Responsabilità civile
RIDARE

Danno emergente e lucro cessante

18 Aprile 2022

Le nozioni di danno emergente e lucro cessante costituiscono, in una tradizione giuridica ormai consolidata, dimensioni essenziali per la ricostruzione dei caratteri fondamentali della voce del danno patrimoniale. I concetti in questione, infatti, sono riconducibili esclusivamente a quest'ultima categoria di danno, mentre rimangono esclusi dall'area del danno non patrimoniale, quale che sia la nozione di quest'ultimo che si vuole recepire. A tal proposito, tuttavia, l'interprete deve avere ben chiara la fallacia di ogni ricostruzione che venga a far coincidere la natura del danno con la natura dell'interesse concretamente leso dall'illecito civile (categoria, quest'ultima, nella quale va ricompresa sia la responsabilità aquiliana, sia la responsabilità da inadempimento). Non va dimenticato, infatti, che la lesione di un interesse non patrimoniale ben può avere proiezioni dannose di tipo patrimoniale, e viceversa, con la conseguenza che deve condividersi quella dottrina che ha finito per identificare come danno patrimoniale ogni forma di elezione suscettibile di valutazione e stima secondo criteri di mercato.
L'area del danno patrimoniale e la funzione del risarcimento

Le nozioni di danno emergente e lucro cessante costituiscono, in una tradizione giuridica ormai consolidata, dimensioni essenziali per la ricostruzione dei caratteri fondamentali della voce del danno patrimoniale.

I concetti in questione, infatti, sono riconducibili esclusivamente a quest'ultima categoria di danno, mentre rimangono esclusi dall'area del danno non patrimoniale, quale che sia la nozione di quest'ultimo che si vuole recepire. A tal proposito, tuttavia, l'interprete deve avere ben chiara la fallacia di ogni ricostruzione che venga a far coincidere la natura del danno con la natura dell'interesse concretamente leso dall'illecito civile (categoria, quest'ultima, nella quale va ricompresa sia la responsabilità aquiliana, sia la responsabilità da inadempimento). Non va dimenticato, infatti, che la lesione di un interesse non patrimoniale ben può avere proiezioni dannose di tipo patrimoniale, e viceversa, con la conseguenza che deve condividersi quella dottrina che ha finito per identificare come danno patrimoniale ogni forma di elezione suscettibile di valutazione e stima secondo criteri di mercato.

Quanto sinora osservato vale già ad introdurre il secondo dei profili che devono essere preliminarmente affrontati prima di procedere all'approccio definitivo all'inquadramento dei concetti di danno emergente e lucro cessante, e cioè la definizione della categoria generale di danno patrimoniale.

Del concetto di "danno", infatti, sono possibili due diverse definizioni o ricostruzioni. La prima viene a far coincidere il danno con il mero valore di mercato del bene (o diritto) oggetto della lesione, ed è perciò detta "reale" (traendo origini dal criterio della aestimatio rei che costituiva l'originario parametro di risarcimento secondo il diritto romano). Detta concezione, tuttavia, presenta il limite di rendere anche concettualmente arduo il riconoscimento del danno a poste patrimoniali che, pur presentando un indubbio valore di mercato, difficilmente riescono ad essere giuridicamente inquadrabili come diritti o beni. Ciò spiega il motivo del praticamente definitivo affermarsi della seconda concezione di danno, detta "patrimoniale", la quale viene a basarsi, appunto, sul concetto - di matrice più economica che giuridica - di "patrimonio".

Ben lungi dall'essere recente approdo, tuttavia, questa acquisizione è stata oggetto di una precisa scelta normativa ed interpretativa già nella sistematica della civilistica del 18º secolo, confluendo poi nella disciplina del vigente codice civile. Si tratta di una opzione che, non deve passare inosservato, riflette un'altrettanto fondamentale scelta in ordine alle finalità da perseguire in via generale con il sistema risarcitorio.

La funzione che il risarcimento dei danni può svolgere, infatti, si viene a collocare nell'ambito di una precisa alternativa:

  1. riportare il danneggiato nella situazione in cui si trovava prima del maturarsi della concatenazione di eventi che ha prodotto il danno (e, quindi, prima del sorgere dell'obbligazione nel caso della responsabilità da inadempimento, oppure della condotta illecita dannosa, nel caso della responsabilità aquiliana);
  2. condurre il danneggiato nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato in assenza del prodursi del danno (e, quindi, nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'obbligazione fosse stata eseguita, oppure se il illecito extracontrattuale non si fosse mai verificato).

Questa divaricazione funzionale si viene a rispecchiare nella dicotomia concettuale - che si affianca a quella in esame tra danno emergente e lucro cessante, completandola ma anche complicandola - tra interesse negativo ed interesse positivo. Su questa dicotomia si avrà modo di tornare in seguito ma giova evidenziare sin d'ora come essa presenti i profili di affinità (seppur non di integrare sovrapponibilità) con la distinzione, utilizzata nel diritto anglosassone, tra reliance damages ed expectation damages.

La regola del risarcimento integrale

Come già accennato, la scelta del legislatore del 1942 è stata nettamente favorevole alla seconda delle possibili funzioni del risarcimento, già precedentemente enucleata dalla dottrina di matrice germanistica con la cosiddetta Differenztheorie, la quale, infatti postula una funzione risarcitoria tale da assicurare al danneggiato il conseguimento di una condizione equivalente a quella che si sarebbe raggiunta in assenza dell'illecito civile. La Differenztheorie, tuttavia, viene a costituire diretto precipitato della concezione patrimoniale del danno, dal momento che - almeno nel caso della responsabilità da inadempimento - essa viene a basarsi su un rapporto differenziale tra la situazione patrimoniale del creditore in presenza della regolare adempimento dell'obbligazione, e la situazione venutasi per contro a creare per effetto dell'inadempimento. Si conferma, in questo modo, come detta teoria operi e possa operare esclusivamente con riguardo a danni aventi dimensione (anche se non origine) patrimoniale, non essendo possibile, invece, applicare un simile criterio differenziale a danni aventi caratteri del tutto extrapatrimoniali.

Viene, quindi, usualmente considerata come piena ricezione della Differenztheorie la formalizzazione dell'art. 1223 c.c., là dove esso viene ad imperniare il risarcimento del danno sui due poli fondamentali della "perdita subita" (danno emergente) e del "mancato guadagno" (lucro cessante). Di questi due poli, quello che maggiormente palesa il legame con la concezione patrimoniale del danno è, appunto, il lucro cessante, e deve anzi darsi merito alla Suprema Corte di aver compreso tale nesso, allorquando ha colto il principio della necessaria valutazione del patrimonio non in senso giuridico, ma in senso economico, perciò desumendo la possibilità di risarcire quella entità giuridicamente non esistente ma economicamente rilevante costituita dal lucro cessante (Cass. civ., sez. I, 18 luglio 1989, n. 3352).

L'applicabilità del risarcimento integrale a tutte le forme di illecito civile

Proprio quest'ultima constatazione, peraltro, viene a costituire quel ponte su cui far transitare la regola risarcitoria dalla responsabilità da inadempimento alla responsabilità aquiliana. L'articolo 1223, infatti, per quanto frutto di una ricostruzione palesemente orbitante attorno alla responsabilità da inadempimento delle obbligazioni, viene poi a far parte di quell'insieme di norme che il legislatore direttamente richiama all'art. 2056 c.c. come criteri per la determinazione del danno extracontrattuale. Una simile "importazione" potrebbe risultare impropria e distonica, qualora si accendesse ad una concezione meramente giuridica del "patrimonio" leso. Ci si dovrebbe infatti confrontare col fatto che, mentre nel caso della responsabilità cosiddetta contrattuale, la regola risarcitoria postulerebbe una precedente obbligazione ineseguita, rispetto alla quale ci si dovrebbe necessariamente rapportare nella determinazione del quantum del risarcimento; nel caso della responsabilità cosiddetta aquiliana, la regola di cui all'articolo 1223 c.c. verrebbe a determinare il quantum di un'obbligazione risarcitoria sorta ex novo, trovandosi quindi priva del parametro di raffronto con una precedente obbligazione. È solo optando per una concezione patrimoniale - di tipo per di più economico - del danno, che le due situazioni risarcitorie vengono a sovrapporsi sulla stessa lunghezza d'onda (pur nella differente funzione svolta dai due tipi di responsabilità), costituita - appunto - dal raffronto tra la condizione patrimoniale che si sarebbe sviluppata in assenza di illecito civile e la condizione patrimoniale che si è venuta a determinare per effetto del verificarsi dell'illecito stesso.

Il criterio di delimitazione dei danni: la causalità giuridica

Risulta, quindi, evidente come la determinazione del danno risarcibile venga ad imperniarsi su un raffronto tra due decorsi evolutivi del patrimonio divergenti: uno reale, ed uno ipotetico. È proprio in considerazione della rilevanza rivestita dall'incidenza causale dell'evento dannoso sull'evoluzione del patrimonio del danneggiato che il legislatore ha ritenuto di affiancare alla regola di risarcibilità integrale del danno (nella duplice dimensione del danno emergente e lucro cessante) una regola di delimitazione del danno stesso alle "conseguenze immediate e dirette". Tale regola (che una dottrina e diverse pronunce della suprema corte hanno qualificato come "causalità giuridica", contrapponendola alla "causalità materiale" che invece ricollegherebbe l'evento dannoso alla condotta del danneggiato) deve essere intesa per quello che è, e cioè una limitazione espressa di un'area risarcitoria che altrimenti (sulla base della pura valutazione di un decorso eziologico meramente ipotetico) finirebbe per essere eccessivamente ampia, rendendo eccessivamente rischioso e costoso lo svolgimento di attività socialmente utili, ed anzi della stessa negoziazione commerciale.

Una distinzione problematica

Da questo punto di vista non appaiono fuor di segno le teorie che ridimensionano la rilevanza della distinzione concettuale tra danno emergente e lucro cessante, ricostruendo la stessa sostanzialmente come una endiadi utilizzata dal legislatore per rimarcare il fondamentale principio della riparazione integrale del danno, in tutte le dimensioni che quest'ultimo può assumere (Cass. civ., sez. III, 2 luglio 2010, n. 15726). È evidente, in quest'ottica, che il rilievo maggiore nella struttura del risarcimento viene assunto proprio dal meccanismo di causalità giuridica, che del principio di onnicomprensività del risarcimento costituisce limitazione e ridimensionamento.

In effetti, già sul piano del rigore concettuale, la distinzione tra danno emergente e lucro cessante presenta notevoli limiti, soprattutto in un sistema economico nel quale ciascun bene, oltre ad avere un valore di scambio ed un valore d'uso, comunque può essere concepito economicamente sia come valore intrinseco già acquisito (la cui perdita costituirebbe danno emergente) sia come fattore economico generatore di un flusso ulteriore di guadagno (la cui perdita andrebbe invece ricondotta al lucro cessante). È, del resto, è evidente che un rilievo concreto potrebbe essere assunto dalla distinzione solo qualora ad essa il legislatore avesse ricollegato un regime giuridico differenziato, laddove l'unitarietà di trattamento in cui le due voci finiscono per confluire subito dopo essere state delineate dall'articolo 1223, evidenzia il valore parzialmente declamatorio della stessa distinzione

Casistica

Appare, a questo punto, evidente che un discorso che non voglia fermarsi ad un livello teorico astratto non può evitare un minimo confronto con la casistica concreta, la quale rivela, ancora una volta, il senso pratico con cui la stessa Cassazione ha affrontato l'interpretazione dell'art. 1223 c.c., evidenziando il concentrarsi del proprio interesse sul profilo del principio di integralità del risarcimento del danno, e sul connesso profilo della prova dello stesso, come si desume dalla lettura delle seguenti massime.

Danno in generale

  • L'art. 1223 c.c. sintetizza il contenuto minimo del risarcimento, introducendo un concetto di danno "integrale", comprensivo sia della diminuzione subita, e cioè il danno che il debitore inadempiente avrebbe potuto evitare, sia del mancato incremento patrimoniale di cui il creditore avrebbe potuto godere se la prestazione fosse stata eseguita. Il risarcimento del danno è l'obbligazione diretta a reintegrare il patrimonio del danneggiato nella situazione in cui si sarebbe trovato se l'inadempimento non si fosse verificato (Cass. civ., sez. II, 17 maggio 2012, n. 7759).
  • In tema di liquidazione del "quantum" risarcibile, la misura del danno non deve essere necessariamente contenuta nei limiti di valore del bene danneggiato ma deve avere per oggetto l'intero pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, essendo il risarcimento diretto alla completa "restitutio in integrum" - per equivalente o in forma specifica, quest'ultima esperibile anche in materia contrattuale - del patrimonio leso (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva condannato, ex art. 2058 c.c., la venditrice ed il notaio rogante, in solido tra loro, a provvedere a propria cura e spese alla cancellazione di due iscrizioni ipotecarie sull'immobile venduto, non rilevate in sede di stipula di un contratto di compravendita, dell'importo complessivo di lire 56.126.931, ritenendo congrua la somma posta a carico dei predetti in relazione all'entità del danno cagionato ed al pericolo di evizione del bene, venduto per il prezzo effettivo di lire 50.000.000) (Cass. civ., sez. III, 2 luglio 2010, n. 15726).
  • Il risarcimento del danno futuro, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, non può compiersi in base ai medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già completamente verificatosi nel momento del giudizio, e deve avvenire secondo un criterio di rilevante probabilità; a tal fine, il rischio concreto di pregiudizio è configurabile come danno futuro ogni volta che l'effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità professionale del notaio, pur avendone riconosciuto la negligenza, in relazione alla compravendita di un immobile gravato da ipoteca per il quale l'istituto di credito aveva richiesto all'acquirente il pagamento della frazione di mutuo rimasta insoluta). (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10072).
  • La compressione o la limitazione del diritto di proprietà che siano causate dall'altrui fatto dannoso sono suscettibili di valutazione economica non soltanto se ne derivino perdite dei frutti della cosa (c.d. lucro cessante) oppure la necessità di una spesa ripristinatoria (c.d. danno emergente), ma anche se la compressione e la limitazione del godimento sia sopportata dal titolare con suo personale disagio o sacrificio ed in base ad una libera scelta fra questa soluzione ed i rimedi di un ripristino immediato comportante l'anticipazione di spese oppure perché costretto dalla impossibilità o difficoltà di sopportare l'esborso necessario; in ordine alla sussistenza e quantificazione di tale danno, mentre resta a carico del proprietario il relativo onere probatorio che può essere assolto anche mediante presunzioni semplici, il giudice può fare ricorso anche ai parametri del c. d. danno figurativo, trattandosi di casa di abitazione, come quello del valore locativo della parte dell'immobile del cui godimento il proprietario è stato privato (Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 1988, n. 4779).

Danno emergente

  • In tema di liquidazione del danno, la locuzione "perdita subita", con la quale l'art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l'obbligazione di effettuare l'esborso, in quanto il vinculum iuris, nel quale l'obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell'insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2010, n. 22826).
  • In materia di contratto di trasporto di cose, il danno emergente derivante dalla perdita del receptum da parte del vettore deve calcolarsi secondo il prezzo corrente delle cose trasportate nel luogo e nel tempo della consegna; il lucro cessante, invece, deve essere provato quale conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del vettore (Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2009, n. 1336).
  • Perché si configuri un danno emergente, quale conseguenza dell'accertata responsabilità professionale di un notaio che abbia rogato un atto di compravendita senza compiere accertamenti sulle procedure esecutive in atto sull'immobile, è necessario che - successivamente - il compratore perda la proprietà del bene in questione, attraverso la vendita forzata del cespite (Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2007, n. 4381).

Lucro cessante

  • Il creditore può ottenere il risarcimento del lucro cessante quando, sulla base della proiezione di situazioni già esistenti, è possibile ritenere che il danno si sarebbe prodotto secondo una ragionevole e fondata previsione. Per valutare la prevedibilità della produzione del danno va quindi presa a riferimento la situazione presente al momento del verificarsi della causa generatrice dell'obbligo risarcitorio (Cass. civ., Sez. II, 01 aprile 2008, n. 8448).
  • In tema di risarcimento del lucro cessante secondo equità, il danneggiato ha l'onere di provare, anche presuntivamente, gli elementi di carattere lesivo ai quali consegua un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, anche se non esattamente quantificabile (Nella specie, la Corte non ha ritenuto sufficiente la mera potenzialità o possibilità del danno che, invece, per essere risarcibile deve essere connesso all'illecito in termini di certezza o con un grado di elevata probabilità) (Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2007, n. 23304).
  • Ove il promittente venditore di un bene immobile, prima della stipula del definitivo, si spogli della proprietà del bene promesso in vendita attraverso un atto opponibile al promissario acquirente perché trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, il promissario acquirente ha diritto non solo alla restituzione delle somme versate a titolo di acconto, ma anche al risarcimento del lucro cessante consistente nella differenza (soggetta a rivalutazione trattandosi di debito di valore) tra il prezzo d'acquisto pattuito al momento della stipula del preliminare ed il maggior valore commerciale acquisito dall'immobile al momento in cui l'inadempimento del promittente venditore è diventato definitivo (momento da identificarsi nella trascrizione dell'atto di vendita a terzi dell'immobile già promesso in vendita), valore da accertare mediante analisi diretta dei valori di mercato di quel determinato immobile all'epoca del trasferimento (Cass. civ., sez. III, 27 luglio 2012, n. 13396).
  • Deve essere riconosciuto il risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante al soggetto leso che abbia assolto l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente, di una certa entità, abbia inciso sulla capacità di guadagno (Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2011, n. 27584).
  • Quando sia certo che la vittima di lesioni personali, causate da un sinistro stradale, abbia perduto la capacità di guadagno, il conseguente danno patrimoniale può essere liquidato dal giudice ponendo a base del calcolo il triplo della pensione sociale anche quando il danneggiato non abbia provato l'entità del reddito perduto, costituendo tale criterio una soglia minima del risarcimento (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2012, n. 7531).
  • Non può essere riconosciuto il risarcimento del danno subito dalla parte lesa in un sinistro stradale, che lamenta la perdita del posto di lavoro a seguito delle lesioni e della lunga assenza dal lavoro, allorchè non risulti acquisita agli atti la prova che la danneggiata sia rimasta disoccupata a causa della sua invalidità, o che tale invalidità abbia comportato l'impossibilità totale di attendere alle sue occupazioni o di trovare altro lavoro adeguato alle sue competenze ed alle sue attuali condizioni (Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2011, n. 25221).
  • Il diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante non può farsi discendere in modo automatico dall'accertamento dell'invalidità permanente, poiché lesioni di modesta entità residuale (nella specie: postumi del 10% in relazione a lesioni a una gamba riportate da un giovane non ancora occupato) non pregiudicano la capacità lavorativa e per esse si fa luogo a un meccanismo di liquidazione (quello del danno alla salute) capace di cogliere nella sua totalità il pregiudizio subito dal soggetto nella sua integrità psico-fisica (Cass. civ., Sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4493).
  • In tema di risarcimento danni derivante dal mancato utilizzo di un bene immobile, il pregiudizio subito dal proprietario può ritenersi "in re ipsa", senza necessità di prova, in quanto insito nella perdita della disponibilità del bene da parte del "dominus" e nella impossibilità di conseguire l'utilità da esso normalmente ricavabile, ulteriormente precisandosi, in tale prospettiva, che l'ammontare del risarcimento del danno può essere correttamente determinato facendo riferimento al cosiddetto "danno figurativo" e quindi al valore locativo del cespite (Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2009, n. 24533).
  • Ove il promittente venditore di un bene immobile, prima della stipula del definitivo, si spogli della proprietà del bene promesso in vendita attraverso un atto opponibile al promissario acquirente perché trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, il promissario acquirente ha diritto non solo alla restituzione delle somme versate a titolo di acconto, ma anche al risarcimento del lucro cessante consistente nella differenza tra il prezzo d'acquisto pattuito al momento della stipula del preliminare ed il maggior valore commerciale acquisito dall'immobile al momento in cui l'inadempimento del promittente venditore è diventato definitivo (momento da identificarsi nella trascrizione dell'atto di vendita a terzi dell'immobile già promesso in vendita) (Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2008, n. 25016).
  • Quando il debito è di valore e la liquidazione del danno avvenga per equivalente mediante riconoscimento della rivalutazione monetaria della relativa somma di danaro, ove il debitore dimostri la sussistenza di una perdita da lucro cessante per non avere conseguito la disponibilità della somma di danaro non rivalutata fino al momento della verificazione del danno ed averla potuta impiegare redditiziamente in modo tale che avrebbe assicurato un guadagno superiore a quanto sia stato liquidato a titolo di rivalutazione monetaria, il giudice deve riconoscere il danno corrispondente a tale lucro cessante e può farlo liquidandolo in via equitativa nei cd. interessi compensativi, e ciò indipendentemente da una costituzione in mora, ancorché il debito di valore non sia da fatto illecito e, quindi, per i relativi effetti la costituzione in mora sia necessaria e senza che sia necessario una condotta del debitore di mancata collaborazione per l'adempimento dell'obbligazione risarcitoria (Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2008, n. 3268).
  • Non è configurabile un danno da lucro cessante specificamente rapportabile al ritardo (in via eziologica riferibile all'atto illecito produttivo del danno alla persona) nel conseguimento del titolo di studio, ma questa circostanza può essere eventualmente valutata nella misura in cui quel ritardo stesso allunga i tempi per svolgere la probabile attività lavorativa (produttiva di reddito) per il cui esercizio il titolo di studio è necessario (Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 2007, n. 3949).

La perdita di chance

E' nella dicotomia danno emergente – lucro cessante che, semmai si è inserito il problema del riconoscimento del danno da perdita di chance. Si deve registrare, infatti, una oscillazione tra pronunce che hanno cercato di ricostruire la chance in termini di voce patrimoniale vera e propria, la cui perdita integrerebbe un danno emergente (Cass. civ., sez. III, 25 maggio 2007, n. 12243; Cass. civ., sez. III, 7 luglio 2006, n. 15522; Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2003, n. 11322), a pronunce – ormai prevalenti – che invece ricostruiscono questa specifica figura in termini di lucro cessante (Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2012, n. 22376; Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2012, n. 21245; Cass. civ., sez. I, 18 maggio 2012, n. 7927; Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2011, n. 15385).

Prova

Come è agevole verificare dalla lettura delle massime, ed in particolare dal profilo della perdita di chance, uno dei fondamentali problemi è costituito dalla prova del danno, soprattutto nella dimensione del lucro cessante che, come dimensione futura del patrimonio, risulta caratterizzato da un più marcato profilo di incertezza. Proprio per sopperire a questi limiti, peraltro, il codice detta due norme che consentono all'operatore pratico di vedere parzialmente (ma non totalmente) alleggerito il proprio onere probatorio. La prima è data dalla facoltà di liquidazione equitativa di tutti i danni (danno emergente compreso) stabilità dall'art. 1226. La seconda – con un curioso meccanismo di ridondanza – è prevista dall'art. 2056 c.c., che, dopo aver appunto richiamato l'art. 1226 c.c., prevede poi ulteriormente al proprio secondo comma la possibilità di liquidare il lucro cessante derivante da responsabilità aquiliana “con equo apprezzamento delle circostanze del caso”.

Interesse positivo ed interesse negativo

Forse di maggior momento è la già accennata distinzione tra interesse positivo (Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2001, n. 9642; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 1995, n. 1153) ed interesse negativo (Cass. civ., sez. VI, 10 ottobre 2011, n. 20877), distinzione che, in un certo senso, veniva a costituire, l'intenzione dell'interprete del secolo scorso, il secondo degli assi cartesiani su cui articolare la sistemazione complessiva del danno patrimoniale. Pur esulando dai limiti del presente lavoro uno specifico approfondimento di tale distinzione, giova comunque ricordare come essa assuma rilievo pregnante nei casi normativamente previsti (art. 1328 c.c. e art. 1479 c.c.) o interpretativamente individuati (responsabilità precontrattuale) in cui il risarcimento sarebbe limitato al solo interesse negativo, anche se è proprio nel caso della culpa in contrahendo l'opinione dottrinale appare in via di progressivo superamento.

Con la distinzione in esame la bipartizione del danno delineata dall'articolo 1223 finisce per sdoppiarsi a propria volta, ben potendosi configurare:

  1. un danno emergente all'interesse negativo (le spese per la negoziazione poi rivelatasi inutile);
  2. un danno emergente all'interesse positivo (il risarcimento dovuto al terzo dal contraente che abbia subito l'inadempimento, oppure il deprezzamento del bene poi non più venduto);
  3. un lucro cessante per l'interesse negativo (le occasioni di guadagno alternative rispetto a quella frustrata);
  4. un lucro cessante per l'interesse positivo (l'utile netto atteso dall'operazione economica colpita dall'inadempimento.

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