

Entrambi i delitti di cui sopra sono reati comuni e dunque il soggetto attivo è “chiunque” cagioni il fatto.

I delitti di cui agli artt. 434, 449 c.p. sono procedibili d'ufficio, nei confronti del responsabile è consentita l'applicabilità di misure cautelari personali.

La competenza per territorio segue le regole generali di cui agli artt. 8, 9, 10 c.p.p., avuto riguardo innanzitutto al luogo ove si è verificato il fatto.

Il responsabile sarà tenuto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale ex art. 185 c.c.

I rapporti tra i rispettivi giudicati civile e penale andranno determinati in base alle regole consuete di cui all'art. 651 c.p.p. secondo le quali il giudizio penale fa stato in quello civile solo in ordine all'accertamento dei fatti materiali oggetto della controversia.

In caso di sentenza penale di assoluzione l'azione ex art. 2053 c.c. resta preclusa solo ove il giudice penale abbia accertato che il fatto non sussiste ovvero l'imputato non l'ha commesso (perché il danno non è stato causato da vizi di costruzione ovvero da difetti di manutenzione).

In caso di procedimento penale, ai fini della prescrizione, si applicherà l'art. 2947 c.c.

Casistica

E' opportuno prendere in considerazione alcuni casi particolari di titolarità passiva dell'azione di responsabilità.

In primo luogo dovrà aversi riguardo alla situazione di diritto sul bene in rovina.

Si ritiene che il titolare di un diritto reale di godimento che comporti l'obbligo di manutenzione del bene debba rispondere ex art. 2053 c.c. in nome della responsabilità solidale dei coautori del fatto illecito; l'usufruttuario sarà tenuto ex art. 2053 c.c. finché duri l'usufrutto, pur gravando, sia sull'usufruttuario che sul nudo proprietario, il dovere reciproco di sorveglianza sul bene; colui che abbia il possesso o la detenzione dell'immobile, senza titolarità di un diritto reale di godimento (conduttore, comodatario, sequestratario, concessionario), si ritiene che sia escluso dall'ambito di applicazione della norma.

Con particolare riferimento alla locazione è pacifico che della rovina dell'edificio debba rispondere il solo proprietario. In giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2010, n. 13881) si è infatti precisato che il proprietario dell'immobile locato, conservando la disponibilità giuridica delle strutture murarie e degli impianti ivi allocati, è responsabile in via esclusiva ex art. 2053 in forza del potere dovere di intervenire (salva la prova liberatoria e salva l'azione di regresso nei confronti del conduttore ove quest'ultimo abbia violato il proprio dovere di avvertirlo della situazione di pericolo): in questo caso la responsabilità del proprietario è configurabile anche quando i danni derivino, oltre che da difetti originari e da attività da lui svolte all'interno dell'immobile, dal comportamento di terzi immessi nel godimento dello stesso; grava, invece, sul solo conduttore la responsabilità, ai sensi dell'art. 2051 c.c., per i danni arrecati a terzi dagli accessori e dalle altre parti del bene locato, di cui il predetto acquista la disponibilità, con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizi ad altri. La Corte di Cassazione ha infatti sancito che poiché la locazione costituisce una delle possibili modalità di godimento dell'immobile, dalla quale il proprietario trae vantaggio economico, essa giustifica, a titolo oggettivo (ovvero a prescindere dalla colpa per omessa sorveglianza), la responsabilità del proprietario; peraltro il conduttore, nei confronti del quale il proprietario potrà rivalersi, nei rapporti interni, per i danni addebitatigli a causa del suo comportamento, non può certo compiere nell'immobile locato interventi e modifiche senza il consenso del proprietario che, anche per questa via, ne assume la responsabilità verso i terzi danneggiati (cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 15 settembre 2008, n. 23682, nella quale si è ritenuto responsabile ex art. 2053 c.c., il proprietario dell'immobile nel quale il locatario, cagionando danni agli appartamenti dei piani superiori, aveva parzialmente abbattuto un muro maestro per ricavarvi un'apertura maggiore di quella esistente). Pertanto, ove il danneggiato sia anche il conduttore dell'immobile, l'applicabilità della responsabilità del 2053 c.c. trova un limite solo nel caso di danni derivanti specificamente da situazioni regolamentate nel contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, sent., 6 febbraio 1987, n. 1202). Tuttavia se il proprietario dell'immobile locato, conservando la disponibilità giuridica é responsabile in via esclusiva, ai sensi degli artt. 2051 e 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi da tali strutture e impianti, grava, invece, sul solo conduttore la responsabilità, ai sensi dell'art. 2051 c.c., per i danni arrecati a terzi dagli accessori e dalle altre parti del bene locato, di cui il predetto acquista la disponibilità, con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizi ad altri.

La responsabilità non viene meno in caso di sequestro del bene, sia pure con nomina di un sequestratario, in pendenza di una procedura espropriativa o per sottoposizione del bene a provvedimento di requisizione, sempre che tali situazioni non costituiscano ostacolo all'adempimento degli obblighi facenti capo al proprietario.

In caso di appalto la responsabilità del proprietario può concorrere con quella del costruttore che risponderà in base ad un diverso titolo; il proprietario potrà agire in regresso nei confronti dell'appaltatore esercitando l'azione di cui all'art. 1669 c.c., ove ne ricorrano i presupposti. L'art. 1669 c.c., infatti, nonostante la sua collocazione nell'ambito della disciplina del contratto d'appalto, dà luogo ad un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale, la quale, pur presupponendo un rapporto contrattuale, ne supera i confini e si configura come obbligazione derivante dalla legge per finalità e ragioni di carattere generale, costituite dall'interesse pubblico alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere lunga durata, al fine di preservare l'incolumità e la sicurezza dei cittadini; sotto tale profilo tale norma si pone in rapporto di specialità con quella generale di cui all'art. 2043 c.c. (che trova applicazione solo ove non risulti applicabile quella speciale) e attribuisce legittimazione ad agire contro l'appaltatore (e gli eventuali soggetti corresponsabili) non solo al committente e ai suoi aventi causa (ivi compreso l'acquirente dell'immobile), ma anche a qualunque terzo che lamenti di essere stato danneggiato in conseguenza dei gravi difetti della costruzione, della sua rovina o del pericolo della rovina di essa (Cass. civ., sez. III, sent., 28 gennaio 2005, n. 1748).

Dovrà poi aversi riguardo al momento del trasferimento della titolarità del diritto.

In caso di preliminare di vendita poiché l'effetto traslativo si realizza solo con la stipula del definitivo (anche laddove vi sia un'anticipazione dell'effetto traslativo, con la consegna dell'immobile), la conclusione del preliminare non comporterà in capo al promissario acquirente il sorgere di ipotesi di responsabilità ex art. 2053 c.c.

In caso di vendita di immobile in cui l'acquisto non sia stato ancora oggetto di trascrizione, il proprietario sarà tenuto ex art. 2053 c.c., salvo che il secondo acquirente non abbia trascritto prima, nel qual caso quest'ultimo sarà responsabile dell'eventuale rovina del bene.

In caso di appalto, se la rovina della costruzione si verifichi anteriormente alla consegna, il committente risulterà responsabile ex art. 2053 c.c. in forza dell'acquisto del bene per accessione.

In caso di acquisto mortis causa, poiché l'accettazione dell'eredità spiega effetti ex tunc, l'accettante sarà anche responsabile della rovina verificatasi medio tempore.

Se la parte di costruzione rovinata sia in comproprietà, tutti i comproprietari saranno tenuti in solido e vi sarà litisconsorzio necessario dei medesimi nel giudizio eventualmente instaurato nei loro confronti.

In caso di bene in condominio la ripartizione del danno sarà proporzionale al valore delle singole quote; se però la rovina attenga alla parte del bene in proprietà esclusiva sarà tenuto il solo proprietario esclusivo, con esclusione dagli altri quand'anche utilizzino il bene.

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