Lesioni micro permanenti e liquidazione del danno non patrimoniale

28 Agosto 2017

La nuova disciplina della liquidazione del danno biologico per lesioni micropermanenti: analisi dell'art. 139 cod. ass., così come sostituto dall'art. 1, comma 19, l. 4 agosto 2017, n. 124, c.d. “Legge Concorrenza”, vigente dal 29 agosto 2017.

Inquadramento

L'art. 139 del Codice delle Assicurazioni private (d. lgs. 7 settembre 2005, n. 209) è stato sostituto dall'art. 1, comma 19, l. 4 agosto 2017, n. 124 (pubblicata in G.U. 14 agosto 2017, n. 189), c.d. “Legge Concorrenza”, vigente dal 29 agosto 2017.

L'art. 139 contiene una nozione, compiuta e condivisa, del danno biologico permanente e temporaneo; indica speciali criteri di accertamento e di liquidazione del “Danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità” e si applica esclusivamente a quelle lesioni del bene salute che siano state cagionate dagli incidenti disciplinati dal Titolo X del Codice ovvero siano conseguenza dell'attività della struttura sanitaria e dell'esercente la professione sanitaria (nei termini ora regolati dalla riforma “Legge Gelli-Bianco”); se il danno alla salute ha invece altra eziologia si deve fare applicazione della tabella milanese. Particolare attenzione deve essere dedicata all'allegazione e alla prova dei presupposti che possano giustificare l'aumento del risarcimento del danno fino al 20% dell'importo base stabilito nella tabella normativa.

In evidenza

«Il controllo di costituzionalità del meccanismo tabellare di risarcimento del danno biologico introdotto dal censurato art. 139 cod. ass. – per il profilo del prospettato vulnus al diritto all'integralità del risarcimento del danno alla persona – va, quindi, condotto non già assumendo quel diritto come valore assoluto e intangibile, bensì verificando la ragionevolezza del suo bilanciamento con altri valori, che sia eventualmente alla base della disciplina censurata. Orbene, in un sistema, come quello vigente, di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli obbligatoriamente assicurata – in cui le compagnie assicuratrici, concorrendo ex lege al Fondo di garanzia per le vittime della strada, perseguono anche fini solidaristici, e nel quale l'interesse risarcitorio particolare del danneggiato deve comunque misurarsi con quello, generale e sociale, degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi – la disciplina in esame, che si propone il contemperamento di tali contrapposti interessi, supera certamente il vaglio di ragionevolezza» (C. cost., sent. n. 235/2014).

Nozione di danno biologico e di “micropermanente” nell'art. 139 del Codice

Ai sensi degli artt. 138, comma 2, lett. a) e 139, comma 2 del Codice, «per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito».

Il danno biologico permanente per lesioni di lieve entità è quello liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al 9 per cento di invalidità.

Presupposto indefettibile per l'applicazione della tabella normativa (ma anche di quella milanese) è “l'accertamento medico-legale” della “lesione temporanea o permanente all'integrità psico-fisica”(così anche, sostanzialmente, l'art. 13 d.lgs. n. 38/2000).

Anche per la Corte costituzionale (C. cost., n. 233/2003), il danno biologico inteso in senso stretto, è la «lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico ( art. 32 Cost. )».

Va quindi esclusa, in radice, ogni ipotesi di liquidazione di danno biologico presunto, senza l'accertamento medico legale della lesione del bene salute (danno biologico presunto spesso invocato in conseguenza della morte del prossimo congiunto, di immissioni rumorose, di molestie sessuali, etc.) (v., da ultimo, Cass. civ., sent. n. 26969/2016).

Anche la Corte di Cassazione, con le note “sentenze di San Martino” (v., tra le altre, Cass. civ., sent. n. 26972/2008), ha accolto la nozione di danno biologico indicata dal legislatore nei citati artt. 138 e 139 cod. ass.

Questa nozione mette in evidenza la correlazione immediata e diretta tra lesione del bene salute con le ripercussioni della stessa nella vita del danneggiato e dimostra, quindi, che il danno risarcibile consiste non solo nelle conseguenze anatomo-funzionali sulle attività quotidiane (ad esempio: non poter più camminare come prima, per effetto della lesione ad una caviglia) ma anche in quei pregiudizi che coinvolgono le abitudini di vita e le relazioni del danneggiato. Il riferimento agli “aspetti dinamico-relazionali” costituisce la risposta del legislatore a quella parte della giurisprudenza e della dottrina che propugnavano una liquidazione separata del danno esistenziale, inteso come voce affatto diversa dal danno biologico, quest'ultimo ridimensionato a compensazione del danno meramente anatomo-funzionale. Invece, con l'inciso in esame, il legislatore ha voluto definitivamente porre in evidenza che le ripercussioni della menomazione psico-fisica sulla vita di relazione della vittima rientrano nel danno biologico (Vedi D.SPERA, Risarcimento del danno non patrimoniale in Ridare.it).

Ambito oggettivo di cogente applicazione dell'art. 139

L'art. 139 in esame (così come l'art. 138) è inserito nel Titolo X Cod. ass.: “Assicurazione obbligatoria per i veicoli a motore e i natanti”.

L'intero Codice delle assicurazioni private è entrato in vigore, ai sensi dell'art. 355, l'1 gennaio 2006.

Tuttavia, mentre per l'art. 138 si è (nuovamente) in attesa del decreto del Presidente della Repubblica, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della “Legge Concorrenza”, ha avuto immediata applicazione l'art. 139 cod. ass. per la liquidazione del danno biologico per lesioni di lieve entità.

Infatti, sebbene il Codice (art. 354) abbia espressamente abrogato gli artt. 1,2,3,4,5,6 della legge n. 57/2001 e l'art. 23 della legge n. 273/2002, l'art. 139 in esame ha esattamente confermato i criteri di liquidazione adottati dalle norme abrogate, con l'avvertenza che «Gli importi indicati nel comma 1 sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro dello sviluppo economico, in misura corrispondente alla variazione dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati accertata dall'ISTAT».

Inoltre, ai sensi dell'art. 354 del Codice, rimane in vigore il decreto 3 luglio 2003 del Ministro della salute - che ha approvato la “Tabella delle menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità” - pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 211 dell'11 settembre 2003 (art. 354), sebbene l'art. 139, comma 4, in esame rinvii ad un ulteriore emanando decreto del Presidente della Repubblica su tale questione.

Le novità introdotte dalla “Legge Concorrenza”, in mancanza di qualsivoglia ulteriore rinvio, sono immediatamente applicabili anche ai giudizi in corso.

In definitiva, per effetto del coacervo di disposizioni normative, non v'è soluzione di continuità nell'applicazione dei criteri di liquidazione approvati ai sensi della l. n. 57/2001: i criteri liquidativi sono cogenti, per il giudice, ai fini della liquidazione del danno biologico, permanente e temporaneo, conseguente a sinistri stradali verificatisi successivamente al 4 aprile 2001 (e, cioè, alla data di entrata in vigore della ormai abrogata l. n. 57/2001 citata). Poiché, tuttavia, la corretta applicazione della normativa in esame non può prescindere dalla menzionata tabella delle menomazioni, consegue che, effettivamente, la stessa risulta cogente per i sinistri verificatisi successivamente al 11 settembre 2003 (v. Cass. civ., sentenza n. 11048/2009).

Per effetto dell'art. 7, comma 4 della “Legge Gelli-Bianco”, 8 marzo 2017, n. 24 (entrata in vigore l'1 aprile 2017), «Il danno conseguente all'attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice»(disposizione imperativa ai sensi del successivo comma 5).

Quest'ultima norma ricalca quella di cui all'art. 3, comma 3, del d.l. 13 settembre 2012, n. 158 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 settembre 2012, n. 214 e coordinato con la l. 8 novembre 2012, n. 189), c.d. “Legge Balduzzi”, secondo cui «Il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente della professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice»

La sentenza Cass. civ., n. 12408/2011, c.d. “sentenza Amatucci”: divieto di applicazione analogica dell'art. 139 del Codice

La Cassazione, nella sentenza n. 12408/2011, c.d. “sentenza Amatucci”, esamina la questione della possibile applicazione analogica dell'art. 139 cod. ass. e seleziona tre possibili linee di pensiero:

- la prima, favorevole all'applicazione analogica, si basa sul rilievo che tra lesioni derivanti dalla circolazione stradale e lesioni derivanti da altre cause non v'è altra differenza che il mezzo con il quale le lesioni sono state inferte;

- la seconda, contraria all'applicazione analogica, fa leva sulla collocazione della disposizione nel Titolo X del Codice e «sulla ratio legis, volta a dare una risposta settoriale al problema della liquidazione del danno biologico al fine del contenimento dei premi assicurativi, specie se si considera che, nel campo della r.c.a., i costi complessivamente affrontati dalle società di assicurazione per l'indennizzo delle cosiddette micropermanenti sono di gran lunga superiori a quelli sopportati per i risarcimenti da lesioni comportanti postumi più gravi»;

- la terza linea di pensiero si fonda sul riferimento del Codice delle Assicurazioni al solo danno “biologico”, sicché resterebbero comunque estranei all'ambito applicativo dell'art. 139 cod. ass. i pregiudizi non patrimoniali consistenti in sofferenze fisiche o psichiche patite dalla vittima (“vecchio danno morale”).

Per la Cassazione, la soluzione corretta è la seconda, fondata su considerazioni ritenute preclusive di un'applicazione analogica. Pertanto, «per i postumi di lieve entità non connessi alla circolazione varranno» altri criteri, «indipendentemente dalla gravità dei postumi (inferiori o superiori al 9%), e non quelli posti dall' art. 139 del codice delle assicurazioni».

E dunque, per i postumi di lieve entità non connessi alla circolazione stradale ed (ora) neppure inerenti la responsabilità sanitaria nei termini specificati dall'art. 7 della “Legge Gelli-Bianco”, varranno i criteri indicati dalla Tabella milanese e non quelli posti dall'art. 139 cod. ass.

Da taluno si è osservato che, in conseguenza dell'approvazione della “Legge Balduzzi” (prima) e della “Legge Gelli-Bianco” (dopo), si potrebbe desumere la volontà del legislatore di estendere la tabella normativa a tutte le ipotesi di micropermanenti, aventi anche altra genesi causale.

L'Osservatorio di Milano ha ritenuto, invece, di confermare nella Tabella tuttora “vigente” i criteri precedentemente adottati anche in relazione alla fascia delle invalidità dall'1% al 9%. La ratio legis del contenimento dei premi assicurativi si attaglia infatti anche alla citate novelle e, soprattutto alla “Legge Gelli-Bianco”, che, nell'art. 10, prevede l'obbligo di assicurazione per le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private (o di «analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi») e per l'esercente la professione sanitaria.

Queste statuizioni sono ora validate anche dalla sentenza C.cost. n. 235/2014, che ha rigettato tutte le questioni di legittimità costituzionale proposte in relazione ai criteri di liquidazione disciplinati dall'art. 139 cod. ass. in esame.

In conclusione, laddove non sia cogente la disciplina normativa di cui all'art. 139 cod. ass.citato, devesi fare riferimento ai principi di diritto enucleati dalla sentenza della Cass. civ., n. 12408/2011, e pertanto, anche per le micropermanenti, i giudici di merito sono tenuti ad applicare la Tabella milanese (v. amplius, D.SPERA, Tabelle del Tribunale di Milano in Ridare.it).

La curva della tabella di liquidazione del danno biologico permanente e il danno biologico temporaneo nell'art. 139 del Codice

L'art. 139, comma 1, cod. ass. disegna la curva della tabella di liquidazione del danno biologico permanente ed indica l'entità di quello temporaneo.

In sostanza la tabella normativa, applica i criteri di costruzione della curva dei risarcimenti, già adottati dalla tabella milanese nell'anno 2004: aumento dei valori monetari in relazione a ogni punto percentuale di invalidità; riduzione con il crescere dell'età del soggetto in ragione dello 0,5 per cento per ogni anno di età.

La crescita del “valore-punto” (in valore assoluto), in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità, si fonda sul presupposto che, aumentando quest'ultima, aumentano altresì le compromissioni relazionali-esistenziali del soggetto. Tale crescita deve essere in misura più che proporzionale, come ha spiegato la medicina legale: per il danno biologico permanente deve essere liquidato «un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità»; cioè l'incremento marginale del valore risarcitorio tra un punto ed il successivo dovrebbe essere maggiore di quello esistente tra quello stesso punto ed il precedente, sul presupposto che l'incremento della invalidità determina una sempre maggiore menomazione dell'integrità psico-fisica del soggetto. Tuttavia, sia la tabella milanese che quella normativa prevedono (solo) un aumento in termini assoluti del valore economico del punto percentuale di invalidità, ma non un aumento «in misura più che proporzionale». Infatti, dopo aver affermato il principio predetto, il legislatore lo ha “spudoratamente” disatteso con incrementi risarcitori marginali costanti, pari allo 0,2% del coefficiente moltiplicatore del punto percentuale di invalidità dal 4% al 9% (v. art. 139, comma 6, cod. ass.). Si deve rilevare, peraltro, che se si applicasse rigorosamente il principio dell'incremento «più che proporzionale» si otterrebbero valori risarcitori davvero “eccessivi” e non sostenibili in termini macroeconomici, soprattutto per le invalidità di non lieve entità.

Il “valore-punto” viene dunque moltiplicato per la percentuale accertata di invalidità e «L'importo così determinato si riduce con il crescere dell'età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di età». Il danno biologico permanente è un danno futuro; pertanto appare equo liquidare un minore importo a chi, in base alle tabelle di vita media, subirà il pregiudizio conseguente alle menomazioni, presumibilmente, per un minor numero di anni.

L'art. 139, comma 5, cod. ass. dispone che gli importi indicati nel comma 1, sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro dello sviluppo economico.

Una curiosità finale: nel comma 1, lettera a) dell'art. 129 si indica il valore del primo punto di danno biologico in euro 795,91 (somma rivalutata all'estate 2017); nella successiva lettera b) si determina il danno biologico temporaneo nell'importo di euro 39,37 per ogni giorno di inabilità assoluta (somma da rivalutare con decorrenza dall'1 gennaio 2006).

L'accertamento “clinico strumentale obiettivo ovvero visivo”, del danno biologico permanente

L'art. 32 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 -convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012 n. 27- comma 3-ter, ed inserito nel testo dell'art. 139, comma 2, secondo periodo, cod. ass., disponeva che «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

Il successivo comma 3-quater disponeva che «Il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all' articolo 139 del codice delle assicurazioni private , di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 , è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l'esistenza della lesione». Quest'ultimo comma è stato espressamente abrogato dall'art. 30, lett. b) della Legge Concorrenza.

Inoltre, l'art. 139, integralmente sostituito dall'art. 1, comma 19, della legge 4 agosto 2017, n. 124, ora nel comma 2,

secondo periodo,

cod. ass., dispone: «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni, non possono dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

Non è questa la sede per riesaminare le complesse problematiche poste dalla compresenza dei menzionati commi 3-ter e 3-quater (v. D.SPERA, Art. 32, commi 3-ter e 3-quater, della l. 27/2012 : problematiche interpretative, in Danno e Responsabilità, n. 2/2013, 216 ss.).

Posso solo qui manifestare piena adesione alla scomparsa dal diritto positivo dell'inconciliabilità dei due testi normativi.

La norma ora vigente ripropone, invece, tutte le criticità già ampiamente esaminate dalla dottrina e dalla giurisprudenza sui tre aggettivi che qualificano l'accertamento del danno biologico permanente: “clinico strumentale obiettivo” (v., amplius, D.SPERA, Il nuovo quesito medico legale approvato dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano il 10 aprile 2013: l'opinione del giurista in Ridare.it).

La ratio della norma (introdotta già nel 2012) è certamente quella di diminuire i costi dei risarcimenti conseguenti a truffe assicurative ovvero a negligenze colpose nell'accertamento medico legale delle micropermanenti e per diminuire, correlativamente, i costi dei premi assicurativi.

Il comma 2 dell'art. 139 prevede la sussistenza di «lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo» stabilendo che le stesse «non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

Dal tenore letterale della norma, sembrerebbe, quindi: che vi sia un'area di “franchigia”, perché nonostante l'accertamento della lesione del bene salute non consegue alcun risarcimento; oppure che non possa ravvisarsi un “danno ingiusto” e quindi risarcibile (ex art. 2043 c.c.), se la menomazione non sia suscettibile di «accertamento clinico strumentale obiettivo».

Questa interpretazione sarebbe sicuramente incostituzionale perché può comportare l'esclusione del risarcimento del danno alla salute, “diritto fondamentale” riconosciuto dall'art. 32 Cost. senza alcuna limitazione.

Tuttavia è possibile replicare che il problema non consiste nella valutazione di costituzionalità della possibile limitazione del risarcimento consequenziale, bensì nel cogliere la ratio giustificativa di una cogente modalità di accertamento della lesione.

Nello schema dell'illecito civile incombe sempre sul danneggiato (tra l'altro) la prova della lesione del bene protetto, in nesso di causalità materiale con la condotta illecita.

Di regola la lesione del bene salute è “obiettivamente” accertata dal medico legale: amputazione di una falangetta, sfregio estetico, lacerazione del legamento, ematoma, cicatrici, ecc.. Queste lesioni sono di tutta evidenza sia nella realtà fenomenica che nel processo, perché visivamente o strumentalmente accertate, e al giudice si pone solo il problema di quantificare il danno risarcibile, in nesso di causalità giuridica con la lesione del bene protetto. In quest'ottica, con la “Legge Concorrenza”, il legislatore (come si è detto) ha avuto la necessità di aggiungere espressamente, nell'art. 139 del Codice, l'idoneità della modalità di accertamento «visivo, con riferimento alle lesioni, quali le cicatrici, oggettivamente riscontrabili senza l'ausilio di strumentazioni», perché l'accertamento visivo (oltre a quello strumentale) era previsto solamente dal citato comma 3-quater, che ora è invece abrogato.

Quid iuris, invece, quando l'avvocato chiede nel processo il risarcimento del danno biologico conseguente a “trauma minore del collo con persistente rachialgia e limitazione antalgica dei movimenti del capo”? E in tutti gli altri casi in cui il danno da lesione del bene salute non sia “visivamente o strumentalmente” accertato?

A ben vedere, in queste ipotesi, il CTU medico legale si avvale prevalentemente delle informazioni rese dalla stessa vittima sui pregiudizi lamentati (vertigini, sofferenze psico-fisiche, nausea, vomito, ecc.) e cioè, semplificando, della cd. “sintomatologia soggettiva”. Il CTU medico legale, sulla base di quest'ultima e previo “accertamento clinico” (e cioè, prevalentemente, mediante la visita della vittima), “desume” l'esistenza della lesione del bene salute (nell'esempio fatto: trauma minore del collo); valuta poi la compatibilità causale tra detta lesione e le concrete modalità del fatto illecito.

In definitiva, in questi casi, l'accertamento della lesione del bene salute è avvenuto finora mediante presunzioni, ex artt. 2727 e ss. c.c..

Ebbene, il CTU (prima) ed il giudice (dopo) traggono da fatti (asseritamente) noti (le conseguenze della sintomatologia soggettiva) la sussistenza del fatto ignoto e cioè la lesione del bene salute.

In primo luogo c'era da chiedersi (ancor prima dell'intervento normativo in esame) se sussistessero effettivamente «presunzioni gravi, precise e concordanti».

Ed allora il legislatore, con la novella del 2012 ora integrata dalla “Legge Concorrenza” ha inteso escludere del tutto la prova presuntiva, dovendosi la lesione della salute provare esclusivamente mediante «accertamento clinico strumentale obiettivo, ovvero visivo», non essendo più ammissibile desumere tale prova dalla sintomatologia soggettiva della vittima.

Giova evidenziare che la normativa precedentemente in vigore aveva ricevuto un implicito vaglio positivo dalla Corte c ostituzionale nella citata sentenza n. 235/2014, laddove la Corte ha affermato che le lesioni lievi comportano: «la necessità di un “accertamento clinico strumentale” (di un referto di diagnostica, cioè, per immagini) per la risarcibilità del danno biologico permanente; la possibilità anche di un mero riscontro visivo, da parte del medico legale, per la risarcibilità del danno da invalidità temporanea».

Con la successiva ordinanza C. cost. n. 242/2015, la Corte costituzionale, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei menzionati commi 3-ter e 3-quater, in riferimento agli artt. 3,24 e 32 Cost. La Corte, richiamando la citata sentenza n. 235/2014, ha confermato l'esclusione della necessità del riscontro strumentale per il danno biologico temporaneo e la non censurabilità della prescrizione della (ulteriore e necessaria) diagnostica strumentale ai fini della ricollegabilità di un danno “permanente” alle microlesioni. Per la Corte costituzionale, in relazione a tale seconda tipologia di danno, la limitazione imposta al correlativo accertamento (che sarebbe altrimenti sottoposto ad una discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati) è stata già ritenuta rispondente a criteri di ragionevolezza.

In conclusione, deve confermarsi l'efficacia delle cogenti modalità di prova del danno biologico permanente ed, invece, con l'espressa abrogazione del comma 3-quater, non vi è più alcun limite circa la prova del danno biologico temporaneo.

Si deve ritenere che le modifiche sui criteri di accertamento, introdotti con la “Legge Concorrenza”, siano applicabili anche ai giudizi in corso.

Infatti, in relazione all'introduzione dei menzionati commi 3-ter e 3-quater la Corte costituzionale (C. Cost. n. 235/2014), aveva affermato che quelle nuove disposizioni «in quanto non attinenti alla consistenza del diritto al risarcimento delle lesioni in questione, bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto, si applicano, conseguentemente, ai giudizi in corso (ancorché relativi a sinistri verificatisi in data antecedente alla loro entrata in vigore)» (in tal senso anche la Cass. civ., sent. n. 18773/2016).

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Divieto dell'applicazione analogica dell' art. 139 cod. ass.

Cass. civ., sent. n. 9950/2017

Il danno alla salute, temporaneo o permanente, in assenza di criteri legali va liquidato in base alle cosiddette tabelle diffuse del tribunale di Milano, salvo che il caso concreto presenti specificità, che il giudice ha l'onere di rilevare, accertare ed esporre in motivazione, tali da consigliare o imporre lo scostamento dai valori standard.

Cass. civ. , sent. n. 13982/2015

In tema di danno biologico è precluso il ricorso in via analogica al criterio di liquidazione del danno non patrimoniale da micropermanente derivante dalla circolazione di veicoli a motore e natanti ovvero mediante il rinvio al decreto emanato annualmente dal Ministro delle attività produttive, mentre è congruo il riferimento ai valori inclusi nella tabella elaborata, ai fini della liquidazione del danno alla persona, dal Tribunale di Milano, in quanto assunti come valore "equo", in grado di garantire la parità di trattamento in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o a ridurne l'entità.

Ammissibilità dell'applicazione analogica dell' art. 139 cod. ass.

Trib. Milano, sent. n. 2981/2014

In una fattispecie di responsabilità da cosa in custodia, il Tribunale, pur nella consapevolezza di quanto affermato da Cass. civ., n. 12408/11, ritiene che le ragioni di uniformità richiamate da detta sentenza (oltre che il principio costituzionale di uguaglianza) portano ad escludere che la liquidazione del danno non patrimoniale possa essere diversamente effettuata a seconda del fatto generatore del pregiudizio all'integrità psico-fisica e, considerato che ciò deve avvenire in via necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c., non ravvisa elementi per ritenere che le tabelle elaborate dall'Osservatorio del Tribunale di Milano siano più razionali di quelle formulate dal legislatore.

Accertamento “clinico strumentale obiettivo

Cass. civ. , sent. n. 18773/2016

La Cassazione ha annullato la decisione di merito che ne aveva escluso la risarcibilità, nonostante il referto medico avesse diagnosticato contusioni alla spalla, al torace e alla regione cervicale, guaribili in sette giorni, che, pertanto, non potevano essere ritenute (come invece fatto dal giudice di merito) affezioni asintomatiche di modesta entità non suscettibili di apprezzamento obiettivo clinico alla persona a seguito di sinistro derivante dalla circolazione stradale; ha in proposito chiarito la Corte che l'art. 32, commi 3-ter e 3-quater, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, esplica criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina legale, conducenti a una obiettività dell'accertamento riguardante le lesioni e i relativi postumi qualora esistenti.

Trib. Padova, sent. n. 2892/2016

La risarcibilità delle del danno biologico di lieve entità derivante da sinistri stradali richiede un accertamento strumentale nei casi in cui sussistano dubbi ai fini del riconoscimento della lesione biologica mentre è sufficiente, in ogni altro caso, un dato clinico obiettivo purché scientificamente compatibile e adeguatamente connesso all'evento lesivo.

I valori monetari e personalizzazione nelle “micropermanenti” della tabella milanese del danno non patrimoniale da lesione del bene salute

Nelle citate “sentenze di san Martino”, si afferma che la nozione di «danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata»; non ne parla la legge ed è inadeguata se si pensa che la sofferenza morale cagionata da reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo.

Nell'ambito del danno non patrimoniale il danno morale non individua una autonoma sottocategoria, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi, quello «costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento».

Ebbene, nel novembre 2008, risultò subito evidente che, alla luce dei principi di diritto delle Sezioni Unite, non fosse più possibile continuare ad applicare la precedente Tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale, atteso che la medesima prevedeva la separata liquidazione del danno morale, nella misura da un quarto alla metà dell'importo liquidato per il danno biologico. Incorreva dunque anche questa Tabella nelle censure delle Sezioni Unite, perché determinava una duplicazione di risarcimento del danno (v. amplius D.SPERA, Tabelle del Tribunale di Milano in Ridare.it).

Nel 2009 l'Osservatorio ritenne la necessità di adeguare la Tabella milanese ai dicta delle Sezioni Unite superando la distinzione tra danno biologico in senso stretto e sofferenza morale allo stesso correlata

Si afferma nei “Criteri orientativi” della nuova Tabella (tuttora “vigente”) che si è perseguita «la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di:

  1. 1. c.d. danno biologico “standard”,
  2. 2. c.d. personalizzazione - per particolari condizioni soggettive - del danno biologico,
  3. 3. c.d. danno morale.

Per individuare i valori monetari di tale liquidazione congiunta, si è poi fatto riferimento all'andamento dei precedenti degli Uffici giudiziari di Milano, e si è quindi pensato:

  1. a. a una tabella di valori monetari “medi”, corrispondenti al caso di incidenza della lesione in termini "standardizzabili" in quanto frequentemente ricorrenti (sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali, sia quanto agli aspetti relazionali, sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva);
  2. b. a una percentuale di aumento di tali valori “medi” da utilizzarsi -onde consentire un'adeguata "personalizzazione" complessiva della liquidazione- laddove il caso concreto presenti peculiarità che vengano allegate e provate (anche in via presuntiva) dal danneggiato, in particolare:
    1. i. sia quanto agli aspetti anatomo-funzionali e relazionali (ad es. lavoratore soggetto a maggior sforzo fisico senza conseguenze patrimoniali; lesione al "dito del pianista dilettante"),
    2. ii. sia quanto agli aspetti di sofferenza soggettiva (ad es. dolore al trigemino; specifica penosità delle modalità del fatto lesivo),

ferma restando, ovviamente, la possibilità che il giudice moduli la liquidazione oltre i valori minimi e massimi, in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti».

Sulla base di queste premesse, l'Osservatorio ha ritenuto opportuno salvaguardare comunque i valori monetari fino ad allora riconosciuti in relazione al grado percentuale di danno biologico e che sono stati inglobati nella colonna della Tabella denominata “punto danno non patrimoniale”.

L'aumento personalizzato (indicato nell'ultima colonna della tabella) prevede invece percentuali fino al 50% per tutte le micropermanenti.

Ben può verificarsi che il danno, relativo alla “voce” sofferenza fisica e psichica, sia molto elevato anche in conseguenza di lesioni di lieve entità (si pensi alla lesione del nervo trigemino, valutata nella misura del 4-5% di menomazione psico-fisica, che provoca talora sofferenze dolorosissime; si pensi all'amputazione della falangetta del dito mignolo di una bambina, per la quale è agevole presumere forti sofferenze psichiche nell'età adulta).

Tuttavia sarà sempre possibile che «il giudice moduli la liquidazione oltre i valori minimi e massimi in relazione a fattispecie del tutto eccezionali rispetto alla casistica comune degli illeciti» (così i “Criteri orientativi” - Edizione 2014).

Anche per il danno non patrimoniale conseguente alla inabilità temporanea si è proceduto alla congiunta valutazione del danno biologico e da sofferenza.

L'importo standard è ora pari ad Euro 96,00 e può essere personalizzato con un incremento fino al 50%.

Si deve ribadire che solo il professionista specializzato in medicina legale ha la competenza tecnica necessaria per accertare l'entità del danno biologico. Non a caso l'art. 15 della “Legge Gelli-Bianco” dispone che, nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria debba affidare l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia (in primo luogo) a un medico specializzato in medicina legale. Solo il medico dotato di un'elevata professionalità, che tenga congiuntamente conto degli arresti della giurisprudenza e della medicina legale, può adeguatamente accertare l'entità del danno non patrimoniale da lesione del bene salute.

Vorrei infine evidenziare che, sebbene le tabelle milanesi abbiano sempre consentito la personalizzazione del danno alla salute, sia temporaneo che permanente, raramente gli avvocati hanno allegato particolari condizioni soggettive e, quindi, altrettanto raramente, i giudici hanno finora proceduto ad aumenti degli importi tabellari.

La personalizzazione nella tabella normativa di liquidazione del “danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità” ex art. 139 del Codice

La tabella normativa di cui all'art. 139 (similmente a quanto esposto per quella milanese) ha previsto oltre ad importi standard correlati al grado di invalidità ed all'età della vittima, rispondenti al criterio della «uniformità pecuniaria di base», anche un criterio di «elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione del caso di specie all'effettiva incidenza dell'accertata menomazione sulle attività della vita quotidiana» (in adesione a quanto statuito nella nota sentenza della C. cost. n. 184/1986).

Il danno biologico, infatti, è costituito dalla compromissione del bene salute nelle manifestazioni o espressioni quotidiane che riguardano sia l'attività lavorativa sia anche tutte le attività extra lavorative, che pongono il soggetto in condizioni non solo di produrre utilità, ma anche di riceverne e che postula, quindi, una valutazione necessariamente differenziata caso per caso. Il danno biologico personalizzato attiene dunque alla lesione del bene giuridico salute, e cioè della complessiva e personalizzata perdita della pregressa integrità psico-fisica.

Oltre all'esempio (indicato nei “Criteri orientativi” dell'Osservatorio di Milano) della lesione al dito di una persona che pratichi l'hobby di suonare uno strumento musicale, si pensi ad una menomazione permanente che provochi una maggiore usura lavorativa: ad esempio una menomazione alla caviglia per una barista che sia costretta, per lavoro, a stare in piedi per molte ore al giorno (e ciò a prescindere dall'eventuale prova della diminuzione della capacità di produrre reddito).

Sarebbe certamente incostituzionale una legge che impedisse al giudice la personalizzazione del danno biologico. Il danno biologico personalizzato attiene, dunque, al danno biologico dinamico-relazionale in concreto.

Per il danno biologico conseguente a lesioni di lieve entità (1-9%), l'art. 139, comma 3, cod. ass. ribadiva (anche nel tenore letterale) il criterio adottato dall'art. 23 l. n. 273/2002, secondo cui l'ammontare del danno biologico, permanente e temporaneo, «può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato».

Il novellato comma 3, conferma la percentuale massima di personalizzazione nella misura del 20%, ma introduce notevoli modifiche, almeno nel tenore letterale: «Qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l'ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella di cui al comma 4, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento. L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche».

Non credo, tuttavia, che la novella abbia conseguenze pratiche molto rilevanti per le argomentazioni che seguono.

Le “attività quotidiane e gli aspetti dinamico-relazionali” pregiudicati “in maniera rilevante” dalla menomazione

La definizione ed il contenuto del danno biologico si ravvisano nella “incidenza negativa” della menomazione psicofisica “sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato”. Se le conseguenze della menomazione su tali attività ed aspetti dinamico-relazionali (che potremmo anche definire “esistenziali”) sono di media entità e possono genericamente investire una persona di una certa età, si giustifica quella “uniformità pecuniaria di base”, richiamata dalla citata sentenza C. cost., n. 184/1986 e l'applicazione dei valori monetari “standard” previsti dalla tabella normativa, con modalità analoghe alla applicazione della tabella milanese. Ed allora, ai fini della eventuale personalizzazione, il pregiudizio non deve consistere in un generico “fastidio” in una semplice “difficoltà” nell'esercizio degli accertati “aspetti dinamico-relazionali”; si richiede, invece, che la menomazione psico-fisica incida negativamente sulle attività quotidiane e sugli menzionati aspetti dinamico-relazionaliin maniera rilevante”, impedendoli del tutto o riducendoli significativamente. Il relativo giudizio è ovviamente rimesso al giudice di merito, il quale (di regola) disporrà sulla questione in esame anche uno specifico quesito al CTU, per potersi avvalere della qualificata valutazione dello specialista in medicina legale (eventualmente coadiuvato dall'esperto nel settore in cui è esplicato l'aspetto dinamico-relazionale pregiudicato).

Solo dopo aver accertato i descritti presupposti il giudice potrà aumentare l'importo “standard” fino al 20%. La novella sembra evocare il seguente principio direttivo enunciato nei “criteri applicativi” di cui al citato d.m. 3 luglio 2003 del Ministero della salute (che ha approvato la tabella delle menomazioni tra 1-9%): «Ove la menomazione accertata incida in maniera apprezzabile su particolari aspetti dinamico-relazionali personali, lo specialista medico-legale dovrà fornire motivate indicazioni aggiuntive che definiscano l'eventuale maggior danno tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato, richiamate dal comma 4 dell' art. 5 della legge n. 57/2001 , come modificato dalla legge n. 273/2002».

Incombe ovviamente sul danneggiato la prova dell'esercizio dell'attività esistenziale che si assume compromessa. Anche in questo caso devesi ribadire che il danno non è mai in re ipsa, riconducibile all'evento lesivo dell'interesse protetto, ma è danno conseguenza che deve essere in concreto accertato, sia pure (spesso) mediante presunzioni; «è sempre necessaria la prova ulteriore dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall' art. 1223 c.c. , costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato» (così la C. cost., sentenza n. 372/1994).

In questa prospettiva è essenziale che l'avvocato della vittima assolva compiutamente e tempestivamente l'onere di allegazione della circostanza di fatto che possa giustificare l'aumento della liquidazione del danno (Vedi D.SPERA, Risarcimento del danno non patrimoniale in Ridare.it); successivamente, e comunque entro il termine di cui all'art. 183,6 comma, n. 2 c.p.c., tenuto conto delle contestazioni mosse da controparte, il difensore della vittima ha l'onere di documentare e/o chiedere la prova orale circa i fatti e le circostanze significative che consentano una completa personalizzazione del danno, sia in relazione al periodo di durata della malattia sia in relazione ai postumi permanenti.

Segue. L'inciso “documentati e obiettivamente accertati”

I menzionati «aspetti dinamico-relazionali personali» possono dar luogo all'aumento del risarcimento solo se “documentati” (ad esempio: una pratica hobbistica “certificata” con plurime e non contestate iscrizioni annuali a tornei, attestazioni di trofei conquistati, polizze assicurative ad hoc, ecc.) «e obiettivamente accertati» (mediante prova testimoniale, confessione giudiziale o stragiudiziale, ecc.).

Se si interpretasse la congiunzione “e” nel senso di necessaria compresenza dei due requisiti, la norma sarebbe certamente incostituzionale perché lesiva del diritto di difesa ex art. 24 Cost., impedendo o rendendo ingiustificatamente ardua la prova del diritto alla liquidazione del maggior danno: gli «aspetti dinamico-relazionali personali» comprovati dai testimoni e pregiudicati dalla menomazione (come eventualmente acclarato nel nesso di causa anche dal CTU) sono “obiettivamente accertati”, ma non “documentati”.

Un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'inciso e coerente con la voluntas legis impone una lettura diversa: occorre la rigorosa prova in concreto - mediante documenti, prove orali, ma anche mediante presunzioni ex art. 2729 c.c. in presenza di comprovate circostanze gravi, precise e concordanti, e se necessario con il supporto valutativo del CTU circa il nesso di causa - che l'accertata menomazione psico-fisica abbia pregiudicato l'attività esistenziale precedentemente praticata dalla vittima. Non è affatto sufficiente, invece, una valutazione in astratto o meramente presunta circa la sussistenza di abitudini di vita quotidiana e aspetti dinamico-relazionali (genericamente) pregiudicati dalla lesione del bene salute; diversamente opinando, ne deriverebbero immotivate e vietate elargizioni di danaro in favore della vittima.

Si potrebbe forse sostenere che “l'enfasi” dell'inciso in esame possa comportare l'esclusione della applicabilità del principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c.: se i fatti posti a fondamento della circostanza hobbistica non sono stati “specificatamente contestati” dalla controparte negli atti introduttivi e/o nella memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c., incombe comunque sul danneggiato l'onere della prova degli stessi, con la richiesta dei mezzi di prova e la produzione documentale da effettuare nelle successive memorie istruttorie. Del resto, le «attività quotidiane e gli aspetti dinamico-relazionali» rientrano per definizione nella sfera esclusiva della parte che ha subito la lesione e sono di regola del tutto ignoti alla controparte (danneggiante e/o compagnia assicuratrice), che si limita (al più) ad una contestazione inevitabilmente generica. Se intendesse seguire questa tesi interpretativa, il giudice dovrebbe rilevare la questione ex art. 183, comma 4, c.p.c.; sarebbe altrimenti pregiudicato il diritto di difesa della parte danneggiata, che, confidando nella sussistenza dei presupposti per l'applicazione del principio di non contestazione, potrebbe incorrere nelle preclusioni, non richiedendo nei termini perentori ex art. 183 c.p.c., comma 6, la prova dei fatti costitutivi della richiesta di personalizzazione del danno.

In considerazione del terreno “scivoloso” e complesso della tutela costituzionale del diritto di difesa (ex art. 24 Cost.), auspico che sull'inciso «documentati e obiettivamente accertati», vi sia un sollecito intervento della dottrina processuale civile.

Segue. La “sofferenza psico-fisica di particolare intensità”

Ulteriore possibile presupposto per ottenere l'incremento del risarcimento è la prova che la menomazione accertata «causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità». In questo caso è discutibile la congiunzione “ovvero”.

Giova premettere che, nelle menzionate “sentenze di San Martino”, la Cassazione ha ritenuto che, nell'ambito del danno non patrimoniale, il “danno morale” non individua un'autonoma sottocategoria, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi, quello «costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata».

Nel commentare le “sentenze di San Martino” ho sostenuto che i pregiudizi conseguenti alla menomazione psicofisica - «il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare» e quello ravvisato nella pena e nel dolore conseguenti e cioè «nella sofferenza morale determinata dal non poter fare» - sono, in definitiva, due facce della stessa medaglia, essendo la sofferenza morale «componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale». I giudici devono, quindi, con congrua motivazione, «procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico», valutando congiuntamente i pregiudizi anatomo-funzionali e le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso (amplius D.SPERA, Tabelle del Tribunale di Milano in Ridare.it).

In realtà il legislatore ha inteso “difendere” la tabella normativa dai continui “attacchi” mossi da una parte della giurisprudenza di merito e di legittimità secondo cui, stante «la diversità ontologica degli aspetti (o voci) di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale è necessario che essi, in quanto sussistenti e provati, vengano tutti risarciti, e nessuno sia lasciato privo di ristoro» (Cass. civ., sent. n. 19211/2015; Cass. civ., sent. n. 11851/2015).

A mio giudizio affermare che danno morale, danno esistenziale e danno biologico sono danni “ontologicamente diversi”, significa prendere in considerazione ed evidenziarne la diversa essenza strutturale. Già avvertivano le c.d. “sentenze gemelle” (Cass. civ., sent., 31 maggio 2003 n. 8827 e Cass. civ., sent., 31 maggio 2003 n. 8828) che, nella valutazione dei pregiudizi non patrimoniali da lesione di interessi costituzionalmente protetti, segnatamente in relazione al danno morale (per difetto di materialità del bene inciso allorché non ricorra la lesione biologica), sussistono «innegabili difficoltà nella distinzione di pregiudizi che, pur ontologicamente diversi tra loro, concernono ambiti che tendono talora a sovrapporsi». Anche la sentenza Cass. civ., S ez. U n . n. 15350 /2015 ha ribadito la necessità della unitaria liquidazione del danno non patrimoniale per i pregiudizi di tipo relazionale e di sofferenza soggettiva rappresentata dal danno morale.

In definitiva, nessuno ha mai detto che la sofferenza costituisca il medesimo pregiudizio denominato anatomo-funzionale (danno biologico) o relazionale (danno esistenziale), ma, con rigore scientifico ed argomentazione più moderna ed intelligente (forse unica nell'intero panorama europeo), si è voluto (semplicemente) sostenere che la liquidazione del danno conseguenza deve avere necessariamente riguardo al danno non patrimoniale complessivamente subito dalla vittima, non per ridurre il risarcimento, ma per evitarne una sorta di vivisezione: la “voce” danno da pregiudizio anatomo-funzionale va valutata congiuntamente (e non separatamente) alle voci di danno da sofferenza interiore e relazionale. È stato del resto proprio questo, come si è detto, il criterio di liquidazione posto a fondamento della nuova Tabella milanese di liquidazione del danno non patrimoniale conseguente alla lesione del bene salute (v. anche D.SPERA, Il danno non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale) è risarcibile solo come danno da sofferenza?, in Ridare.it).

Sulla base di queste premesse, dunque, non dovrebbe esserci molto spazio per l'applicazione autonoma dell'inciso «una sofferenza psico-fisica di particolare intensità», intesa come pregiudizio non patrimoniale diverso dalla incidenza negativa «sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato», per l'ovvia ragione che queste ultime determinano sofferenza e si traducono nella «sofferenza del non poter più fare», (già) oggetto del risarcimento.

In conclusione, l'inciso potrà trovare sicura applicazione: nella sofferenza esclusivamente fisica (temporanea o permanente) conseguente alla menomazione, sempre che non sia stata già valutata dal medico legale ai fini della quantificazione del danno biologico; ovvero nella sofferenza psico-fisica di particolare intensità, che, pur non degenerando in danno biologico-psichico, sia cioè esclusivamente interiore e non si traduca, quindi, nella compromissione di attività quotidiane e di interazioni dinamico relazionali (ad esempio: una cicatrice che determini un danno estetico valutato dal CTU, ma che determina particolare sofferenza della vittima, che, pur continuando a compiere le sue quotidiane attività come prima, modifichi sensibilmente il proprio stile di abbigliamento per nascondere la menomazione). Questo danno potrà essere di regola comprovato mediante l'escussione di testi per accertare le circostanze di fatto da cui poter desumere, in via presuntiva, la particolare intensità del dolore interiore della vittima, superiore a quella di una vittima che abbia subito analoghe compromissioni.

Segue. “Equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”

Una volta provati uno o più dei presupposti esaminati, «l'ammontare del risarcimento del danno (…) può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento».

A mio giudizio, il giudice non ha alcuna discrezionalità circa l'an e cioè l'accoglimento della domanda e deve procedere alla liquidazione; la discrezionalità del giudice attiene invece al quantum, nell'ambito del range previsto fino al 20%. Una volta comprovata la condizione soggettiva rilevante, il giudice potrà eventualmente richiedere al CTU la valutazione medico-legale, al fine di acclarare se quella specifica attività esistenziale sia, in tutto o in parte, preclusa per effetto della menomazione psicofisica; con l'avvertenza che il CTU dovrà limitarsi ad esprimere una valutazione tecnica e fornire al giudice tutti gli elementi necessari per chiarire la situazione di fatto, ma non dovrà aumentare l'entità percentuale del danno biologico (eventualmente già accertato). Si evita così in radice il rischio di una inammissibile duplicazione di risarcimento del medesimo pregiudizio: da parte del CTU, prima, con l'aumento percentuale del punto biologico e, da parte del giudice, poi, con l'aumento dei valori monetari fino al 20%.

Si deve ribadire che spetta solo al giudice, con equo apprezzamento, motivare (sia pur succintamente) le ragioni per le quali abbia deciso una determinata percentuale in aumento, tenendo conto delle «condizioni soggettive del danneggiato». Come si è detto, prima delle modifiche apportate dalla “Legge Concorrenza”, il comma in esame richiamava solo quest'ultimo inciso. Alla luce di quanto si è fin qui esposto, le “condizioni soggettive del danneggiato” sono esattamente gli «specifici aspetti dinamico-relazionali personali» e la «sofferenza psico-fisica di particolare intensità», ora con maggiore precisione indicati nella norma novellata.

Forse nel nuovo contesto normativo, il riferimento alle condizioni soggettive del danneggiato potrebbe essere interpretato come una sollecitazione al giudice di tenere conto del complessivo peggioramento delle condizioni di vita della vittima (anatomo-funzionali, relazionali e di sofferenza soggettiva), per cogliere ancora più compiutamente quanto sia già ricompreso nella liquidazione standard e quanto invece, con equo apprezzamento sia meritevole di un ulteriore ristoro.

Segue. Il risarcimento “esaustivo” e la “legislazione difensiva”

Il comma 3 si chiude con una perentoria affermazione: «L'ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche». Anche in questo inciso ravviso un esempio di “legislazione difensiva” nei confronti di quella parte di giurisprudenza (togata e onoraria) e dottrina sempre pronta a “vivisezionare” il danno non patrimoniale in altre voci di danno e a prospettare ulteriori pregiudizi ontologicamente diversi, magari cambiandone la denominazione medico-legale o giuridica, ma determinando così inammissibili duplicazioni di risarcimento del medesimo pregiudizio. La ratio della norma, a mio giudizio, va ravvisata nell'esigenza di stigmatizzare un principio generale, senza alcuna efficacia precettiva, per le seguenti ragioni:

a) alla luce di quanto esposto, non credo sia possibile prospettare altre possibili ipotesi di conseguenze dannose della lesione del bene salute, che non siano state già allegate dalla parte, provate nel processo e liquidate dal giudice con gli importi “standard” previsti nella tabella normativa e con l'eventuale aumento degli stessi fino al 20%. In considerazione della articolata e motivata possibilità di personalizzare il danno subito dalla vittima, credo proprio che si debba continuare a ravvisare nell'art. 139 cod. ass. una modalità di risarcimento del danno e non un mero indennizzo (come sempre più frequentemente accade in altri Stati membri dell'Unione europea);

b) il legislatore, con la modifica anche del titoletto dell'art. 139 in esame «Danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità» e con l'espressa previsione del danno da sofferenza psico-fisica, ha voluto esprimere adesione agli arresti della Cassazione (con particolare riguardo alle citate “sentenze gemelle” e alle “sentenze di San Martino”) circa l'inquadramento del danno alla salute nell'ambito della unitaria categoria del danno non patrimoniale e alla sua riconducibilità all'art. 2059 c.c.. Poiché tuttavia non sono stati modificati i valori monetari, la novella potrebbe essere criticata come un'operazione di mero maquillage. Tuttavia, a mio avviso, ora la norma appare migliorata da un punto di vista scientifico e di tecnica giuridica. Nel merito, ritengo irrilevante l'inciso sulla esaustività del risarcimento, atteso che gli immutati valori monetari sono stati già oggetto del positivo vaglio della Corte di giustizia europea e della Corte costituzionale;

c) la Corte di giustizia europea, infatti, con la sentenza del 23 gennaio 2014, nella causa C-371/12, ha confermato la validità degli attuali limiti previsti in Italia per le micropermanenti. Il principio stabilito dalla Corte è che le normative nazionali possono limitare in qualche modo i risarcimenti, materia regolata da direttive europee. La Corte ha rilevato che non risulta che la normativa italiana preveda importi non conformi al minimo stabilito dalla normativa dell'Unione. Da tale sentenza si ricava la massima secondo cui il diritto dell'Unione ammette una legislazione nazionale che, nell'ambito di un particolare sistema di risarcimento dei danni non patrimoniali derivanti da lesioni di lieve entità causate da sinistri stradali, limiti il risarcimento di tali danni rispetto a quanto ammesso in caso di danni identici risultanti da altre cause;

d) con la citata sentenza n. 235/2014, anche la C orte costituzionale ha stabilito che i valori monetari previsti dall'art. 139 per la liquidazione del danno biologico - permanente e temporaneo, conseguente a lesioni di lieve entità derivanti da incidenti stradali - non sono in contrasto né con la Costituzione italiana né con i precetti della normativa europea. Ciò perché la prospettazione di una disparità di trattamento «è smentita dalla constatazione che, nel sistema, la tutela risarcitoria dei danneggiati da sinistro stradale è, viceversa, più incisiva e sicura, rispetto a quella dei danneggiati in conseguenza di eventi diversi. Infatti solo i primi, e non anche gli altri, possono avvalersi della copertura assicurativa, ex lege obbligatoria, del danneggiante – o, in alternativa, direttamente di quella del proprio assicuratore – che si risolve in garanzia dell'an stesso del risarcimento»; perché «l'assunto per cui gli introdotti limiti tabellari non consentirebbero di tener conto della diversa incidenza che pur identiche lesioni possano avere nei confronti dei singoli soggetti, trascura di dare adeguato rilievo alla disposizione di cui al comma 3 del denunciato art. 139, in virtù della quale è consentito al giudice di aumentare fino ad un quinto l'importo liquidabile ai sensi del precedente comma 1, con “equo e motivato apprezzamento”, appunto, “delle condizioni soggettive del danneggiato”». Avverte la Corte costituzionale che, sebbene l'art. 139 (nel tenore precedente alla “Legge Concorrenza”) faccia testualmente riferimento al “danno biologico” e non menzioni anche il “danno morale”, le “sentenze di San Martino” hanno chiarito «come il cosiddetto “danno morale” − e cioè la sofferenza personale suscettibile di costituire ulteriore posta risarcibile (comunque unitariamente) del danno non patrimoniale, nell'ipotesi in cui l'illecito configuri reato − «rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente». La norma denunciata non è, quindi, chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3»;

e) è di tutta evidenza che le modeste modifiche apportate dalla “Legge Concorrenza” all'art. 139 in esame non ne hanno determinato l'incostituzionalità. Pertanto, il giudice di merito che contesti il principio di esaustività dell'ammontare complessivo del risarcimento e voglia estendere o modificare l'ambito applicativo dell'art. 139 ed i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale di lieve entità - risultanti dal diritto positivo e dai delineati arresti della giurisprudenza delle Supreme Corti - non dovrebbe “avventurarsi” nella costruzione di un proprio statuto di liquidazione del danno, ma avere l'onestà intellettuale di rimettere nuovamente, con diverse argomentazioni e magari sulla scorta delle introdotte novità legislative, la questione al vaglio della Corte costituzionale.

Segue. La personalizzazione del danno da micropermanente nella riforma sanitaria “Legge Gelli-Bianco”

È opportuna una breve annotazione finale sulla personalizzazione del danno da micropermanente nella riforma sanitaria oggetto della “Legge Gelli-Bianco”. Come si è innanzi accennato, ai sensi del comma 4 dell'art. 7, tale danno «è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private». Quanto fin qui esposto, circa il danno tabellare “standard” e circa l'aumento del risarcimento fino al 20%, troverà quindi applicazione anche nelle ipotesi in cui il danno alla salute sia conseguenza di malpractice medica.

Tuttavia, nei soli confronti dell'esercente la professione sanitaria, il comma 3 del medesimo articolo 7 dispone che «Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall'articolo 6 della presente legge».

Certamente sarà quindi possibile per l'esercente la professione sanitaria comprovare, anche incidenter tantum nel processo civile, che, sebbene la morte o la lesione personale del paziente si siano verificate in conseguenza della propria condotta a causa di imperizia, siano state comunque «rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto» (ex art. 590-sexies c.p., introdotto dall'art. 6 della novella). Di tali circostanze il giudice dovrà tener conto nella determinazione del risarcimento del danno e quindi, con equo e motivato apprezzamento, dovrà diminuire l'entità del danno risarcibile in favore della vittima.

Ma il citato art. 7, comma 3, richiama anche il precedente art. 5.

Rinviando la compiuta disamina della questione a prossimi approfondimenti, può darsi che il giudice dovrà diminuire l'entità del risarcimento anche nelle altre ipotesi previste dall'art. 5, allorché non sussistano tutti i cogenti presupposti richiesti dall'art. 6, ai fini della non punibilità penale, e, tuttavia, l'esercente la professione sanitaria si sia comunque attenuto «salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie (…). In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali».

Parte della dottrina ha ritenuto che il comma 3 dell'art. 7 consenta l'accesso anche al c.d. “danno punitivo”: il giudice, in tutti i casi di acclarata inosservanza delle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ovvero (in mancanza) delle buone pratiche clinico-assistenziali, dovrebbe aumentare l'entità del risarcimento del danno liquidato in favore della vittima.

La tesi non mi pare convincente per le seguenti ragioni:

- secondo un profilo di interpretazione teleologica, la ratio ispiratrice dell'intera riforma sanitaria “Gelli-Bianco” mira ad ampliare la tutela del danneggiato nei confronti della struttura sanitaria e ad attenuare la responsabilità dell'esercente la professione sanitaria;

- inoltre, da un punto di vista sistematico, sarebbe davvero irragionevole ritenere che il legislatore nel primo periodo dell'art. 7, comma 3, tuteli l'esercente la professione sanitaria rendendo più gravoso l'onere della prova della responsabilità dello stesso, prevedendone (di regola) la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c., mentre nel secondo periodo preveda una maggiore responsabilità dello stesso esercente in quanto tenuto, oltre che al risarcimento del danno, anche al pagamento di una somma ulteriore a titolo di sanzione;

- in questo contesto, una lettura costituzionalmente orientata impone di interpretare la norma in esame nei termini qui propugnati perché altrimenti la stessa sarebbe certamente in contrasto con l'art. 3 Cost., prevedendo, senza alcuna giustificazione, un danno-sanzione nei soli confronti dell'esercente “strutturato” la professione sanitaria e non anche nei confronti della più “forte”, economicamente e giuridicamente, struttura sanitaria (art. 7, commi 1 e 2);

- da un punto di visto storico, la norma sembra ribadire il principio normativo già affermato nell'art. 3, comma 1 della “Legge Balduzzi”, secondo cui, l'esercente la professione sanitaria non punibile penalmente, per essersi attenuto nello svolgimento della propria attività a linee guida e buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica, rimane tuttavia civilmente responsabile ex art. 2043 c.c. ed il giudice «anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto» della sua condotta. Ebbene nessuno ha interpretato quest'ultimo inciso nel senso che il giudice possa aumentare l'entità risarcimento, ma tutti i commentatori hanno ritenuto che la norma possa solo giustificare una diminuzione del risarcimento in favore della vittima. Come si è detto l'art. 3, comma 1 è stato abrogato dall'art. 6, comma 2 della Legge Gelli-Bianco”, ma quella norma potrà ancora essere applicata perché, in talune fattispecie concrete, è ritenuta dalla prevalente dottrina e giurisprudenza legge penale più favorevole al reo, ai sensi dell'art. 2 c.p. (Cass. pen., sez. IV, sent., n. 28187/2017);

- le Sezioni Unite, con la sentenza Cass. civ., Sez.Un., n. 16601/2017, hanno affermato (tra l'altro) che alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subìto la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile; tuttavia, il c.d. “danno punitivo” presuppone la garanzia della tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i suoi limiti quantitativi. È di tutta evidenza che nell'art. 7, comma 3, mancano tutti i menzionati presupposti: non vi è un'espressa disposizione sulla pena-sanzione, che (ad esempio) senza dubbio ricorre nel successivo art. 8, comma 4 l. 24/2017; non è prevedibile, perché non ne sono ben enucleati i presupposti; non sono infine neppure determinati i limiti quantitativi della sanzione (v., amplius, M.HAZAN, I “danni punitivi” nella rc auto e nella rc sanitaria: cosa cambia dopo le Sezioni Unite?, in Ridare.it);

- di conseguenza, la norma in esame muta la prospettiva del risarcimento del danno non più solamente vittimologica, perché tiene conto anche della qualità rivestita dal soggetto agente e delle modalità della condotta, ma ciò solo al fine di diminuire l'entità del risarcimento liquidato alla vittima e non per aumentarlo con finalità punitive.

Casistica

Il “danno morale” deve essere allegato e provato

Cass civ. , sent. n. 339/2016

In caso di incidente stradale, va liquidato anche il danno morale, ancorché conseguente a lesioni di lieve entità (micropermanenti), purchè si tenga conto della lesione in concreto subita, non sussistendo alcuna automaticità parametrata al danno biologico, e il danneggiato è onerato dell'allegazione e della prova, eventualmente anche a mezzo di presunzioni, delle circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza e turbamento.

Aumento del risarcimento fino al 20% anche in presenza di sofferenza di lieve entità

Trib. Bologna, sent. n. 20563/2016

Il risarcimento del danno deve essere aumentato nella misura del 20% ex art. 139 del codice anche qualora la sofferenza, accertata o presunta, fosse di lieve entità, perché altrimenti si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti che abbiano riportato lesioni a seguito di incidente stradale e soggetti che abbiano riportato lesioni di lieve entità per altre cause, che otterrebbero per effetto dell'applicazione della tabella milanese, a parità di lesioni, risarcimenti più elevati.

Aumento del risarcimento oltre il 20% per la liquidazione del “danno morale”

Trib. Torre Annunziata, sent. n. 1877/2017

Le tabelle delle cd. micropermanenti non riconoscono alcun valore al danno conseguente alle sofferenze fisiche e psichiche patite dalla vittima, profilo che, invece, identifica una componente indefettibile del procedimento risarcitorio indicato dalle Sezioni Unite. A tale limite strutturale della norma non può, altresì, porsi emendamento ricorrendo alla limitata personalizzazione prevista dal terzo comma dell'art. 139 cod. ass.; nella fattispecie concreta è equo aumentare il risarcimento nella misura del 30%, per la compiuta liquidazione della sofferenza morale.

Applicazione dei criteri di determinazione del danno non patrimoniale praticati al momento della liquidazione

Tesi contraria

Cass. civ. , sent. n. 5013/2017

In tema di risarcimento danni per equivalente, la stima e la determinazione del pregiudizio da ristorare vanno operate alla stregua dei criteri praticati al momento della liquidazione, in qualsivoglia maniera compiuta, cioè secondo i parametri vigenti alla data della pattuizione convenzionale stipulata tra le parti, ovvero del pagamento spontaneamente effettuato dal soggetto obbligato, o della pronuncia (anche non definitiva) resa sulla domanda risarcitoria formulata in sede giurisdizionale o arbitrale, restando preclusa, una volta quantificato il danno con una di tali modalità, l'applicazione di criteri di liquidazione elaborati in epoca successiva.

Cass. civ. , sent. n. 25485/2016

In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando, all'esito del giudizio di primo grado, l'ammontare del danno alla persona sia stato determinato secondo il sistema “tabellare”, la sopravvenuta variazione – nelle more del giudizio di appello – delle tabelle utilizzate legittima il soggetto danneggiato a proporre impugnazione, per ottenere la liquidazione di un maggiore importo risarcitorio, allorquando le nuove tabelle prevedano l'applicazione di differenti criteri di liquidazione o una rideterminazione del valore del “punto-base” in conseguenza di una ulteriore rilevazione statistica dei dati sull'ammontare dei risarcimenti liquidati negli uffici giudiziari, atteso che, in questi casi, la liquidazione effettuata sulla base di tabelle non più attuali si risolve in una non corretta applicazione del criterio equitativo previsto dall'art. 1226 c.c.

Irretroattività del criterio di liquidazione ex art. 139 del Codice nella “ Legge Balduzzi

App . Milano, sent. n. 1491/2016

In base all'art. 11 delle Preleggi, l'art. 3 comma 3, d l. n. 158/2012 (convertito in l. 8 novembre 2012 n. 189 , c.d. legge Balduzzi”), che richiama, nell'ipotesi di responsabilità dell'esercente la professione sanitaria, il criterio di liquidazione di cui all'art. 139 cod. ass., ha natura eccezionale e conseguentemente, in assenza di una espressa disposizione in senso contrario, può essere applicato soltanto ai fatti accaduti dopo la sua entrata in vigore.

Trib. Napoli, sent. n. 3488/2014

I criteri di liquidazione del danno biologico, in difetto di previsioni normative, vanno individuati in quelli tabellari elaborati presso il tribunale di Milano e non, invece, nei valori tabellari di cui alla l. n. 57/2001 (successivamente trasfuse nell'art. 139 cod. ass.), il cui ambito applicativo è limitato ai sinistri cagionati dalla circolazione di veicoli e, a far data dall'entrata in vigore del d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito nella l. n. 189/2012 - inapplicabile ratione temporis alla fattispecie esaminata dal Tribunale -, a quelli relativi al danno biologico conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria limitatamente ai cosiddetti danni micropermanenti.

Sommario