Massimiliano Fabiani
16 Aprile 2014

La nozione di danno catastrofico è una figura di creazione giurisprudenziale. Il “leading case”: la Cassazione civile (Cass. civ. sez. III, 2 aprile 2001 n. 4783) statuisce che in caso di lesione illecita che abbia portato a breve distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla vittima, che abbia lucidamente percepito l'approssimarsi della morte, un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell'intervallo di tempo tra lesione e morte, bensì dall'intensità della sofferenza provata dalla vittima dell'illecito. Ciò in quanto le lesioni mortali conducono, secondo l'esperienza medico legale e psichiatrica (secondo quella psichiatria nordamericana deve essere ricondotto nella scala DSM III degli eventi psicosociali stressanti, di sesto livello, che è quello più elevato), alla presenza di un danno “catastrofico” (l'espressione la si deve al Consigliere relatore dott. Giovanni Battista Petti) per intensità a carico della psiche del soggetto, che attende lucidamente l'estinzione della propria vita essenzialmente come sofferenza esistenziale e non già come dolore. L'intensità della sofferenza e della disperazione possono essere apprezzate dalla vittima, pur nel breve intervallo delle residue speranze di vita.
Nozione

La nozione di danno catastrofico è una figura di creazione giurisprudenziale.

Il “leading case”: la Cassazione civile (Cass. civ. sez. III, 2 aprile 2001 n. 4783) statuisce che in caso di lesione illecita che abbia portato a breve distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla vittima, che abbia lucidamente percepito l'approssimarsi della morte, un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell'intervallo di tempo tra lesione e morte, bensì dall'intensità della sofferenza provata dalla vittima dell'illecito. Ciò in quanto le lesioni mortali conducono, secondo l'esperienza medico legale e psichiatrica (secondo quella psichiatria nordamericana deve essere ricondotto nella scala DSM III degli eventi psicosociali stressanti, di sesto livello, che è quello più elevato), alla presenza di un danno “catastrofico” (l'espressione la si deve al Consigliere relatore dott. Giovanni Battista Petti) per intensità a carico della psiche del soggetto, che attende lucidamente l'estinzione della propria vita essenzialmente come sofferenza esistenziale e non già come dolore. L'intensità della sofferenza e della disperazione possono essere apprezzate dalla vittima, pur nel breve intervallo delle residue speranze di vita.

Costituisce indirizzo consolidato della Suprema Corte (Cass. civ., 16 maggio 2003 n. 7632; Cass. civ., 23 febbraio 2004 n. 3549 e Cass. civ., n. 11601/2005) che la brevità del periodo di sofferenza non è di ostacolo al fatto che la vittima abbia avuto contezza della gravità delle lesioni subite, con l'inevitabile riconoscimento di un “pati” (inteso come percezione della sofferenza) da ascriversi sotto il profilo e conseguente ristoro del danno morale. Nello stesso senso Cass. civ. S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, secondo cui una sofferenza psichica siffatta, di massima intensità anche se di durata contenuta, non essendo suscettibile, in ragione del limitato intervallo di tempo tra lesioni e morte, di degenerare in patologia e dare luogo a danno biologico, va risarcita come danno morale, nella sua nuova più ampia accezione.

Responsabilità ed elemento oggettivo

Se la definizione di danno catastrofico non si rinviene in alcuna disposizione codicistica e/o legislativa, occorre inidividuarne la sussistenza e la risarcibilità in quelle norme che disciplinano e tutelano le ipotesi di responsabilità civile, in primis nelle fattispecie inerenti quella aquiliana. Inutile negare che le ipotesi più frequenti sono quelle attinenti la responsabilità civile automobilistica. Sotto il profilo della responsabilità norma di riferimento è l'art. 2054 c.c., che pone, come noto, a carico del conducente una presunzione di responsabilità, se egli non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Sotto il profilo risarcitorio, alla luce dell'orientamento espresso dalle S.U. (Cass. civ., S.U., n. 26972 cit.), la norma di riferimento è l'art. 2059 c.c., improntata ad una lettura costituzionalmente orientata e ormai “pan-risarcitoria” del danno non patrimoniale: la sussistenza e il ristoro della voce “danno catastrofico” sono possibili nella sola ipotesi in cui, in conseguenza di un sinistro stradale, la vittima abbia riportato lesioni di tale gravità da cagionarne la morte. Quindi ciò che rileva, sotto un profilo oggettivo, è la sussistenza, ai fini della risarcibilità, di un lasso di tempo tra l'evento lesivo e l'evento morte, durante il quale il soggetto che “permane in vita” ha cosciente percezione delle conseguenze catastrofiche delle lesioni riportate: risulta decisivo il ruolo della sofferenza psichica e della disperazione di “massima intensità” provate dalla vittima nel percepire l'approssimarsi della propria morte. Non dimentichiamo, da ultimo, che la statuizione contenuta nelle sentenze di San Martino (Cass. civ., S.U. n. 26972/2008 cit.), secondo cui è consentito al giudice di riconoscere e liquidare il solo danno morale a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, e che sia rimasta lucida durante l'agonia in consapevole attesa della fine, è finalizzata proprio a scongiurare il “terror vacui”, determinato dalla giurisprudenza di legittimità, che nega, nel caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza dall'evento lesivo, il risarcimento del danno biologico da perdita della vita (si veda però Cass. civ., sez. III, 19 novembre 2013-23 gennaio 2014 n. 1361 sulla “risarcibilità anche del danno da perdita della vita quale bene supremo di ogni singolo individuo”, con commenti critici di Filippo Martini e Marco Rodolfi, in Guida al Diritto, n. 7 del 8 febbraio 2014, pag. 14 ss.) e lo ammette invece per la perdita della salute, solo se il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, al quale lo commisura (Cass. civ., n. 6404/1998).

Elemento soggettivo

Sulla natura del danno catastrofico occorre segnalare che in giurisprudenza si sono succeduti due orientamenti:

  1. primo orientamento, tendenzialmente maggioritario e comunque poi avvallato dalle S.U. del novembre 2008, ritiene che il danno catastrofico sia di natura morale. A sostegno della natura morale del danno vengono ritenuti fondanti due elementi: da un lato il fatto che la sofferenza è di durata e intensità minima (rectius circoscritta in un limitato lasso temporale) a differenza di quanto richiesto per il riconoscimento e la sussistenza del danno biologico; dall'altro il fatto che i prossimi congiunti del de cuius richiedono, iure hereditatis, solamente quel danno patito dalla vittima, che, come detto, si caratterizza per l'intensità della sofferenza patita da quest'ultima nella disperazione dovuta all'approssimarsi della inevitabile morte: sofferenza (di intensità massima) ma di limitata dimensione spazio temporale tipica del danno morale transeunte;
  2. secondo orientamento, minoritario, che qualifica e connota la natura del danno catastrofale come danno biologico (così Cass. civ. sez. lav., 18 gennaio 2011, n. 1072). Al contrario, si ritiene invece che la sofferenza patita dalla vittima sia di intensità tale da essere preponderante rispetto alla brevità del lasso intertemporale di permanenza in vita del soggetto. La profonda disperazione in cui versa la vittima, che attende lucidamente lo spirare della propria vita comporta una profonda compromissione delle dinamiche psichiche tale da sfociare in patologia. La tematica di fondo, cara a detto orientamento, è quella che mira ad un riconoscimento giurisprudenziale del risarcimento del danno da perdita della vita, sostanzialmente da sempre negato e ribadito dalle S.U. del 2008 ma nuovamente riportato in auge, nel gennaio 2014, dalla pronuncia della Suprema Corte del gennaio 2014 (Cass. civ., n 1361/2014 cit.).

Sotto il profilo del genus, aderendo all'orientamento maggioritario, si tratta pertanto di un danno morale che si traduce in un forte turbamento psichico, dotato di particolare intensità, ma, contestualmente, non definibile quale vera e propria malattia psicologica e ciò in considerazione della durata limitata dello spazio temporale intercorrente tra le lesioni e la morte: spazio così esiguo da non consentire la effettiva degenerazione del turbamento in patologia.

Si tratta di un danno personalissimo della vittima che è trasmissibile agli eredi, che possono agire in giudizio nei confronti del danneggiante/responsabile iure hereditatis. Il diritto al risarcimento del danno entra nel patrimonio della vittima e viene trasferito ai prossimi congiunti. Il danno lamentato da costoro, cosiddette vittime da rimbalzo o dommages par ricochet secondo la terminologia cara alla giurisprudenza transalpina, consiste proprio in quel sentimento di sconforto, di disperazione, di fragilità e paura tipico di colui (il de cuius) che si trova nella consapevolezza dell'approssimarsi di una morte certa, imminente ed inevitabile.

Nesso di causalità

In primis, al fine di individuare il responsabile dell'evento lesivo (che va a colpire la situazione soggettiva della vittima primaria e poi quelle delle vittime da rimbalzo) occorrerà accertare il nesso di causalità materiale tra l'azione e/o omissione posta in essere dal danneggiante e il decesso del danneggiato, ai sensi degli artt. 41 e 42 c.p., secondo i criteri della cosiddetta causalità naturale (inerente il fatto generatore della responsabilità), fondata sul principio della conditio sine qua non o di equivalenza, con il correttivo della cosiddetta “efficenza causale”. In secondo luogo, accertata con esito positivo l'ascrivibilità della responsabilità dell'evento al danneggiante (situazione tipica della responsabilità ex aquilia a differenza della responsabilità da inadempimento che opera sul presupposto del soggetto inadempiente -di cui infra sub. “onere della prova”) occorrerà accertare il nesso causale tra evento morte e le conseguenze subite dalle vittime secondarie secondo i criteri della cosiddetta “causalità giuridica” di cui all'art. 1223 c.c., richiamato dall'art. 2056 comma 1 c.c., che limita il risarcimento ai soli danni immediati e diretti (non richiamando, come noto, l'art. 2056 c.c. l'art. 1225 c.c., rubricato “prevedibilità del danno”), ma che per giurisprudenza costante (Cass. civ. S.U.,1 luglio 2002, n. 9556, viene esteso anche ai danni indiretti, purché in nesso causale con l'evento principale.

Onere della prova

Per un corretto inquadramento dell'onere della prova gravante sulle parti processuali, giova in primo luogo evidenziare che incombe ai prossimi congiunti della vittima primaria, che agiscono iure hereditatis, la prova che il de cuius fosse in stato di coscienza nel breve intervallo tra l'evento e la morte nonché l'accento dovrà essere posto sulla intensità della sofferenza provata. Diversamente tale voce di danno non è risarcibile quando all'evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (Cass. civ., Sez. III, 9 maggio 2011 n. 10107, confr. Cass. Civ., sez. III, ordi., 14 dicembre 2010 n. 25264; Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass. civ., 24 marzo 2011, n. 6754). Nell'ipotesi in cui gli eredi agiscano nelle fattispecie delineate dalla responsabilità ex delictu l'onere della prova spetta al danneggiato, ai sensi della clausola generale di cui all'art. 2043 c.c. Dovranno dunque gli eredi dimostrare il fatto generatore della responsabilità (doloso o colposo) che ha cagionato al de cuius e conseguentemente a loro (ovviamente sotto forma di ristoro patrimoniale delle sofferenze subite dalla vittima) il danno ingiusto (sotto il profilo della rilevanza e gravità della offesa, si veda Cass. civ., n. 26972/2008 cit.) ed il nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso, secondo i dettami di cui all'art. 2697 comma 1 c.c. Qualora gli eredi invece agiscano nel caso di responsabilità “ex contractu”, come nell'ipotesi in cui il decesso del danneggiato sia conseguenza di malpractice medica, in questo caso opera l'inversione dell'onere della prova in favore dell'attore (gli eredi), secondo il disposto di cui all'art. 1218 c.c., relativa alla ripartizione della prova sul nesso causale: spetterà all'attore, che agisce per ottenere il risarcimento del danno, fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre la struttura convenuta (e/o il medico convenuto -c.d. responsabilità da “contatto sociale” per approfondimento si veda Cass. civ., S.U.,11 gennaio 2008, n. 577) sarà gravato dell'onere della prova del fatto estintivo, costituito dall'avvenuto adempimento e che la prestazione eseguita implicava problemi tecnici di speciale difficoltà (Cass. civ., S.U., 30 ottobre 2001, n. 13533).

Aspetti medico legali

Per l'accertamento e la quantificazione del danno catastrofico, in linea di massima, non è necessaria una consulenza tecnica d'ufficio, in quanto il Giudice potrebbe fondare la decisione direttamente sulla base delle prove testimoniali (ad esempio personale 118) e dei certificati medici in atti. Ciò che invece potrebbe richiedere la necessità di disporre la CTU, è la difficoltà, in casi così particolari, di accertare la cosiddetta “risilienza della vittima e cioè della capacità della stessa di sopportare tale gravissima situazione, con un immedesimazione, di difficile configurazione anche psicologica, del giudice nella situazione vissuta dalla vittima”. Ogni soggetto ha infatti un tasso di “risilienza” diverso connotato dalla capacità di reagire agli stress e, conseguentemente il danno morale dovrà essere rapportato alla effettiva incidenza dell'illecito nella sfera interna della vittima” .

Criteri di liquidazione

La liquidazione del danno catastrofico ha natura morale e avviene secondo criteri di liquidazione equitativi, che tengano conto di tutte le circostanze del caso concreto, della gravità del reato e, soprattutto, della intensità della sofferenza patita dalla vittima per la gravità delle lesioni in consapevole attesa della imminente fine (Cass. civ, sez. III, 13 dicembre 2012, n. 22896). Non rileva più la durata dell'intervallo intercorso tra lesione e morte (Cass. civ., sez. lav., 18 gennaio 2011, n. 1072). La quantificazione monetaria della componente “morale” del danno ha sempre presentato .notevoli difficoltà per il giudice, che deve quantificarlo valutandolo equitativamente (artt. 1226 e 2056 c.c.). Negli anni sono stati elaborati una serie di parametri cui fare riferimento nella liquidazione del danno morale, che hanno creato discasie liquidative a livello di uniformità nazionale, favorendo, ove possibile, il fenomeno noto come “forum shopping”. L'intervento della Cass. civ., 7 giugno 2011, n. 12408 e Cass. civ., sez. III, 22 dicembre 2011, n. 28290 hanno avuto il pregio di uniformare l'entità del risarcimento dovuto, assurgendo a rilevanza nazionale, in applicazione dell'art. 3 Cost., le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano. Per la giurisprudenza della Suprema Corte le Tabelle Milano sono “il valore da ritenersi "equo", e cioè quello in grado di garantite la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non preganti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l'entità”. Per costante giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2012 n. 7499), la quantificazione equitativa va operata avendo presenti sia il criterio equitativo puro sia il criterio di liquidazione tabellare, purché essi criteri siano dal giudice adeguatamente personalizzati, ovvero adeguati al caso concreto. Si tratta, in sostanza, di liquidare un “macro danno morale”, che tenga conto delle sofferenze patite dalla vittima nel tempo intercorso tra lesione e morte e dello stato vigile di coscienza tale da rendere di massima intensità la sofferenza.

Aspetti processuali

Il giudizio deve essere instaurato in base ai normali criteri di competenza per valore e territorio, ai sensi degli artt. 7-40 c.p.c. Nel caso di danno catastrofale derivante da incidente stradale, quanto alla competenza per valore, riteniamo che, in considerazione della gravità dell'offesa e della rilevante entità del quantum risarcitorio, la competenza del Tribunale (sostanzialmente da ricavarsi a contrariis -si veda art. 9 comma 1 c.p.c.) è da considerarsi esclusiva, atteso il modesto limite di € 20.000,00, di cui all'art. 7 comma 1 c.p.c. per il Giudice di Pace, verosimilmente non percorribile, atteso anche il cumulo delle poste di danno iure proprio e iure hereditatis, oggetto della domanda attorea. Quanto invece alla competenza per territorio, soccorrono le norme di cui agli artt. 19 c.p.c. -in tema di foro generale- e art. 20 c.p.c. -in tema di foro facoltativo delle obbligazioni.

L'attore dovrà già in atto di citazione o nel ricorso introduttivo (in modo ancor più astringente, in considerazione delle preclusioni e decadenze proprie del rito lavoro): in primo luogo enucleare la causa petendi; allegare e provare sia la qualità di erede e/o la prova del rapporto parentale con il de cuius (se contestata la legittimazione attiva) sia il rapporto intercorso con la vittima primaria nel suo essenziale aspetto affettivo e di assistenza morale; ben specificare le circostanze di fatto dell'infortunio, in modo da chiarire con evidenza il nesso di causalità tra l'evento lesivo e il conseguente evento morte nonché, da ultimo, le conseguenze pregiudizievoli subite dalla vittima primaria prima e dai congiunti poi; infine, allegare, proprio alla luce dei dettami propri delle S.U. del 2008, tutti i fatti da cui possa emergere (poi) la prova del danno patrimoniale e non patrimoniale.

Per converso, il convenuto dovrà, già in comparsa di risposta: svolgere le difese più opportune, ivi compresa la possibilità di un apporto causale della vittima stessa nel decesso (ipotesi classica il mancato uso dei presidi di sicurezza in violazione dell'art. 172 d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285 ai sensi dell'art. 1227 c.c., e principalmente contestare il nesso di causalità tra il sinistro e l'evento morte. Importante: dovrà essere specificamente contestata la circostanza che il danneggiato abbia avuto modo, nel breve lasso di tempo intercorso, di percepire l'approssimarsi dell'evento morte in lucida attesa nonché l'intensità della sofferenza stessa.

Profili penalistici

Il titolo XII “Dei delitti contro la persona” del codice penale (la fattispecie che qui interessa, essendo rilevante l'evento morte, è l'art. 589 c.p.“omicidio colposo”) disciplina, al Capo I, i delitti contro la vita e l'incolumità individuale. E' evidente che se l'evento dannoso civile si verifica allorché l'illecito integri anche gli estremi soggettivi ed oggettivi di cui all'omicidio colposo, il responsabile è tenuto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, ex art. 185 c.p.

Se già è intervenuta sentenza penale passata in giudicato, la vittima, ai fini del risarcimento in sede civile, potrà avvalersi della disciplina di cui all'art. 651 c.p.p. ; altrimenti spetterà al giudice civile accertare incidenter tantum l'ipotesi criminosa, ai soli fini del risarcimento del danno civile (Cass., S.U., sent., 18 novembre 2008, n. 27337). Da ultimo i rapporti tra azione civile e azione penale sono disciplinati dall'art. 75 c.p.p.

Casistica

Responsabilità civile automobilistica

Il danno catastrofale è il danno non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla persona che, a causa delle lesioni sofferte nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, assiste alla perdita della propria vita. Tale danno è distinto dal danno biologico e terminale o tanatologico che è il danno connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute (fattispecie inerente un sinistro stradale in cui la vittima è sopravvissuta per 14 giorni) (Cass. civ., Sez. III, 13 dicembre 2012, n. 22896).

In caso di illecito civile che abbia determinato la morte della vittima, il danno cosiddetto “catastrofale”, conseguente alla sofferenza dalla stessa patita -a causa delle lesioni riportate -nell'assistere, nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita, deve comunque includersi nella categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. ed autonomamente risarcibile in favore degli eredi (fattispecie inerente un sinistro stradale in cui la vittima è rimasta 9 ore in stato di coscienza e 9 giorni in coma “vigile) (Trib. Trento, 19 settembre 2013, in La Nuova Procedura Civile, I, 2014).

In caso di morte della vittima a seguito di sinistro stradale, la brevità del periodo di sopravvivenza alle lesioni, se esclude l'apprezzabilità a fini risarcitori del deterioramento della qualità della vita in ragione del pregiudizio alla salute, ostando alla configurabilità di un danno biologico risarcibile, non esclude viceversa che la medesima abbia potuto percepire le conseguenze catastrofiche delle lesioni subite e patire sofferenza, il diritto al cui risarcimento, sotto il profilo del danno morale, risulta, pertanto, già entrato a far parte del suo patrimonio al momento della morte e può conseguentemente essere fatto valere iure hereditatis (Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2012, n. 3966).

Non hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale a titolo ereditario i parenti della vittima di un sinistro stradale quando la vittima sopravvive solo mezzora al sinistro, senza peraltro riprendere conoscenza. In un caso come quello di specie il danno da morte va preso in considerazione in qualità di peculiare voce dei pregiudizi di natura non patrimoniali patiti in prima persona dai congiunti, fra cui rientra anche quello dovuto alla perdita del rapporto parentale; si tratta, infatti, del dolore provato in proprio dai parenti della vittima ma "di riflesso" rispetto alla consapevolezza del male che il loro congiunto ha dovuto subire per via dell'incidente (Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2010, n. 25264).

Disastro aereo

Deve essere riconosciuta la sussistenza e il conseguente diritto al risarcimento del danno c.d. catastrofico jure hereditatis in capo ai familiari di passeggero deceduto in conseguenza di un incidente aereo per un solo minuto di volo , quantificando, in via equitativa, nella somma di € 50.000,00 per ciascun famigliare (moglie e due figli minori) detta posta di danno (Trib. Venezia, 21 ottobre 2010, n. 2168 -inedita).

Responsabilità medica

In un caso in cui un paziente abbia subito emotrasfusioni (anno 1995), rivelatesi poi infette -nella fattispecie HIV- (1991) e, a distanza di 9 mesi dalla scoperta, muoia dopo una lunga e sofferente malattia, è dovuto, un rilevantissimo danno non patrimoniale subito dalla vittima mentre era in vita (danno “catastrofico”: si veda Cass. civ. n. 4783/2001), consistente nella lesione della sua integrità fisica e nelle gravi sofferenze fisiche e morali patite a causa della sua malattia (AIDS conclamato). Nella valutazione di tale pregiudizio il giudice ha tenuto conto di vari fattori, quali la durata, l'intensità e la consapevolezza da parte della persona offesa della lesione subita (Trib. Torino, 17 novembre 2009, n. 7790).

Infortunio sul lavoro

In caso di lesione che abbia portato a breve distanza di tempo ad esito letale, sussiste in capo alla vittima che abbia percepito lucidamente l'approssimarsi della morte, un danno biologico di natura psichica, la cui entità non dipende dalla durata dell'intervallo tra lesione e morte, bensì dell'intensità della sofferenza provata dalla vittima dell'illecito ed il cui risarcimento può essere reclamato dagli eredi della vittima. (fattispecie inerente decesso di un operaio di un pastificio a seguito dell'esplosione di un serbatoio di olio combustibile dopo 4 giorni. (Cass. civ. sez. lav.

, 18 gennaio 2011

,

n. 1072

).

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